Biennale Architettura 2023: le partecipazioni nazionali all’Arsenale

Alla scoperta delle più interessanti tra le delegazioni nazionali alla 18. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia che espongono all’Arsenale.

Usciti dalle Corderie la prima rappresentanza nazionale in cui ci si imbatte entrando nelle Artiglierie è quella della Repubblica delle Filippine. Il Padiglione è occupato in buona parte da un’enorme boa in bambù, un oggetto chiaramente fuori scala, dalle dimensioni tali da poterci agevolmente salire e camminare dentro, intesa, anche se collocata sulla terraferma, a lanciare un segnale forte e chiaro del pericolo derivante dall’inquinamento del fiume Pásig. Al contempo, esporla in un simile contesto internazionale, concepito dalla curatrice Lesley Lokko come The Laboratory of the Future, manifesta il chiaro impegno dell’amministrazione pubblica ad agire concertando l’azione con la popolazione.
Tripa de Gallina: Guts of Estuary è il titolo del progetto che fa riferimento a uno specchio d’acqua sito nella città di Manila, circondato dai Barangays 739, 750 e 751, parte del ramificato estuario formato dal Pásig che termina la sua corsa verso il mare nella baia della città. Gli ecologisti sostengono che, a causa degli alti livelli di inquinamento raggiunti, anche per colpa dei rifiuti quotidianamente riversati in acqua, il fiume sia da considerarsi biologicamente morto.
Il governo, tramite questa installazione, vuol dare risonanza alle azioni in corso per mitigare il rapporto tra la città e l’ambiente, coinvolgendo in questo caso gli abitanti dei quartieri – i barangays – affacciati sul Tripa de Gallina in un’azione congiunta che nasca dal confronto delle reciproche esigenze, da cui anche la forma circolare della boa al cui centro è proiettato un video che mostra le attuali condizioni dell’estuario. Lungo le pareti del padiglione sono collocati gruppi di pannelli a illustrare ora il rapporto della gente con il fiume nel corso della storia, ora interviste alla comunità, ora i capisaldi del progetto di riqualificazione.
Nel Padiglione adiacente anche l’Albania si interroga sul futuro di uno specchio d’acqua della propria capitale. Si tratta del grande lago artificiale realizzato negli anni Cinquanta, contestualmente al vicino Dinamo Stadium, su un terreno incolto alle porte di Tirana convertito in parco e punteggiato da strutture sportive.
A Venezia, in uno spazio espositivo trasformato in spiaggia, seggioline invitano il pubblico a sedersi e guardare i filmati volti a descrivere un ecosistema lacustre fortemente compromesso e a denunciare l’impellente necessità di ristrutturare mettendo a norma l’insieme di impianti sportivi. Alla luce di un intervento non più a lungo procrastinabile ci si chiede quale debba essere il ruolo dell’architetto, sospeso tra la necessità di rispettare funzioni di luoghi imprescindibili della vita della capitale e, dall’altro, di esplorare, anche ricorrendo alla tecnologia, nuove destinazioni d’uso, più in linea con i moderni stili di vita urbani.

Giunta alla decima partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia la Lettonia invece coinvolge i visitatori in un sondaggio per scoprire quali tematiche e, quindi, quali tra queste edizioni li abbiano maggiormente coinvolti. Il Padiglione è trasformato in un variopinto supermercato metafora della Biennale, gli scaffali sono etichettati con i titoli delle varie edizioni mentre i prodotti simboleggiano i padiglioni nazionali i cui ingredienti, riportati sulle etichette di vasi, scatole e vaschette, sono le idee cui hanno dato voce. Ingredienti tutti parimenti di qualità che non possono dunque costituire la discriminante di un’operazione di scelta che, con così ampia offerta, può rivelarsi spossante.
Il fine ultimo dei curatori non è certamente mettere in difficoltà i visitatori quanto dimostrare che all’atto di decidere prevarranno le convinzioni individuali e la vicinanza a certe tematiche piuttosto che ad altre. Accade così quando si va al seggio per elezioni o referendum. Accade così quando si fa la spesa e, come in quel caso, anche al Padiglione Lettonia all’uscita del supermercato, compiuta la scelta, si riceve l’immancabile scontrino.

Il cambiamento climatico inevitabilmente causerà l’estinzione di numerose specie vegetali, per tale motivo oggi si contano sempre più banche del seme, istituzioni di livello transnazionale volte a custodire in luoghi protetti, a temperatura controllata e pressoché inaccessibili il patrimonio genetico delle piante oggi esistenti sulla Terra, incluse quelle velenose. A queste istituzioni si ispira Moving Ecologies, il progetto espositivo proposto dal Cile. Entrando nel Padiglione si ha l’impressione di trovarsi in un campo coltivato: duecentocinquanta esili steli campeggiano al centro della sala e sorreggono ciascuno una sfera trasparente che, a guisa di un frutto maturo, custodisce semi pronti per essere sparsi nel terreno, germogliare e a loro volta dare frutti.
I semi qui utilizzati in realtà hanno capacità di germinazione molto bassa se non nulla eppure la loro presenza basta per conferire all’allestimento un forte potenziale evocativo: in Cile esiste la banca dei semi di Vicuṅa dove sono catalogate e conservate le sementi di tutte le specie endemiche e native del Paese e vi attingono i paesaggisti per ripristinare un paesaggio o un’area urbana, per ricostruire la vita e porla in relazione con l’architettura là dove – quasi sempre per colpa dell’uomo – c’era ormai solo terra brulla. Il campo nel Padiglione è ripartito tra cinque differenti tipi di colture: specie in grado di colonizzare terreni urbani fortemente degradati; specie in grado di bonificare il suolo; specie che migliorano la qualità della vita urbana; specie per il ripristino dopo una catastrofe naturale e specie utilizzate per il ripristino dopo gli incendi.
La capacità delle specie vegetali di adattarsi a climi aridi e portare vita e bellezza dove sembrerebbe impossibile è nota ma ciò non toglie che, come tutti gli esseri viventi, anch’esse abbiano bisogno di acqua per sopravvivere. Entrando nel Padiglione del Regno del Bahrain si resta inizialmente affascinati dalla visione di un sistema di verdeggianti giardini e orti incuneati tra le sabbie del deserto. Guardando meglio ci si rende conto di come l’agricoltura in quei luoghi estremi, in base a un progetto di ricerca da cui si è preso spunto per questa installazione, sia resa possibile grazie a un ingegnoso sistema di approvvigionamento idrico che letteralmente attinge da città rese via via sempre più confortevoli da potenti sistemi di condizionamento. I curatori spiegano che in un clima dall’alto tasso di umidità come quello del Bahrain l’acqua prodotta, sia dai macchinari per la deumidificazione sia sotto forma di condensa che si accumula sulle superfici vetrate, invece di essere dispersa, potrebbe essere dirottata verso gli impianti di irrigazione di campi, orti e giardini. Senza incoraggiare l’abuso dei condizionatori i ricercatori hanno infatti stimato che i sistemi di condizionamento attualmente in uso nel Regno potrebbero garantire una produzione annuale di 74 milioni di metri cubi d’acqua.
Sono luoghi estremi anche quelli descritti dai curatori del Padiglione Irlanda in un’esposizione che affonda le radici nell’antichità, nel mito di Hy-Brasil, un’isola che si leva dalle acque dell’Oceano Atlantico, a lungo cercata dagli esploratori e rappresentata sino al XIX secolo nelle carte nautiche, pur sempre con differenti coordinate. L’idea di un’isola lontana dalle rotte delle navi commerciali e dei suoi abitanti, chiusi in comunità dal rapporto simbiotico con l’oceano, non è molto lontana da quanto accade nella realtà sulle piccole isole irlandesi.
La ricerca da cui si è mutuato il materiale per l’evento veneziano indaga in particolare lo stile di vita a Inis Meáin, Sceilg Mhicíl e Cliara, minuscoli lembi di terra, ultimi eroici avamposti di civiltà prima della sconfinata immensità dell’oceano. Isole che sfoggiano con orgoglio un nome gaelico a dichiarazione della tenacia con cui lì si difendono tradizioni e storie ancestrali.
Al centro del Padiglione una montagna di lana nera sottolinea come le pecore, con il loro placido brucare, siano tra i pochi animali che si adattano a quell’orografia movimentata e ai forti venti che ne spazzano il territorio per molti mesi all’anno. Intorno una serie di pannelli in un continuo rimando dal locale al globale, pongono l’accento da un lato sugli stili di vita riscontrati, forse più frugali ma indubbiamente più sani e sostenibili rispetto a quelli continentali, e dall’altro alle strategie di sopravvivenza adottate in territori a tratti ostili. Strategie volte al contenimento massimo di ogni forma di spreco, a iniziare da quello energetico, che i curatori dimostrano di aver appreso nel momento in cui scelgono di non predisporre alcun dispositivo di illuminazione artificiale degli spazi, lasciando che la sera o in giorni di pioggia – come quelli che hanno accompagnato l’apertura di questa edizione della Biennale – il buio pervada gli spazi del Padiglione.

Ulteriori Padiglioni nazionali sono collocati in uno dei due edifici delle Sale d’Armi.
Al piano terra, in sale contigue, si possono visitare i Padiglioni di due Stati culturalmente e geograficamente vicini tra loro, ove si affrontano tematiche per molti aspetti complementari.
Il progressivo innalzamento delle temperature porterà inevitabilmente con sé l’inaridimento di ampie porzioni della superficie terrestre. In attesa che un simile scenario si concretizzi, al Padiglione degli Emirati Arabi Uniti, nell’installazione Aridly Abundant, si mostrano tecniche costruttive raffinate nel corso dei secoli che non prevedono l’impiego di acqua. Modalità oggi integrate da strumenti tecnologici ad agevolare la progettazione e l’assemblaggio delle murature. In particolare, sono illustrate tecniche di costruzione con la pietra tipiche delle pianure costiere della regione di Al Hajar dove il ruolo del protagonista è assegnato ai muretti a secco cui sono inoltre accostate ulteriori soluzioni, quali le schermature semitrasparenti, a rendere climaticamente più confortevoli gli edifici.
IRTH إرث, l’esposizione allestita poco più avanti, nel Padiglione del Regno dell’Arabia Saudita – quest’anno alla sua terza partecipazione alla Biennale di Architettura di Venezia – ribadisce come le tecniche costruttive,  le forme, i materiali e anche gli aromi che impregnano gli edifici siano elementi più che sufficienti a identificare un luogo tra mille. Il titolo può essere tradotto in italiano sia con il termine “eredità” sia come “bene prezioso” perché, in fondo, sono sinonimi in quanto il lascito dei genitori e degli avi in genere sancisce il senso di appartenenza a una comunità da cui mutuare valori e tradizioni fondamentali per determinare la propria identità.
L’allestimento del Padiglione saudita, opera dell’architetto AlBara Saimaldahar, propone una successione di ambienti separati da archi rivestiti con mattonelle stampate in 3D che strizzano l’occhio ai motivi decorativi peculiari della città vecchia di Jeddah. Superando un arco dopo l’altro si giunge al cuore dell’installazione dove dal buio emerge una colonna in argilla da cui fuoriescono fasci luminosi a disegnare ricami sulle pareti circostanti, il pavimento e le volte di copertura, conferendo all’ambiente un’allure mistica. L’oggetto, stampato anch’esso in 3D, terminata la Biennale verrà collocato sul fondale del Mar Rosso per stimolare la crescita di coralli e altre forme vita marina: una preziosa e concreta eredità per le prossime generazioni.
Uscendo i visitatori sono invitati a lasciare un segno della propria visita, collocando una mattonella sui portali che marcano la fine del percorso: una testimonianza del loro passaggio per quanti successivamente vorranno esplorare quegli spazi.

Si resta sorpresi quando, lasciandosi alle spalle tali installazioni volte a evocare architetture e culture lontane, ci si ritrova catapultati in un campo da basket. Il Padiglione Messico è infatti stato trasformato in un frammento di campo da pallacanestro, con il pavimento in cemento dipinto di giallo e blu. I curatori sottolineano come nelle aree rurali dello Stato questi non siano meri spazi ricreativi e sportivi, mutuati dalla cultura statunitense, ma veri e propri luoghi di dibattito sociale e politico dove nascono e si sviluppano le utopie di resistenza indigena a un sistema colonialista.
La loro costruzione ha inizio negli anni Quaranta, promossa dal Presidente Lazaro Cardenas quale parte di un più ampio progetto di infrastrutturazione delle regioni agricole. In breve tempo, per esempio, gli zapatisti prendono a utilizzarli per dibattiti e feste popolari mentre nel Chiapas diventano solide piattaforme su cui installare mercati e centri medici temporanei. Usi indubbiamente alternativi e un po’ creativi rispetto agli intenti eppure alla fine comunque in linea con il proposito di arrecare benefici alle comunità locali.

Ricerche scientifiche rivelano come le fonti alimentari dell’uomo dell’era Paleolitica e Mesolitica nelle regioni temperate e tropicali fossero prevalentemente a base vegetale, integrate da piccoli animali. Ne consegue, come ipotizza la scrittrice americana Ursula K. Le Guin nel saggio The Carrier Bag Theory of Fiction (1986), che i primi oggetti inventati dall’uomo devono essere stati dei contenitori atti a trasportare i frutti e le radici raccolti e non strumenti per cacciare, aprendo così la porta a una nuova visione della storia che sostituisce alle epopee di coraggiosi eroi il duro lavoro quotidiano degli agricoltori.
La teoria è fatta propria dei curatori del Padiglione Turchia che con l’installazione Storie di Fantasmi: la Teoria del sacchetto dell’Architettura abbracciano l’interpretazione dell’edificio come contenitore di storie e di vita. È questa un’analogia proposta in diverse declinazioni anche da alcuni dei practitioner presenti alle Corderie: si pensi per esempio all’installazione Emotional Heritage di Flores & Prats Architects. Alla luce di ciò, se gli edifici esistenti da trasformare sono il sacchetto, il costruirne di nuovi è la lancia.
Gli edifici fantasma, abbandonati o mai completati costituiscono un interessante “laboratorio per il futuro”, un banco di prova su cui elaborare nuovi strumenti e metodi per trasformare invece di demolire, spezzando la lancia a favore di un risparmio di risorse ed energie preziose. Rinforzare strutturalmente e riutilizzare il patrimonio edilizio esistente, come spiegano i curatori, è diventato un problema di estrema attualità e urgenza dopo il terremoto di Kahramanmaraş che a febbraio ha lasciato migliaia di persone senza alloggio.
In vista della partecipazione alla Biennale lo scorso dicembre è stato dunque bandito un concorso per segnalare gli edifici abbandonati presenti in Turchia: in breve tempo si è costituito un archivio di immagini di centinaia di residenze, complessi edilizi e siti produttivi dismessi, grattacieli parzialmente o completamente inutilizzati, hotel, scuole, ospedali, ristoranti e strutture ricreative cui i curatori del Padiglione hanno attinto per  le immagini posizionate sui tavoli o proiettate sui teli appesi al soffitto, a guisa di reti da pesca stese ad asciugare, a illustrare la teoria del sacchetto.

Uno spazio infine è dedicato al Victoria and Albert Museum con una piccola mostra sul Modernismo Tropicale: architettura e potere nell’Africa occidentale, organizzata in collaborazione con l’Architectural Association di Londra e la Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST) di Kumasi, in Ghana. L’esposizione da un alto risponde al tema lanciato da Lesley Lokko per 18. Mostra Internazionale di Architettura e dall’altro è un’anteprima di una ben più vasta mostra sull’argomento prevista nel 2004 al V&A Museum.
Il movimento nasce negli anni Quaranta in quelle che ancora per poco saranno le colonie britanniche in Africa, quando gli architetti Maxwell Fry e Jane Drew adattano i principi costruttivi, funzionali ed estetici del Modernismo alle peculiarità dell’ambiente – e soprattutto del clima – africano. Kwame Nkrumah, primo Primo Ministro e Presidente del Ghana, alla fine degli anni Cinquanta adotta il Modernismo Tropicale quale stile emblema della nuova Nazione indipendente, come racconta il filmato in cui scorrono le immagini di quattordici edifici monumentali e interviste ad architetti e studiosi del periodo. Lungo le pareti perimetrali del Padiglione corrono brise soleil in stile, utilizzati quali bacheche per esporre fotografie, libri, riviste e disegni.

Avanti ora verso l’ultima tappa della visita all’Arsenale: il Padiglione Italia.

Silvana Costa

La mostra continua:
Giardini e Arsenale
Sestiere Castello – Venezia
fino a domenica 26 novembre 2023
orario:
20 maggio – 30 settembre 11-19
1 ottobre – 26 novembre 10-18
ultimo ingresso 15 minuti prima della chiusura
solo sede Arsenale: venerdì e sabato, fino al 30 settembre, apertura prolungata fino alle 20
chiusa il lunedì, a eccezione del 22 maggio, 14 agosto, 4 settembre, 16 ottobre, 30 ottobre e 20 novembre
www.labiennale.org/it/architettura/2023

Biennale Architettura 2023
18. Mostra Internazionale di Architettura
The Laboratory of the Future
a cura di Lesley Lokko

Catalogo:
Biennale Architettura 2023
The Laboratory of the future
a cura di Lesley Lokko
graphic design Die Ateljee – Fred Swart
La Biennale di Venezia, 2023
2 volumi 21 x 27 cm, pagine vol.1 450 ca. / vol.2 220 ca., fotografie vol. 1 350 ca. / vol.2 200 ca., paperback con cofanetto
prezzo 80,00 Euro

Guida breve:
Biennale Architettura 2023
The Laboratory of the future
a cura di Lesley Lokko
graphic design Die Ateljee – Fred Swart
La Biennale di Venezia, 2023
15 x 20 cm, 240 ca pagine, paperback
prezzo 18,00 Euro