È in scena al Teatro Franco Parenti di Milano Storia di una famiglia concepita come avamposto della nostra arretratezza culturale, l’ultimo spettacolo della sarcastica trilogia scritta e diretta da Mattia Torre.
Ambientata in uno sperduto paesino dell’Italia meridionale, 456 racconta le dinamiche di una comunità chiusa in sé stessa, ottusa, ostile all’esterno, al nuovo, al diverso. Una situazione estrema, tanto assurda quanto drammatica, eppure assolutamente verosimile in questo inizio di millennio in cui i piccoli centri sperduti nel vasto territorio tentano di arrestare l’emigrazione alzando barriere.
Barriere per proteggere le proprie peculiarità enogastronomiche, barriere per disincentivare la fuga dei giovani verso le grandi città ma pure barriere tra gli stessi abitanti per mantenere a distanza chi ha pensieri contrastanti, lasciando ciascuno nella propria, compiaciuta, ignoranza. Barriere per proteggersi dalla corruzione esterna e infatti, in Storia di una famiglia concepita come avamposto della nostra arretratezza culturale, anche la lingua è uno strumento di difesa. Il dialetto, straordinaria ricchezza dell’Italia dei mille comuni e delle cento città, viene usato come codice elitario, noto solo a chi è nato e cresciuto entro precisi confini territoriali ed indecifrabile dal resto del mondo. Mattia Torre fortunatamente sceglie di non percorrere sino in fondo la strada neorealista e propone per i suoi personaggi una lingua tuttosommato comprensibile, una forma alleggerita di calabrese che ne mantenenga però la durezza del suono. Il pubblico, sollevato, può così seguire partecipe le vicende in scena.
Carlo De Ruggieri, lo stagista schiavo della serie tv cult Boris, veste in 456 i panni anagraficamente succinti di un diciannovenne e, persino i genitori, lo ritengono poco credibile. Egli sogna di evadere da una realtà soffocante, che lo vuole imbrigliato in rigidi schemi di vita, per trasferirsi nella capitale e dedicarsi a un lavoro creativo, che gli consenta di dar voce a idee troppo a lungo sopite. Massimo De Lorenzo – anche lui parte del cast di Boris, impegnato insieme a Valerio Aprea, il protagonista di Qui e ora, a impersonare l’alter ego sullo schermo di Mattia Torre – è il padre padrone, sposato con Cristina Pellegrino qui resa grigia e sciatta al di là di ogni umana immaginazione. Il pubblico non ha dinnanzi una famiglia compatta ma tre persone dall’indole profondamente diversa tra loro, incapaci di comunicare senza urla e strepiti, obbligati a convivere per convenzione sociale e necessità economica più che per affetto reciproco. Il monotono tran tran quotidiano ha il suo fulcro nella cucina, attorno alla stufa su cui gorgoglia l’ultimo sugo preparato dalla nonna prima di morire e, a turno, giorno e motte, genitori e figlio lo rimestano affinchè non bruci.
L’equilibrio della famiglia viene stravolto dall’arrivo di un uomo importante: un ex compaesano che ha fatto carriera negli uffici pubblici, sposato con una donna francese. Il fatto che una simile celebrità scelga di onorare la casa dei protagonisti con la propria presenza, fermandosi persino a cena, è un evento da organizzare in ogni minimo dettaglio, rispolverando un copione già ampiamente collaudato. Nell’Italia dove sino a non molti decenni fa si moriva di fame – e purtroppo ora si ricomincia a riscontrare questo triste fenomeno – la tavola delle grandi occasioni viene imbandita con quantitativi di cibo di gran lunga superiori a quanto i commensali possano consumare. Il desco famigliare si trasforma in un altare, le pietanze – simbolo di benessere reale o apparente – in un’offerta alla divinità in visita e la padrona di casa – l’officiante del rito – elenca ossessivamente le portate in una litania che viene recitata sino allo sfinimento. Anche la scenografia sottolinea la sacralità della situazione: la pentola del sugo fuma come un’incensiera; la luce soffusa; i salami stagionano appesi a guisa di ex voto; i mobili modesti nella foggia ma funzionali all’uso, tra cui un inginocchiatoio collocato nel punto più visibile al pubblico.
Mattia Torre, da consumato autore qual è, bilancia l’apparente monotonia di questa sua creazione con un inatteso colpo di scena finale. Un’innocente battuta svela il significato dei tre numeri utilizzati per il titolo, spostando progressivamente gli equilibri in scena sino al completo stravolgimento del tran tran famigliare. La disincantata e ruvida messinscena è resa efficace da un cast in grado di dar vita a tipi lunari, dagli straordinari tempi comici, sospesi tra un dramma neorealista e una pellicola di Chaplin.
Torre scrive e dirige lo spettacolo con modalità e ritmo più televisivi che prettamente teatrali, affannosi eppure con spazio per l’immancabile risata, ciononostante riesce a trascinare in un grande applauso il pubblico esigente del Parenti. 456, per quanto possa risultare cinico e surreale come tutti i testi di Mattia Torre, è un lavoro coinvolgente. Una storia che ben descrive realtà ancora presenti in Italia e i milanesi, con le radici che affondano lungo tutto lo stivale, lo sanno, ci si riconoscono e, in fondo, sorridono di loro stessi.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala Grande
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 21 maggio 2017
orari: martedì e sabato 20.30;
mercoledì e venerdì 19.45;
giovedì 21.00; domenica 16.00
www.teatrofrancoparenti.it456
Storia di una famiglia concepita come avamposto della nostra arretratezza culturale
scritto e diretto da Mattia Torre
con Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri
e con Michele Nani
scene Francesco Ghisu
disegno luci Luca Barbati
costumi Mimma Montorselli
assistente alla regia Francesca Rocca
assistente ai movimenti scenici Alberto Bellandi
produzione Marta Morico, Alessandro Gaggiotti
organizzazione Emanuele Belfiore
comunicazione e ufficio stampa Beatrice Giongo
produzione Marche Teatro / Nutrimenti Terrestri
durata 80 minuti senza intervallo
www.marcheteatro.it