Chi come me

Dopo la pausa estiva riprendono le repliche della pièce di Roy Chen incentrata sui disturbi psichici di un gruppo di adolescenti che, grazie all’incontro con il teatro, imparano a guardare in faccia e a sfidare la propria malattia. Andrée Ruth Shammah alla regia valorizza il talento dei cinque giovani attori protagonisti, confermando una volta ancora l’importante contributo del Teatro Parenti nel formare le nuove leve del teatro italiano.

Il Teatro Franco Parenti di Milano riporta in scena, con un cast parzialmente rinnovato, Chi come me di Roy Chen, la pièce che, al suo debutto lo scorso aprile, conquista e commuove pubblico e critica.
L’autore di fama internazionale nasce a Tel Aviv nel 1980. Dopo un esordio a diciannove anni nel mondo del teatro, nel 2007 è nominato drammaturgo stabile del Teatro Gesher di Giaffa, teatro dove nel 2020 si tiene la prima mondiale di Chi come me.
L’idea dello spettacolo nasce l’anno prima, quando Chen ha modo di frequentare per un mese l’ospedale psichiatrico Abarnabel in Israele, osservando come il teatro venga usato quale terapia, al fianco delle cure farmacologiche e psichiatriche, per ragazzi tra i dodici e i diciotto anni. Chen in realtà va oltre e, come lui stesso racconta, riesce a stabilire un legame con i giovani pazienti “ho trascorso con loro molte ore, nelle loro stanze, durante le lezioni, per i pasti e nel cortile del Centro. Ho avuto modo di vedere i loro disegni, leggere le loro poesie e ho giocato con loro a Chi come me, un gioco degli anni ’70 nato per “rompere il ghiaccio”. Mi sono aperto con loro, non meno di quanto loro si siano aperti con me. A volte sono tornato a casa con il sorriso, pieno di ottimismo, e a volte non vedevo la strada per le troppe lacrime”.
Ottimismo e lacrime in un continuo altalenare tra progressi compiuti da cinque adolescenti e improvvise ricadute caratterizzano lo sviluppo narrativo di Chi come me e, a cascata, le reazioni di un pubblico che segue partecipe. La malattia e il disagio, soprattutto quando affliggono le fasce più deboli della popolazione, sono infatti capaci di fare breccia anche nei cuori più duri.
Lo spettacolo ripercorre passo a passo l’esperienza dell’autore ad Abarnabel, mostrando i cinque protagonisti, ciascuno affetto da una differente patologia, alle prese con le lezioni di teatro e l’allestimento dello spettacolo per i genitori. Uno spettacolo in cui è previsto siano lette le lettere alla propria malattia scritte da ciascuno di loro, mettendo a nudo la parte più intima di sé, rivelando come vivano il disagio del confronto con il demone che li dilania interiormente. La prima lettura, avvenuta durante l’ora del corso di teatro, è la scena in cui – qualora ci fossero ancora dubbi – esplode il talento nella recitazione del gruppo di giovani attori, tutti ugualmente abili nel rendere credibili personaggi estremamente complessi, senza scivolare nel tranello di ridurli a banali stereotipi. Loro sono: Samuele Poma che interpreta Barak, soggetto ad attacchi di rabbia; Federico Di Giacomo che ricopre il ruolo dell’autistico Emanuel; Amy Boda che si cala nei dificili panni di Tamara/Tom alle prese con la disforia di genere; Chiara Ferrara nel ruolo di Alma, affetta da disturbo bipolare, e Alia Stegani in quello di Ester, una bambina schizofrenica. Al loro fianco ci sono Fausto Cabra, il Dott. Baumann direttore del reparto, e Silvia Giulia Mendola che recita la parte della signorina Dorit, l’insegnante di teatro, una donna che, pur non parlandone mai, lascia intendere di avere vissuto direttamente una situazione analoga a quella che stanno affrontando i suoi allievi.
Pietro Micci e Sara Bertelà ricoprono i ruoli dei genitori di tutti i ragazzi, dando vita a personaggi – e questa è forse l’unica critica che si può muovere al lavoro di Roy Chen – tutti parimenti inadeguati a tale incombenza, si voglia perché emotivamente immaturi o instabili, perché incapaci di ascoltare i figli, o perché spaventati dalla loro malattia, o perché li soffocano con ambizioni non condivise. Un disagio trasformato a tratti in piglio comico e macchiettistico a enfatizzare le responsabilità mancate e l’imbarazzo dinnanzi alla malattia, finendo per causare nei figli senso di abbandono, sconforto e delusione. Un’enfatizzazione di disagio emblema di una società che ancora oggi ha un approccio arcaico ai disturbi psichici che in molti casi culmina nella stigmatizzazione e nell’isolamento di quanti ne soffrono.
Lo spettacolo allestito dalla signorina Dorit in cui le lettere non vengono lette dal proprio autore ma da un compagno di corso, alla pari del gioco Chi come me, è inteso a indurre i protagonisti e il pubblico a osservare situazioni familiari da una prospettiva diversa, finendo per trasformare lo spettacolo in un’esperienza intima di introspezione. Una prospettiva diversa e inclusiva come vuole sottolineare anche l’allestimento scenico concepito da Polina Adamov che colloca i letti dei pazienti nello spazio centrale della nuova sala A2A, inaugurata ad aprile proprio con Chi come me, ma pure su piattaforme  lungo le gradonate dove è seduto il pubblico, abbattendo così con vigore la quarta parete.
La mano di Andrée Ruth Shammah alla regia – responsabile anche dell’adattamento e dei costumi – è al contempo delicata e decisa. Delicata nel far evolvere la narrazione di temi così complessi, lasciando alle esperienze dei cinque adolescenti tutto il tempo necessario per affiorare. Decisa nello scandire il ritmo e l’alternanza di drammaticità e comicità senza penalizzare nessuna delle due componenti, anzi dimostrando il potere curativo del teatro e, in particolare, di questa pièce metateatrale di Roy Chen.
Chi come me è in scena sino a domenica 1 dicembre ma, anche data la ridotta capienza della sala, il suggerimento è prenotare i biglietti velocemente, prima che i posti vadano, una volta ancora, tutti esauriti.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala A2A
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 1 dicembre 2024
www.teatrofrancoparenti.it

Chi come me
di Roy Chen
adattamento, regia e costumi di Andrée Ruth Shammah
traduzione dalI’ebraico Shulim Vogelmann
con in o.a. Sara Bertelà, Paolo Briguglia – Fausto Cabra*, Silvia Giulia Mendola, Pietro Micci
e con Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani
allestimento scenico Polina Adamov
luci Oscar Frosio
musiche di Brahms, Debussy, Vivaldi, Saint-Saëns, Schubert e Michele Tadini
produzione Teatro Franco Parenti
durata: 1 ora e 50 minuti