Dopo i successi riscossi nei festival estivi di Napoli e Spoleto è finalmente in scena a Milano il nuovo spettacolo diretto da Andrée Ruth Shammah con protagonista una convincente Eva Riccobono.
Archiviata la settimana della moda, a Milano si entra nel vivo della Stagione teatrale con un rutilante susseguirsi di inaugurazioni. C’è chi parte con piede sicuro proponendo successi già collaudati e chi, come il Teatro Franco Parenti, offre una nuova produzione, forse la più attesa di tutto il suo calendario dopo quanto letto in estate sui giornali. Coltelli nelle galline è infatti la pièce del drammaturgo scozzese David Harrower che ha debuttato a fine giugno al Napoli Teatro Festival Italia e a luglio ha conquistato pubblico e critici a Spoleto 62 Festival dei 2Mondi.
Una prima milanese che avrebbe dovuto coincidere con l’inaugurazione della nuova sala del Teatro ma, causa ritardo dei lavori, è stata ospitata in un altro spazio, senza per questo riuscire meno emozionante e coinvolgente. Parte del merito va riconosciuto alle sempre suggestive scenografie di Margherita Palli: come il testo esse sono essenziali ma dal forte potere evocativo. Una serie di teli posta come fondale cela gli attori prima dell’ingresso – pur lasciandone scorgere le silhouette in trasparenza – e funge da schermo per la proiezione dei video di Luca Scarzella che contestualizzano nello spazio e nel tempo le vicende dei tre personaggi. Sul palcoscenico pochi elementi ad alludere agli arredamenti spartani delle case rurali e alcune ricostruzioni in miniatura degli ambienti in cui si svolge l’azione, una sorta di case di bambola che gli attori portano di volta in volta all’attenzione del pubblico affinché le usi per meglio focalizzare quanto accade.
In scena un cast di soli tre attori: Eva Riccobono nel ruolo della giovane donna; Maurizio Donadoni, suo marito William detto Pony; Pietro Micci il mugnaio Gilbert Horn. Per la sua interpretazione Eva Riccobono è stata insignita a Spoleto del Premio La Repubblica come attrice emergente: l’algida trentenne palermitana sembra determinata a raggiungere a rapide falcate l’apice della professione, esattamente come accadde nella precedente carriera di modella.
L’opera, la prima scritta da Harrower, è ambientata in un mondo contadino arcaico, fatto di gesti semplici e ripetitivi che seguono il succedersi delle stagioni. William ara i campi del villaggio, lavorando dall’alba al tramonto senza risparmiarsi; vive in una casa con scuderia annessa – i cavalli sono la sua grande passione – sita un po’ fuori dal villaggio; al suo fianco una consorte giovane, infaticabile e bella. Si percepisce sin dalle prime battute come la forte differenza d’età tra i coniugi si traduca nei fatti in una subordinazione psicologica e intellettuale della moglie al marito, un rapporto di prevaricazione che tuttavia non implica la donna sia disposta ad annientare la propria curiosità verso il mondo.
Lei, nella sua apparente rozzezza di pensiero, dimostra un’insaziabile desiderio di apprendere per elevarsi. La ricerca del sapere non è finalizzata a evadere dalla modesta realtà della comunità contadina di cui fa parte quanto dal bisogno di avvicinarsi a Dio. Con l’insistenza di un bambino pieno di “perché” chiede al marito il termine esatto per definire le pozzanghere di acqua trasparente in cui si vede la terra sul fondo o gli alberi scossi forte dal vento: “devo mettere i nomi in tutto quello che ho davanti, come quando metto il coltello nello stomaco delle galline”.
È infatti ferma convinzione della donna che Dio, nella sua grande sapienza non abbia lasciato nulla al caso e quindi ogni cosa e ogni fenomeno naturale debba avere un nome preciso, solo suo. Anche lei, per prima, dovrebbe avere un nome proprio eppure Harrower non lo indica, quasi come se davanti a tanto straordinaria caparbietà dialettica l’autore ammutolisse.
Trasformando il dialogo in un gesto per avvicinarsi a Dio, Eva Riccobono restituisce il suo personaggio parlando lentamente – come riflettesse prima di proferir verbo – e scandedo ogni singola sillaba con sofferenza e sforzo.
Coltelli nelle galline si inserisce a pieno diritto nella riflessione sul valore del linguaggio che Andrée Ruth Shammah porta avanti sin dalle origini del Teatro Parenti e, assistendo allo spettacolo, si percepisce tutto il meticoloso lavoro fatto dalla regista con gli attori sul dialogo prima ancora che sulla gestualità. Oltre a queste motivazioni, ampiamente ribadite dalla regista in conferenza stampa, riteniamo ci sia un ulteriore motivo per cui Andrée Ruth Shammah abbia scelto di rappresentare proprio questo testo di David Harrower: l’affinità di spirito con la protagonista. La giovane donna, pur con tutta l’indifesa dolcezza che il suo viso emana, nei fatti è forte, una combattente che non cede di un passo sulle sue convinzioni e che si sobbarca le pesanti incombenze della fattoria mentre il marito è assente. A differenza di costui, che la tratta come una ragazzina che parla solo per perdere tempo, il mugnaio pare avere voglia di stare ad ascoltare i suoi pensieri. Eppure, anche lui, con quella sua cultura che la gente del villaggio equipara a stregoneria, non riesce a comprendere sino in fondo le scelte della donna.
Dopo tutto quello che vi abbiamo raccontato però non lasciatevi trarre in inganno: Coltelli nelle galline non è un testo di sola speculazione teorica ma è anche un dramma in cui si intessono dicerie di omicidi, riti popolari e inattesi colpi di scena. Un lavoro complesso e leggibile su più livelli che spiega il perché della fama raggiunta da Harrower; una messinscena organizzata con meticolosità ed equilibrio tra le parti che non solo conferma ma, se possibile, innalza ancor più l’ammirazione per il talento nella regia di Andrée Ruth Shammah.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Foyer
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 20 ottobre 2019
www.teatrofrancoparenti.itColtelli nelle galline
di David Harrower
traduzione Monica Capuani, Andrée Ruth Shammah
regia Andrée Ruth Shammah
con Eva Riccobono, Maurizio Donadoni, Pietro Micci
scene Margherita Palli
con la collaborazione di Marco Cristini
luci Camilla Piccioni
costumi Sasha Nikolaeva
musiche Michele Tadini
video Luca Scarzella
collaborazione alla regia Isa Traversi
assistente alla regia Beatrice Cazzaro
assistente scenografo Katarina Stancic
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti in collaborazione con gli studenti del Triennio in Scenografia di NABA, Nuova Accademia di Belle Arti Chiara Carrettoni, Chiara Sgrignuoli, Martino Grande, Francesca Pesce e Kelly Linciano
costumi della sartoria del Teatro Franco Parenti diretto da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti / Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia in collaborazione con Spoleto 62 Festival dei 2Mondi
durata 1ora e 40 minuti
lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale al Napoli Teatro Festival Italia 2019 e a Spoleto 62 Festival dei 2Mondi 2019