Forma compie la coraggiosa scelta di esporre sino a fine agosto i lavori di Antoine D’Agata: uno dei personaggi più controversi nella panorama della fotografia contemporanea.Tanto sorpresi quanto entusiasti segnaliamo la scelta coraggiosa dello Spazio Forma di ospitare, sino a fine agosto, Anticorpi, una selezione delle fotografie realizzate da Antoine D’Agata tra la sofferenza che devasta corpo e spirito, indistintamente, ad ogni angolo del pianeta. I muri della sala espositiva sono interamente tappezzati da sequenze di terrore e degrado umano, rendendo impossibile l’estraniamento se non chiudendo gli occhi come, metaforicamente, troppo spesso, fa il mondo occidentale. Seppur vietata ai minori di 18 anni, la mostra non va assolutamente bollata riduttivamente come pornografica: in realtà queste immagini sono quanto di più lontano possibile dall’osceno; cariche di una forte valenza politica, ci restituiscono un quadro chiaro ed inequivocabile delle schiavitù che vessano le genti del XXI secolo.
L’esposizione mischia tra loro le due anime del fotografo: i reportage per la stampa e il suo personale percorso di ricerca; il testimone delle vicende storiche e l’artista che si mette in gioco in prima persona divenendo egli stesso oggetto d’indagine; la mera cronaca e l’intangibilità della psiche umana. Come accade nella vita di Antoine D’Agata, il confine tra queste due esperienze è estremamente labile: anche nell’allestimento i temi sono stati alternati tra loro non solo nel tentativo di ricostruire la metodologia adottata da uno dei fotografi tra i più interessanti attualmente all’opera, ma pure per suggerire un’analisi sociologica della causa-effetto del degrado.
Analizzando le tappe del cammino professionale di D’Agata, emerge il profilo di un autore curioso del mondo e dotato di una sensibilità rara che gli permette di accostarsi ai soggetti che vivono ai bordi della società, della morte e della follia. Adotta un approccio da asettico documentarista che ritrae scene di vita senza esprimere giudizi morali e finti pudori, prediligendo foto sequenze ai singoli scatti come nel tentativo di raccontare, in modo compiuto, l’infinita agonia di corpi in cerca di pace: vera o artificiale che sia. Spinto da un misto di trasporto ed incoscienza, lascia Marsiglia poco più che ventenne per conoscere il mondo, spingendosi sino al punto di vivere insieme agli emarginati, ai reietti, alle prostitute con cui sembra condividere tutto: sesso, emozioni, paure, fragilità, ossessioni.
Eliminata ogni forma di lucidità, come in preda alle visioni generate dagli stupefacenti che distorcono le percezioni sensoriali, le sue foto ci svelano, senza filtri né pregiudizi, il mondo dei bordelli paulisti, cambogiani o giapponesi che siano, dei rifugi di fortuna per senzatetto, dei tossicodipendenti: in fondo il clima di sottesa violenza – fisica e psicologica – è identico. A partire dal 1998, questi servizi sono stati raccolti in volumi con cui D’Agata attira l’attenzione del pubblico e i riconoscimenti della critica; nel 2006, gira la sua prima fiction, Aka Ana ovvero 120 notti trascorse nei quartieri a luce rosse di Tokyo, Osaka e di altre città nipponiche; risale al 2012 il suo ultimo libro Ice, frutto degli anni trascorsi in Cambogia.
Ipnotizzati dall’effetto psichedelico delle immagini, restiamo attoniti a fissare queste storie di vite sospese sul ciglio dell’abisso, come immortalate nel momento esatto in cui il corpo inizia a precipitare verso il vuoto. Basiti ci domandiamo se in quei corpi che giacciono su materassi buttati a terra sia ancora presente un anelito di vita, se quegli occhi vitrei possano tradire una qualche attività cerebrale. Ci soffermiamo sorpresi da quanta desolazione possa scaturire da un bacio estorto con violenza durante un atto sessuale mentre la nostra mente corre a confrontarlo con la versione più romantica e stereotipata del gesto cui è dedicata un’intera sezione della monografica su Gianni Berengo Gardin in corso a Palazzo Reale.
In mostra, come accennavamo, sono presenti anche alcuni dei celebri servizi realizzati per conto di testate internazionali in luoghi evocativi quali la Libia, la Palestina, od Auschwitz: pur non rinnegando questo aspetto della propria produzione, D’Agata stesso ammette che tale tipologia di scatti gli procura un minor coinvolgimento emotivo. Entrambe le sezioni sono però importanti per cogliere la complessità di un artista affascinato dal livello inconscio della mente e dai moti di sopraffazione dell’essere umano sui suoi simili.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Forma
piazza Tito Lucrezio Caro, 1 – Milano
fino a domenica 1 settembre
orario tutti i giorni 11 – 21; giovedì 11 – 23; lunedì chiuso
www.formafoto.itAnticorpi
fotografie di Antoine D’Agata
a cura di Fannie Escoulen e Bernard Marcadé
produzione di Fondazione Forma per la Fotografia
in collaborazione con Le Bal di Parigi e Fotomuseum Den Haag
la visita alla mostra è vietata ai minori di 18 anniCatalogo:
Anticorps
Xavier Barral Editions
560 pagine; 195 x 260 mmDidascalie:
Nuevo Laredo, 2005
Sao Paulo, 2006
© Antoine D’Agata/ Magnum Photos