Gli schizzi dell’architetto portoghese in mostra alla Galleria Jannone.
Quella dell’inaugurazione della mostra di disegni autografi di Álvaro Joaquim de Melo Siza Vieira – questo il nome per intero – è stata una piacevole serata informale alla Galleria Jannone: c’erano tutti, ma proprio tutti! I fotografi di fama internazionale; i grafici pluripremiati; i docenti del Politecnico; gli architetti noti, quelli che lo saranno a breve e decantano la pubblicazione di un loro lavoro sulla rivista straniera di turno e quelli che non lo saranno mai, ma non per questo il loro ego si sente sminuito; la Milano bene e tanti, tantissimi giovani in attesa di vedere il mito dell’architettura portoghese contemporanea. Siza tarda, la padrona di casa è in fermento, i crocchi di amici si scompongono e si ricompongono in altra formazione, ma nessuno abbandona le posizioni, al massimo ci si sposta in cortile lasciando così la possibilità agli ultimi arrivati di ammirare con la giusta calma gli schizzi appesi alle pareti.
Mai altro titolo avrebbe potuto calzare meglio per questa carrellata di fogli, in genere di formato A4, scelti nel mucchio di quelli riempiti durante le fasi di elaborazione di ciascuno dei suoi progetti. Sono il diretto riversamento su un pezzo di carta – il primo che viene in mano, sia anche di riciclo o strappato alla meno peggio da un blocco nuovo – del flusso di idee che gli volteggia in mente. Con la matita, un pennino o una semplice biro traccia vedute a volo d’uccello del complesso popolare della Quinta da Malagueira e subito sotto, incastrata con la precedente, una prospettiva di come la condotta per la distribuzione di acqua ed energia che riprende l’asse ed reinterpreta in chiave oderna l’antico acquedotto romano di Èvora, vera e propria spina dorsale dell’intero intervento, si connetta al singolo edificio e via a scendere di scala fino al dettaglio riempiendo ciascuno degli spazi bianchi ancora liberi. Un altro foglio, un’altra serie di prove intervallate da un attimo in cui il pensiero si distrae ed ecco che di fianco alle vedute del futuro insediamento compaiono mani, volti o composizioni di solidi che però questa volta ritroveremo nel gioco di vuoti e pieni degli edifici.
Alcuni schizzi sono essenziali: poche linee componendosi danno l’idea dei volumi complessi del Centro Galego de Arte Contemporãnea a Santiago de Compostela; altri sono più sofferti, pensati, corretti, riempiti di tratteggi per indicarne i materiali, con rimandi ad un dettaglio costruttivo e fitti di appunti o specifiche tecniche; altre volte sono diventati lo spazio per appuntare un pensiero o, come più sovente avviene in studio mentre si lavora, un numero da chiamare, una cosa da fare. Fogli vissuti, con le macchie del tempo e della colla ingiallita del nastro adesivo usato per fissarli sulla planimetria generale o su versioni precedenti dello stesso edificio.
Questi piccoli mondi, per la maggior parte monocromatici, sono popolati: da omini lecorbuseriani che salgono le scale, da caricature o, dipende dal momento, da un volto noto che in quel momento si affacciava alla porta dello studio o dei ricordi.
Nel catalogo, Vittorio Gregotti ci ricorda però come anche i “disegni tecnici, geometrici, di progetto, hanno costruito, nella ricchezza e nella precisione dei tratti, una vera e propria identità morfologica della scrittura di un’intera generazione: anche fuori dalla scuola di Oporto, anche fuori dal Portogallo”.
I materiali esposti sono riferiti a progetti costruiti piuttosto che lavori rimasti solo sulla carta, partono dagli anni ’60 per arrivare sino agli albori del nuovo millennio. Agli schizzi di alcuni dei progetti che poi sono stati realizzati, tra cui la piscina a Leça da Palmeira o il padiglione portoghese per l’Expo del 1998 a Lisbona, sono associate suggestive foto di Gabriele Basilico e Roberto Collovà che per molti sono legati indissolubilmente all’iconografia dei lavori più celebri.
Nel catalogo, alle riproduzioni dei 33 disegni in vendita, sono alternate frasi inerenti all’importanza che il vincitore del premio Pritzker (nel 1992) assegna al disegno: sia nella fase di progettazione che come strumento di comunicazione. Altro pezzo forte di tale volume è il testo con cui Vittorio Gregotti ripercorre le tappe della lunga amicizia col collega portoghese.
Ricordando che proprio dalle pagine delle riviste dirette dal professor Gregotti, anche attraverso i reportage dei due fotografi suddetti, gli italiani hanno iniziato a conoscere i lavori dell’architetto lusitano che con Fernando Távora (suo maestro) è stato il capofila della Scuola di Oporto e protagonista della rinascita sociale e architettonica del nuovo Portogallo uscito dalla dittatura, capiamo quindi perché all’inizio del percorso espositivo si sia scelto di appendere i loro divertenti ritratti a guisa di moderni Lari.
Silvana Costa
La mostra continua:
Antonia Jannone – disegni di architettura
c.so Garibaldi 125 – Milano
orari: dal lunedì al venerdì dalle 15.30 alle 19.30
la mattina su appuntamentoÁlvaro Siza – disegni e pensieri
fino a mercoledì 30 novembre 2011
Catalogo in galleria con testo di Vittorio Gregotti