Triennale Milano ospita sino al 13 ottobre la mostra Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini prodotta insieme a Fondation Cartier pour l’art contemporain. È un omaggio a colui che ha curato mostre e ha partecipato – con idee a tratti visionarie – a progetti di entrambe queste importanti istituzioni culturali.
Il titolo della mostra dedicata ad Alessandro Mendini allestita nello spazio Cubo del Palazzo dell’Arte di Milano è mutuato da un disegno del 2006 intitolato Io non sono un architetto. Sono un drago, una sorta di autoritratto in forma di essere fantastico in cui l’autore mette insieme tutte quelle competenze, quegli interessi e quelle responsabilità che vanno ben al di là della riduttiva definizione di architetto. La creatura innesta su un corpo da architetto un petto da manager, una testa da designer, mani da artigiano, gambe da grafico ma con piedi da artista, una coda da poeta e un’ironica pancia da prete. Parti che, come le sei sezioni della mostra, si armonizzano tra loro e conferiscono all’insieme un’inattesa quanto affascinante ricchezza di sfumature. Sezioni curate dallo storico dell’architettura Fulvio Irace in collaborazione con Archivio Alessandro Mendini. A Pierre Charpin è affidata la progettazione dell’allestimento, incarico svolto anche nel 2010 in occasione della terza interpretazione del Triennale Design Museum, intitolata Quali cose siamo e curata proprio da Alessandro Mendini.
Il continuo esercizio di autorappresentazione compiuto da Mendini nel corso della propria vita è protagonista della prima sezione del percorso di visita: Identikit. Sono molteplici le tecniche utilizzate per i molti ritratti allineati sulla parete a destra dell’ingresso, intesi a mettere in luce la complessità del carattere unitamente alla ricchezza di interessi. Nato nel 1931 in una famiglia della borghesia colta milanese Alessandro Mendini si laurea in architettura al Politecnico nel 1959 e già l’anno seguente lavora allo Studio Nizzoli di cui diviene associato e dove resta sino al 1970. Le contestazioni che dalla fine degli anni Sessanta scuotono tutto il mondo coinvolgono anche Mendini che inizia a interrogarsi sul ruolo dell’architetto nella società contemporanea, riflessioni che lo portano allo scardinamento delle convenzioni e ad abbracciare le idee del Radical design. Risalgono infatti a quel periodo i ritratti espressione del bisogno di rompere schemi e valori del passato e, tra i tanti, emergono quelli dissacranti in veste di prigioniero di Mauthausen (1974), quelli in cui indossa un’aureola (1972 e 1973) o dove è crocifisso (1974). Hanno un carattere gioioso e ludico i ritratti fotografici e gli autoritratti elaborati all’inizio del nuovo millennio, a indicare, come ribadito in molte interviste, un nuovo approccio alla progettazione improntato al piacere di giocare con colori e forme per stupire l’osservatore/fruitore.
La componente ludica è alla base dei lavori esposti nelle altre tre sezioni ospitate nel Cubo a iniziare da La sindrome di Gulliver che trova una spettacolare premessa già all’ingresso della mostra, con una versione gigante della Poltrona di Proust (2002), opera realizzata per la Fondation Cartier pour l’art contemporain e dipinta da Claudia Mendini. Il visitatore, moderno Gulliver, si ritrova a ogni passo, a ogni volger lo sguardo a confrontarsi con oggetti fuori scala, al cui cospetto si sente ora gigante ora lillipuziano, come per esempio accade con la Petite Cathédrale (2002), che al suo interno racchiude un idolo dorato, contrapposta ai Mobili per uomo: Guanto, Scarpa e Giacca (tutti 1997). La cattedrale, l’idolo e i mobili – come altre opere presenti nel resto della mostra tra cui molte versioni del Cavaliere di Dürer – sono interamente rivestiti di mosaico, un elemento decorativo ricorrente nelle creazioni di Mendini che, da un lato, gli consente di conferire loro uniformità a prescindere dalla tipologia e dalla dimensione e, dall’altro, richiama l’idea dell’apporto delle singole parti, tutte rigorosamente di qualità, a realizzare un prodotto finito di grande eccellenza e complessità. La collaborazione è in fondo la filosofia imperante all’Atelier Mendini, fondato con il fratello Francesco, che egli ama definire una comunità progettante. Il mosaico trova una sorta di eco anche nel motivo ispirato al Pointillisme francese utilizzato per esempio nel tessuto che riveste la Poltrona di Proust.
Poco oltre su un tavolo sono disposte miniature degli Oggetti per uso spirituale dai toni drammatici, intesi a indurre profonde riflessioni esistenziali, ideati negli anni Settanta, nel periodo in cui Mendini abbraccia il Radical design – i cui originali sono esposti nell’ultima sezione della mostra – intervallate a quelle della Poltrona di Proust, idea sviluppata alcuni anni dopo quando si unisce al gruppo Alchimia di Alessandro e Adriana Guerriero. Un secondo tavolo, quasi contrapponendosi al precedente, fa da base d’appoggio a La giostra delle meraviglie (2000), una rassegna di miniature di celeberrimi oggetti prodotti da Alessi esposti su una giostra da luna park. Tra le miniature fa capolino anche il volto di Anna G. utilizzato per l’iconico cavatappi e, a seguire, per altri accessori da bar che marcano il definitivo approdo di Alessandro Mendini a una fase ludica del proprio lavoro, inteso a creare prodotti che non incutano più timore nelle persone ma si propongano come loro amici e trasmettano gioia e simpatia.
Tramettono gioia anche gli edifici esposti nella sezione Architetture, presentati con plastici e disegni dal sapore futuristico e visionario anche quando, come per esempio nel caso del Groninger Museum (1988/94), sono passati da idea a realtà. Interventi a diverse scale, dai più puntuali come il Ponte dell’Accademia a Venezia (1985) o la Torre del Paradiso a Hiroshima (1989) al quartiere residenziale Posco a Seoul (2013), in cui alle forme in genere estremamente semplici e pulite si sovrappone un complesso apparato decorativo a conferire personalità all’insieme.
Edifici in cui la composizione – ovvero l’assemblaggio dei vari livelli, sviluppato ciascuno da differenti membri del gruppo – prevale sulla progettazione.
Lungo il lato opposto della sala sono allineati mobili concepiti con lo stesso principio delle architetture a dimostrazione della coerenza dell’approccio progettuale adottato da Alessandro Mendini a prescindere dalle destinazioni d’uso e, ovviamente, dalla scala di intervento.
L’asse che attraversa la sala espositiva, con origine dal nucleo espositivo de La sindrome di Gulliver, si conclude con una rassegna dei vasi cui Mendini conferisce ancora una volta sembianze antropomorfe: paiono una sorta di amuleti disposti attorno al grande totem della Tête Géante (2002). Amuleti intesi a proteggere l’uomo dalla fragilità intrinseca al proprio essere come sottolinea la riproduzione del Plan du Fragilisme elaborato nel 2002 per la Fondation Cartier. La sezione Fragilismi si compone di una selezione di schizzi di studio intesi a dar forma a progetti e fantasie, in cui si coglie la spontaneità dell’idea messa di getto su carta prima che svanisca, con uno stile istintivo che strizza l’occhio ora al fumetto ora al disegno dei bambini o, se si preferisce un paragone più aulico, all’Arte primitiva.
Alla leggerezza delle sezioni ospitate nella prima sala si contrappone la protesta descritta da Radical Melancholy nella seconda sala. L’inizio degli anni Settanta coincide con la presa di coscienza del ruolo dell’architettura in un periodo storico drammatico, segnato dall’inasprirsi della dialettica politica e dei conflitti sociali. Mendini fa di Casabella, la rivista di cui diventa direttore nel 1970, l’organo del Radical design: la copertina del numero 367 di luglio 1972 con il gorilla che mostra sul petto la scritta “Radical Design” fissa nel tempo la nascita del movimento teorico e pratico che cambia la storia dell’architettura e del design in Italia. Un movimento che non disdegna l’utopia come ideale cui tendere, consapevole che per quanto inafferrabile consentirà pur sempre di elevare la qualità del proprio lavoro. Mendini elabora in quegli anni gli Oggetti per uso spirituale di cui fanno parte una serie di sedie su cui è indubbiamente impossibile sedersi, destinate a performance dall’alto valore simbolico coma accade con Lassù cui viene dato fuoco e l’immagine del rogo è poi utilizzata per la copertina di Casabella numero 391 di luglio 1974.
Tali oggetti si contrappongono a quelli della successiva fase del Re-design, sviluppati all’interno del gruppo di Alchimia, nati dalla constatazione che nel mondo tutte le forme già esistono e, quindi, per creare nuove immagini è sufficiente rinnovare gli oggetti esistenti.
Un’ultima sezione è rappresentata da una serie di Stanze, ciascuna con un tema ben definito e con una propria personalità, sature – anche quando prive di mobili – di citazioni, ricordi, sogni e incubi. Le Stanze elaborate da Alessandro Mendini per eventi e ricostruite in occasione della mostra Io sono un drago sono: Interno di un Interno, mobili e oggetti. Proust in una stanza ideata per Dilmos in occasione del Salone del Mobile del 1991, caratterizzata dall’imperare della fantasia pointillista su qualsiasi superficie e oggetto ivi presente; la Stanza del Secolo, un contributo alla mostra Incontri ravvicinati di architettura allestita nel 1978 a Palazzo Diamanti di Ferrara in cui viene presentata per la prima volta al pubblico la Poltrona di Proust e Le mie prigioni concepita per la mostra Stanze, altre filosofie dell’abitare organizzata nel 2016 alla Triennale durante il Cosmit.
L’omaggio reso da Triennale ad Alessandro Mendini si completa con una serie di altre iniziative che spaziano dalla riproduzione fuori scala del Mendinigrafo lungo le pareti dello Scalone d’Onore all’esposizione nello spazio Cuore di una serie di pubblicazioni sul suo lavoro, dalla bandiera disegnata per il progetto Draw me a Flag del 2018 issata in giardino all’installazione What? A homage to Alessandro Mendini by Philippe Starck visitabile sino al 1° settembre nell’Impluvium.
La mostra principale è accompagnata da un corposo catalogo pubblicato da Electa.
Silvana Costa
La mostra continua:
Triennale di Milano
viale Alemagna, 6 – Milano
prorogata a domenica 10 novembre 2024
orari: martedì-domenica 10.30-20.00
ultimo ingresso alle 19.00
www.triennale.orgIo sono un drago
La vera storia di Alessandro Mendini
a cura di Fulvio Irace
una produzione Triennale Milano, Fondation Cartier pour l’art contemporain
in collaborazione con Archivio Alessandro Mendini
progetto di allestimento Pierre CharpinCatalogo:
Io sono un drago
La vera storia di Alessandro Mendini
a cura di Fulvio Irace
Electa, 2024
20×30 cm, 312 pagine, 500 illustrazioni
prezzo 45,00 Euro
www.electa.it