Milano fa il punto sulla produzione di Giorgio de Chirico a cinquant’anni dalla prima grande retrospettiva a Palazzo Reale. In mostra un centinaio di capolavori provenienti dai principali musei di arte moderna del mondo.
“De Chirico ha ripetuto le stesse immagini per tutta la vita. Credo che l’abbia fatto non soltanto perché i collezionisti e i mercanti d’arte glielo chiedevano, ma perché gli andava di farlo e considerava la ripetizione un mezzo per esprimersi”. Con questa citazione di Andy Warhol e copia della sua rivisitazione in chiave Pop de Le muse inquietanti si chiude il percorso della mostra de Chirico in corso a Palazzo Reale di Milano sino al 19 gennaio.
La frase riassume l’approccio curatoriale di Luca Massimo Barbero: rendere protagonista la pittura, dimostrando come per de Chirico non sia importante il soggetto quanto il modo in cui esso viene restituito sulla tela.
La mostra-evento è allestita da Giovanni Maria Filindeu come una grande passeggiata tra circa 100 capolavori scelti all’interno dell’ampia produzione del pittore morto quarant’anni fa, inclusi quelli dell’epoca definita “barocca”, spesso sottovalutata. Le opere sono esposte in ambienti luminosi, raggruppate per grandi tematiche, proponendo accostamenti al fine di cogliere l’evoluzione pittorica ed elementi ricorrenti, invitando il pubblico a soffermarsi, riflettere e sviluppare un proprio giudizio critico ma, soprattutto, a conoscere de Chirico. È interessante rilevare come l’artista si diverta a sorprendere l’osservatore con raffinate allusioni mitologiche, con uno specchio che riflette un dipinto o con dettagli sproporzionati rispetto all’insieme in un continuo gioco cerebrale tra realtà e sogno.
Quando accenniamo alla mitologia il ricordo va immediatamente alla mostra campione di incassi che Palazzo Reale ha proposto lo scorso autunno: Picasso. Metamorfosi. A distanza si può fare dunque un confronto tra le due personalità che maggiormente hanno influito sulla pittura del Novecento, agendo in modo diametralmente opposto sebbene sempre guardando a Gauguin: Picasso non uscendo mai dalla realtà ma ridipingendola; de Chirico andando oltre il visibile e lavorando sulle visioni.
Il rapporto con il mito per Giorgio de Chirico ha origini profonde: egli nasce nel 1888 a Volo in Tessaglia, la regione – allora protettorato tedesco – che si estende ai piedi dell’Olimpo, il monte degli dei. La prima sala del percorso di visita raccoglie rappresentazioni allegoriche della famiglia: apre l’antologia Centauro morente (1909) dedicato al padre, ingegnere ferroviario morto ad Atene nel 1905, cui fa coppia La partenza degli Argonauti (1909), ovvero i fratelli Giorgio e Alberto che nel 1906 salpano dal Pireo alla volta dell’Italia. Ammiriamo quindi il Ritratto della madre (1911) e Portrait de l’artiste par lui- même (Autoritratto «Et quid amabo nisi quod aenigma est?») (1911) in cui entrambi guardano fuori da una finestra da cui si scorge solamente una porzione di cielo a enfatizzare la severità dei volti. De Chirico, come allude anche la citazione usata per il titolo, celebra Nietzsche – di cui riprende la posa di un noto ritratto – autore molto amato sin dalla giovane età e alle origini delle sue indagini interiori.
A questi lavori segue L’enigma di una giornata (1914) in cui si compongono la piazza deserta ocra, il colore che l’artista associa al silenzio e alla solitudine; il treno simbolo del costante sradicamento; la statua misteriosa vista di spalle la cui ombra si allunga sin fuori dal campo della rappresentazione; il portico che, come il vano di una finestra, funge da cornice del paesaggio, solidificandolo e decontestualizzandolo in una sospensione metafisica. Abbiamo citato solamente i primi cinque dipinti in cui ci siamo imbattuti in mostra, eseguiti da Giorgio de Chirico appena ventenne, in cui ritroviamo in nuce i temi della maturità ma le sale sono zeppe di opere da esplorare in ogni singolo dettaglio.
La terza sala è dedicata al periodo trascorso a Ferrara con il fratello Alberto Savinio e altri artisti durante la Prima Guerra Mondiale. Qui de Chirico indugia nel consumo di canapa da cui scaturiscono composizioni visionarie e asfittiche: scatole chiuse in cui accatasta oggetti dal sapore evocativo e quadri nei quadri come la veduta genovese – città d’origine della madre – che troneggia tra cavalletti, girandole e biscotti in Interno metafisico con faro (1918).
La quarta sala presenta lavori che, sebbene segnino un ritorno alla pittura classica nelle forme, nella composizione continuano a celare elementi enigmatici che li rendono particolarmente intriganti. Nei grandi paesaggi inoltre la pittura cinquecentesca si sposa con la tecnica del tratto ottico di Segantini e Previati: per tale motivo suggeriamo al pubblico di osservare le opere sia da vicino sia da lontano. Fanno loro da complemento i nudi di Ulisse (1921/22) con lo sguardo smarrrito e della giunonica Lucrezia (1922) e l’affascinante Autoritratto congelato (1924/25) dove il corpo di de Chirico si sta progressivamente congelando o trasformando in statua o il contrario di ciò perché nulla è mai come sembra.
Il tema del nudo è ulteriormente sviluppato nella sesta e nella settima sala, sempre con connotazioni originali: le Due figure mitologiche (Nus antiques, Composizione mitologica) (1927) risultano di dimensioni sproporzioniate per l’ambente che le ospita e campite con colori psichedelici; il cavallo di Le rive della Tessaglia (1926) che galoppa in una versione antica della piazze metafisiche è cieco come Omero, il poeta per eccellenza; i gladiatori, nelle diverse composizioni esposte, hanno più l’aspetto di modelli in posa che di feroci guerrieri in lotta per la sopravvivenza. I milanesi saranno particolarmente compiaciuti nel trovare anche la serie dei Bagni misteriosi sia nella versione delle 10 litografie che illustrano Mythologie (1934), il poema in prosa di Jean Cocteau, sia nella versione dipinti a olio, sia il plastico della scultura collocata nel giardino della Triennale.
La quinta sala è invece dedicata ai manichini, diretti discendenti delle statue classiche, cui l’autore attribuisce emozioni e atteggiamenti umani come ben enunciato nella commovente scena del padre-statua che scende le scale per abbracciare Il figliol prodigo (1922) -manichino o in Ettore e Andromaca (1923) straziati da quel loro ultimo saluto, con il corpo dell’eroe già in preda alle fiamme rosso sangue che poi devasteranno Troia. I manichini sono esseri pensanti che svolgono lavori intellettuali quali L’archeologo (1927) o Il filosofo (1925/27), altrimenti noto come l’imponente Trittico di Manchester. Ciò nonostante questi esseri richiamano alla mente anche tanti automi che popolano i film di fantascienza, macchine che si ribellano al comando umano e iniziano ad agire in autonomia: forse per questo le muse della sala 8 sono definite “inquietanti”.
L’ottava sala si completa con alcuni irriverenti e ironici autoritratti: quelli in costume da torero (1941/42) o da nobile di epoca barocca (1959) o il nudo (1943) che ispira tante performance e opere di artisti successivi sebbene nel 1949 si esige che vengano coperti i genitali per poterlo ammettere all’esposizione alla Royal Academy di Londra. I divertissement proseguono con Canal Grande a Venezia (1952) dall’apparente sapore canalettiano, uno scorcio delirante con gondole fuori scala, colori saturi e un clima di tetra decadenza.
Orfeo trovatore stanco (1970), una delle ultime fatiche di Giorgio de Chirico, chiude la rassegna: il cantore è spossato e depone la lira, sullo sfondo si ergono le mura di Urbino a simboleggiare un ritorno dell’autore, ormai al tramonto, al luogo ove ha avuto origine la grande pittura rinascimentale di Raffaello, Piero della Francesca e Francesco di Giorgio Martini.
È stanco anche il pubblico al termine del percorso di visita, provato da tanta bellezza e dall’intenso lavoro di indagine e confronto che poche altre mostre implicano. Però è soddisfatto, sentendosi molto coinvolto e sollecitato intellettualmente da questo originale lavoro di curatela. A questo punto non resta che acquistare il catalogo dalla monocroma copertina ocra per confrontare in solitudine le proprie impressioni con quelle di Luca Massimo Barbero e degli altri studiosi coinvolti.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Palazzo Reale – primo piano
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 19 gennaio 2020
orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
giovedì e sabato 9.30 – 22.30
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
www.palazzorealemilano.itde Chirico
a cura di Luca Massimo Barbero
promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale, Marsilio, Electa
in collaborazione con Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, Barcor17
ricerca scientifica Cristina Beltrami
coordinamento scientifico Laura Corazzol
con Elisa Bissacco
coordinamento progetto Tommaso Speretta
progetto di allestimento Giovanni Maria Filindeu
con Salvatore Murgia, Anna Usai, Antonella Zola
visual e progetto grafico Leonardo Sonnoli, Irene Bacchi – Studio Sonnoli
www.dechiricomilano.itCatalogo:
de Chirico
a cura di Luca Massimo Barbero
Marsilio Electa, 2019
23 x 32 cm, 368 pagine con 267 illustrazioni, brossura con alette
prezzo: 40,00 Euro
www.electa.it
www.marsilioeditori.it