90 minuti, una vita

La biografia di Arpad Weisz – celeberrimo allenatore di calcio nell’Italia fascista, morto ad Auschwitz nell’indifferenza dei tifosi – è pretesto per una profonda riflessione sulla deriva umana e sociale contemporanea.

Teatro del Simposio, dopo il successo registrato con Il ring dell’inferno, offre al pubblico un’altra storia di sport e dolore avente come sfondo il campo di concentramento di Auschwitz: 90 minuti, in programma sino a domenica 1 dicembre a fACTORy32 di Milano. Due storie con un comun denominatore ma con uno sviluppo diametralmente opposto, raccontate con delicatezza in punta di penna da Antonello Antinolfi e portate in scena da Francesco Leschiera.
Hertzko Haft, il ragazzo polacco di origine ebrea protagonista di Il ring dell’inferno, scopre di possedere il talento per il pugilato durante la prigionia ad Auschwitz, guadagnandosi colpo dopo colpo il diritto di continuare a vivere almeno sino all’incontro successivo. Sopravvissuto, senza più nessuno ad attenderlo fuori, Hertzko si trasferisce negli USA dove raggiunge il successo nella boxe e cerca di dimenticare il lager non facendone parola con nessuno.
Arpad Weisz viene invece internato nonostante la fama guadagnata prima come calciatore nella natia Ungheria e poi come allenatore nel nostro Paese dove porta il Bologna a vincere i massimi trofei continentali. Weisz, in Italia dalla metà degli anni Venti, è un uomo di successo, con una bella famiglia, e ha pure italianizzato il cognome in Veisz per compiacere il protezionismo applicato dal regime fascista anche in ambito linguistico. Tuttavia l’affetto della città e di Renato Dall’Ara, presidente della squadra emiliana, durano sino alla promulgazione delle Leggi razziali, sino a quando la sua presenza non rappresenta un ostacolo alla loro libertà e ai loro affari. A salutarlo, al momento di quella partenza per la Francia che ha tanto il sapore di una fuga, ci sono solamente i vicini di casa con cui resterà in contatto epistolare sino al momento della cattura.
L’allenatore è l’ideatore di un innovativo metodo di lavoro con gli atleti, divulgato tramite un manuale tutt’ora in auge e confermato dai prestigiosi risultati raggiunti a livello europeo, eppure nessuna squadra sembra aver più bisogno di lui. Emigra di nuovo, questa volta a Dordrecht dove gli viene offerto un ingaggio, avvicinandosi inconsapevolmente ancor più alla bocca dell’inferno nazista. Nel maggio 1942 la Germania invade i Paesi Bassi: la famiglia di Arpad viene internata nel campo di transito di Westerbork e da lì ad Auschwitz dove la moglie e i figli sono condotti alle camere a gas.
Arpad è assegnato ai campi di lavoro e, ignaro della fine dei suoi cari, trascorre le giornate con l’angoscia che, a ogni nuovo arrivo di prigionieri, i vecchi, ormai fiaccati dalla fatica e dalla fame, vengano eliminati. L’uomo vive i 15 mesi che lo separano dalla morte a guisa di una lunga partita di calcio interrogandosi, come gli uomini in campo, quanto manchi ancora al fischio finale dell’arbitro. Un’attesa che non deve mai trasformarsi in angoscia – perché si può ancora ribaltare il risultato finale – o in muta accettazione dell’eccidio che si svolge tutt’intorno.
90 minuti è ambientato in una baracca di Auschwitz dove Arpad Weisz (Ettore Distasio) e un altro uomo (Mauro Negri cui vedremo vestire i panni anche degli altri personaggi che via via compaiono in scena), di rientro dal campo di lavoro, attendono l’arrivo delle guardie per conoscere la loro sorte. Si fanno forza vicendevolmente. Arpad rievoca le partite vinte a dispetto dei pronostici; ricorda i complimenti di Dall’Ara, le promesse disattese e la rapida successione di eventi che lo hanno condotto sino lì.
Antonello Antinolfi, pur sviluppando il personaggio di Arpad Weisz dalla poca documentazione disponibile, crea dialoghi essenziali e commoventi, in linea con le parole di tanti sopravvissuti. Rispetto a Il ring dell’inferno, 90 minuti offre all’autore la possibilità di focalizzarsi maggiormente sui fatti storici che hanno portato all’instaurarsi del regime. Basta infatti la lettura di poche righe dei documenti ufficiali promulgati dal Governo per descrivere il clima d’odio e di sospetto verso il diverso venutosi a creare nel Paese in quegli anni. Inutile scandalizzarsi davanti al termine “razza” – parola oggi impronunciabile perché politically incorrect – se poi, di fatto, ci si volta dall’altra parte davanti a soprusi, violenze, discriminazioni e rifiuti compiuti sotto i nostri occhi. Non solamente su immigrati ma anche su persone a tutti gli effetti cittadini italiani, anche da più generazioni, con l’unica colpa di avere colore della pelle o religione differente da quella della maggioranza, della massa o del gregge che dir si voglia. Non è un caso che 90 minuti si apra con la constatazione di come i regimi autoritari nascano dall’indifferenza popolare: una riflessione mai così attuale, lasciataci in eredità decenni fa da Primo Levi.
Leschiera sceglie di allestire la coinvolgente metafora calcistica di Antinolfi puntando su gesti semplici, compiuti monotonamente e meccanicamente dai due prigionieri per scaricare l’angoscia che l’attesa procura loro. Una componente fisica della recitazione eloquente più di mille discorsi, enfatizzata da un palcoscenico spoglio e dal progetto delle luci di Luca Lombardi.
“Mala tempora currunt”, inutile negarlo. Si spera che storie vere ed esemplari come quella narrata in 90 minuti, grazie anche al forte potere evocativo dell’allestimento proposto, possano elevarsi oltre il muro dell’indifferenza. L’uomo moderno, più confuso che arricchito da quel calderone tecnologico che è Internet in cui tutto si confonde e si appiattisce, è importante segua il monito di Arpad Weisz e non perda la propria umanità.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
fACTORy32
via Watt 32 – Milano
fino a domenica 1 dicembre 2019
orario: venerdì e sabato 21.00
domenica 16.00
www.factory32.it
 
90 minuti
di Antonello Antinolfi
regia Francesco Leschiera
con Ettore Distasio, Mauro Negri
scene e costumi Paola Ghiano e Francesco Leschiera
luci Luca Lombardi
assistente alla regia Serena Piazza
grafiche Valter Minelli
produzione Teatro del Simposio
prima nazionale
http://teatrodelsimposio.wixsite.com/teatrodelsimposio