La monumentalità secondo Aldo Rossi nei disegni degli ultimi 15 anni di attività in mostra alla Galleria Jannone.Pochi giorni fa, il 4 settembre, cadeva l’anniversario dalla tragica scomparsa di Aldo Rossi. L’architetto allora era all’apice della carriera e della fama, aveva ricevuto prestigiosi riconoscimenti a livello internazionale per i suoi progetti, tra cui il premio Pritzker (considerato il Nobel dell’architettura) nel 1990. A 15 anni di distanza, con Milano invasa dai progetti delle archistar o aspiranti tali, il suo nome sembra non incutere più alcun rispetto se, a inizio anno, si parlava della possibile rimozione del monumento a Sandro Pertini per lasciare spazio al dehors di un noto locale. Era allibito a questa possibilità l’architetto statunitense Peter Eisenman quando a gennaio è venuto in Italia, con l’occasione del diploma ad honorem conferitogli dall’Accademia di Belle Arti di Brera, per aggiungere la sua voce al coro che cercava di contrastare lo smantellamento del Memoriale italiano ad Auschwitz opera dei BBPR. L’allarme è rientrato (?) quando il 24 aprile, dal sito del Comune, l’assessore Maran ha annunciato che a breve sarebbero partite le operazioni di restauro dell’opera. Non siamo per la museificazione delle opere dei maestri ma riteniamo che le occasioni per rimaneggiarle o rimuoverle – che pare si presentino con una crescente frequenza – debbano essere più seriamente motivate.
Motivata invece è la scelta progettuale che ha portato a quella fontana, alla scelta dei suoi materiali, al rapporto tra le sue parti, elementi che troviamo mirabilmente riassunti nello schizzo di studio timbrato 29 nov 88 in questi giorni visibile alla Galleria Jannone a Milano. Rossi pone al centro di un foglio di formato A3 il duomo, con il candore del suo marmo di Candoglia e i chiaroscuri delle sue architetture goticheggianti, prendendolo come punto di partenza per elaborare la sua proposta, come avevano fatto, nei secoli prima di lui, centinaia di suoi colleghi.
L’attenzione al contesto, alla città “intesa come una architettura. Parlando di architettura non intendo riferirmi solo all’immagine visibile della città e all’insieme delle sue architetture, ma piuttosto all’architettura come costruzione. Mi riferisco alla costruzione della città nel tempo. Ritengo che questo punto di vista, indipendentemente dalle mie conoscenza specifiche, possa costituire il tipo di analisi più complessiva-overall della città, essa si rivolge al dato ultimo e definitivo della vita della collettività, la creazione dell’ambiente in cui essa vive.” Questo scriveva nel 1966 ne L’architettura della città, testo divenuto fondamentale per le generazioni seguenti di architetti ed urbanisti, tradotto in moltissime lingue tra cui l’inglese per opera di un allora giovane Peter Eisenman. È una dichiarazione di intenti e l’ha perseguita durante tutto il corso della sua carriera forse caratterizzata più da progetti rimasti sulla carta che realizzati ma tutti coerenti con il suo pensiero. Non dimentichiamo che anche Aldo Rossi passò da quella straordinaria fucina di architetti col dono dell’intelletto che era la redazione di Casabella-Continuità durante la direzione di Ernesto Nathan Rogers, dal 1955 al 1964.
La città fa spesso capolino dai disegni in mostra, datati tra il 1980 ed il 1996, anno della morte; sono indubbiamente gli appunti di un architetto al lavoro: a volte schizzi per fissare un’idea a volte rilievi di un contesto in cui andare a inserire il proprio progetto; tracciati con la penna e poi, se necessario, acquerellati per far venir fuori i materiali, i volumi le profondità; con misure e note per i collaboratori. Non si tratta delle visioni delle città metafisiche che Rossi ha dipinto su grandi formati per tutto il corso della sua vita, ma di immagini più concrete, restituzioni del flusso dei pensieri che godono del valore aggiunto dell’essere parte di un percorso creativo, quella meno tecnica e più divertente di un periodo in cui negli studi quasi non si usavano i computer: tutto era rigorosamente realizzato a mano salvo la scorciatoia di giocare con fotocopiatrice per ridurre o ingrandire parti dell’edificio indi dedicarsi all’arte del collage.
Passeggiate per la galleria e perdetevi in un turbinio di piante, prospetti, assonometrie ma, soprattutto, vedute a volo d’uccello che gli consentivano di non perdere il controllo sull’insieme; soffermatevi a rimirare l’imponente monumentalità dei progetti rossiani che grida da ogni foglio di carta: la sede del Politecnico alla Bovisa, il Deutsches Historiches Museum, gli edifici per i tanti concorsi della Berlino riunita ma anche la scuola e la palestra di Cantù.
La forza delle sue combinazioni di solidi puri che avvicinavano l’architettura alla scultura (ma anche al design, settore in cui ha lasciato un segno indelebile con i suoi prodotti), la violenza della plasticità dei suoi progetti che nella storia ha trovato un degno rivale solo in Ledoux, la vivacità dei colori che contribuivano a trasformare un semplice edificio in un landmark e il richiamo costante agli elementi costruttivi dell’architettura classica – ma privati di fronzoli e decori – ne hanno fatto uno dei maestri più imitati degli anni ’80 e ’90 ma senza che se ne riuscisse ad eguagliare l’armonia della composizione.
Silvana Costa
La mostra continua:
Antonia Jannone – disegni di architettura
c.so Garibaldi 125 – Milano
Orari: dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 19.30
la mattina su appuntamento
www.antoniajannone.itAldo Rossi. Disegni 1980 – 1996
circa venti opere in mostra: acquerelli, collage, disegni a penna e a matita
Fino a mercoledì 31 ottobre 2012
Catalogo disponibile in galleria con testo di Philippe Daverio