Antonio Latella esalta la forza del celeberrimo dramma shakespeariano rimarcandone, da un lato, la possibilità di scoprire ogni volta nuove chiavi di lettura e, dall’altro, la capacità di smuovere gli animi con immutata violenza.
Il Piccolo Teatro Studio Melato, con il pubblico disposto a ferro di cavallo attorno al palco centrale su diversi ordini di balconate, per quanto di dimensioni nettamente inferiori, strizza l’occhio al Globe Theatre eretto a Londra nel 1599 dalla compagnia di William Shakespeare. Quale spazio migliore avrebbe potuto avere a disposizione Antonio Latella per allestire Hamlet, il terzo cimento con la tragedia del Bardo incentrata sulla figura del principe di Danimarca affrontato nel corso della sua prolifica carriera. Il regista, nel programma di sala dello spettacolo, spiega che si tratta di “una promessa che feci a me stesso quando misi in scena Hamlet per la prima volta: ripensarlo ogni dieci anni – questi, all’incirca, i tempi che mi sono dato – per capire di volta in volta dove mi trovo, non solo rispetto alla regia shakespeariana, ma alla professione stessa di regista. Dirigere Hamlet significa misurarsi con il testo “del fallimento”: quando lo si affronta, si è consapevoli di non poterlo possedere interamente. È il testo “dello studio”, quello che permette di confrontarsi con sé stessi e con il proprio lavoro. A ogni età della vita, Hamlet è qualcosa di completamente diverso” (pag. 7).
Una nuova versione basata sulla drammaturgia di Linda Dalisi, elaborata a partire dalla nuova traduzione di Federico Bellini. Una nuova versione che, già in calendario nella Stagione 2019/20, può debuttare tra mille restrizioni a giugno 2021 e solamente ora tuttavia riesce a godersi il meritato tributo da parte di un pubblico che si reca a teatro senza timori.
Nell’Atto I, Scena II il re invita Hamlet a non perseverare ulteriormente con il lutto e il disprezzo verso la madre rea di essersi risposata troppo velocemente. Il gemere per il dolore secondo il re è peculiarità femminile ed ecco allora Latella assegnare il ruolo dell’infelice principe a Federica Rosellini. È lei, già in scena, che accoglie l’ingresso del pubblico e della corte di Danimarca per poi prendere posto sull’inginocchiatoio per tutta la prima parte della tragedia.
Gli attori inizialmente vestono tutti candidi completi pantalone, decisamente più abbondanti della propria taglia, in cui sguazzano come fantasmi sotto un lenzuolo: un fallimento del costume nei confronti di chi lo indossa analogo a quello del regista nei confronti del testo. In occasione dello spettacolo dei comici l’intero cast opta invece per un’aderente veste nera di foggia elisabettiana: un capo che, da un lato, si sposa con il taglio femminile dell’allestimento e, dall’altro, insieme al palese ricorso a microfoni, contribuisce a marcare l’idea del continuo appellarsi dei personaggi alla rappresentazione del diverso da sé, alla finzione e alla menzogna.
Per questa nuova versione di Hamlet Antonio Latella si cimenta con quello che si configura quale un allestimento site specific che sfrutta le peculiarità del Piccolo Teatro Studio Melato. È Hamlet in persona che solleva le assi del palcoscenico per svelare l’accesso al sottopalco da cui, nella scena successiva, emergono i comici o che si trasforma nello specchio d’acqua in cui annega Ofelia o nella nuda terra del cimitero dove si scava la sua tomba.
Giuseppe Stellato, lo scenografo, e Antonio Latella in realtà vanno ben oltre nello sfruttare le peculiarità del teatro quando, per creare una quinta che celi l’azione al pubblico, fanno entrare in scena le relle cariche delle meravigliose creazioni sartoriali cucite in occasione di spettacoli storici del Piccolo. Con quei costumi Ofelia, al culmine della pazzia, interagisce volteggiando per il palcoscenico abbracciata a loro come in un ultimo valzer.
Hamlet indossa la veste nera sbottonata a lasciar intravedere il completo candido, quasi a voler alludere a un ruolo a cavallo tra la finzione e la realtà: il testo recitato dai comici è opera sua così come, grazie al dialogo con il fantasma del padre, è l’unica persona vivente a conoscere l’empio gesto compiuto dallo zio e a poterlo indurre a gettare la maschera.
Avulso da questa simbologia cromatica è Orazio (Stefano Patti) che con il suo completo blu su misura si pone a margine delle vicende: Hamlet in punto di morte lo incarica di divulgare i tristi fatti accaduti alla corte di Danimarca ed egli, fedele alla promessa fatta, per l’occasione si fa narratore alle genti del XXI secolo. Orazio entra in scena per ultimo, quando tutti sono già accomodati ai propri posti, si posiziona dinnanzi al leggio e inizia la narrazione ricostruendo il dialogo con le guardie che hanno visto lo spettro del re ed interpretando tutte le altre parti oltre alla sua. Analogamente, la rappresentazione del dramma si conclude con la voce di Orazio che, scossa dalla commozione, racconta il tragico epilogo di quello che avrebbe dovuto essere un semplice duello tra Hamlet e Laerte. Un andamento circolare marcato dalla presenza di Fortebraccio che, inizialmente descritto come un temibile nemico, viene proposto da Hamlet quale nuovo re di Danimarca. Dalla voce di Orazio prendono inizialmente corpo man mano i personaggi della corte che nell’ultimo atto, dopo un vorticoso e giocoso rincorrersi per gli spazi del teatro, ammutoliscono lasciandogli l’onere di esporre la successione delle morti.
Dinnanzi a tutto ciò agli spettatori non è concesso rinchiudersi in sé in un muto silenzio ma sono obbligati a partecipare, diventando con le proprie emozioni parte della rappresentazione grazie alla scelta di non abbassare le luci in sala a far sì che vedano e siano visti. Un trasporto emotivo che non soffre affatto della lunghezza del testo e, per quanto in settimana Hamlet sia proposto diviso in due parti, è indubbiamente molto più coinvolgente ed emozionate approfittare della versione integrale in scena il sabato e la domenica. Le quasi sette ore di spettacolo – pause comprese – non intimoriscano: Latella enfatizza la capacità di Shakespeare di catturare e tener ben salda l’attenzione del pubblico intessendo al dramma passaggi di sublime poesia e di inatteso umorismo. Inoltre ci sono loro: Anna Coppola, Francesca Cutolo, Flaminia Cuzzoli, Michelangelo Dalisi, Marco Cacciola, Ludovico Fededegni, Francesco Manetti, Fabio Pasquini, Stefano Patti, Federica Rosellini e Andrea Sorrentino, gli attori elencati in rigoroso ordine alfabetico perché, al di là dell’innegabile importanza che i personaggi interpretati da ciascuno rivestono nel corso della rappresentazione, sono tutti parimenti eccelsi nel dar loro vita, nel farli vibrare sotto la pressione degli episodi – e delle rivelazioni – che sconvolgono la corte di Danimarca.
Il pubblico, per quanto travolto dall’ondata emotiva che la calda voce di Orazio smuove nell’atto finale, si scioglie in un entusiastico lungo applauso a dimostrazione di quanto quest’opera, patrimonio imprescindibile della cultura occidentale, a distanza di oltre quattro secoli, a ogni nuovo allestimento riesca a porgere nuove chiavi di lettura, sempre attuali, e a commuovere con immutata forza. A teatro, come nella vita, nulla deve essere dato per scontato e nessun giorno è uguale al precedente.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Piccolo Teatro Studio Melato
via Rivoli 6 – Milano
fino a domenica 30 ottobre 2022
orari: martedì – venerdì 19.30 (I o II parte)
sabato e domenica 14.00 (integrale)
lunedì riposo
www.piccoloteatro.orgHamlet
di William Shakespeare
traduzione Federico Bellini
drammaturgia Linda Dalisi
regia Antonio Latella
con Anna Coppola, Francesca Cutolo, Flaminia Cuzzoli, Michelangelo Dalisi, Marco Cacciola, Ludovico Fededegni, Francesco Manetti, Fabio Pasquini, Stefano Patti, Federica Rosellini, Andrea Sorrentino
scene Giuseppe Stellato
costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
musiche e suono Franco Visioli
assistente al progetto artistico Brunella Giolivo
assistente alla regia Paolo Costantini
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
durata: Prima parte 210 minuti compreso un intervallo di 20 minuti
Seconda parte 125 minuti compreso un intervallo di 15 minuti
Versione integrale 6 ore e 35 minuti, compresi due intervalli e un’ora di pausa tra la prima e la seconda parte
Premio Ubu per migliore spettacolo del 2021
Premio Ubu 2021 a Federica Rosellini come migliore attrice
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