A Milano una mostra esplora cinque secoli di arte russa, dalle icone della tradizione religiosa alle avanguardie di inizio Novecento. Filo conduttore è la donna, presente sia come soggetto di opere che ne descrivono il ruolo nella società e nella famiglia sia come autrice.
Non c’è bisogno di disturbare le Guerrilla Girls per renderci conto che nei musei la percentuale di pezzi esposti creati da artisti di sesso femminile rispetto al totale è irrisoria mentre il rapporto si sbilancia in direzione opposta se si prendono in esame i soggetti ritratti, soprattutto se nudi. Alla luce di questa considerazione non è sbagliata la loro affermazione “Women make art history” che potremmo utilizzare anche per descrivere in estrema sintesi Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa, la mostra in corso a Palazzo Reale di Milano sino a domenica 12 settembre 2021.
Il percorso di visita si snoda dalle icone del XV secolo a L’operaio e la kolkotsiana, la scultura di Vera Muchina simbolo dell’U.R.S.S. all’Expo parigina del 1937, e in 8 sezioni racconta i capisaldi della storia russa attraverso i volti delle sue donne. Nobili, borghesi, artiste, contadine e operaie mostrano sulla propria persona i segni delle trasformazioni storiche e sociali. Al di là dell’opportunità di compiere un viaggio in questi mesi in cui spostarsi risulta ancora complicato tra tamponi, vaccini e quarantene, Divine e Avanguardie permette di ammirare circa 90 capolavori giunti in prestito dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo. La curatela è affidata a Evgenija Petrova, Direttore Scientifico del museo prestatore, e a Joseph Kiblitksy che propongono opere mai esposte prima d’ora nel nostro Paese.
La mostra, come anticipato, è organizzata in 8 sezioni corrispondenti grossomodo ad altrettanti ruoli rivestiti dalle donne all’interno della società russa, prima durante il regno degli zar e poi agli albori del regime comunista. Una società dal fine gusto estetico, curiosa e attenta a meticciare i dettami della tradizione con le influenze provenienti dalla scena internazionale, dando origine a risultati originali e sorprendenti. Le opere proposte, di elevato livello qualitativo e innegabile bellezza, anche quando afferenti ad una stessa sezione sono distanti tra loro per stile, modalità di racconto, dettagli su cui viene posto l’accento oltre, ovviamente, che per autore, alcuni celeberrimi altri piacevoli scoperte.
La prima sezione si intitola IL CIELO – La Vergine e le sante ed è incentrata su quello che è il prodotto per antonomasia dell’arte sacra russa: l’icona. Le immagini sacre dipinte a tempera su tavola sono un elemento imprescindibile per i momenti di preghiera in pubblico e in privato, immancabili in ogni abitazione. Le icone della Madre di Dio, patrona della Russia, e dei santi sono investite di elevato valore simbolico ed eseguite rispettando una rigida iconografia, sebbene declinata nelle diverse regioni adottando lo stile peculiare del luogo. Tra gli esemplari più curiosi esposti in mostra citiamo un’ “icona intagliata” – Santa Parasceva Pjatnitsa (XVII secolo) – ovvero una scultura lignea finemente dipinta con la stessa tecnica delle rappresentazioni su tavola e un’icona di grandi dimensioni, utilizzata quale porta – Madonna “la porta invalicabile” (XVII secolo) – creata dando seguito alle parole del profeta Ezechiele (Ez. 44:2) che identifica la Vergine con la porta della salvezza.
Ad una prima sezione riservata al Regno dei Cieli segue quella dedicata al regno in terra: IL TRONO – Zarine di tutte le Russie. I ritratti di sei zarine, succedutesi al potere dalla seconda metà del XVII secolo al 1917, permettono al visitatore di prender atto di come si sia evoluto lo stile della ritrattistica ufficiale e l’aspetto delle protagoniste. Allora come oggi questo genere di immagini è destinato a troneggiare nei palazzi governativi e per tale motivo i soggetti sfoggiano i simboli del proprio ruolo e grado. Abiti e pettinature sono quanto di più ricercato la moda del momento proponga: Marfa Matveena (ante 27 aprile 1682), si voglia per gli abiti tradizionali, si voglia per la posa severa, fa da trait d’union con le icone della sala precedente. Sono decisamente molto sensibili ai dettami occidentali le imperatrici Aleksandra Fëdorovna (1914), moglie di Nicola II, Marija Fëdorovna (ante 1825) con un’imponente pettinatura di sapore parigino e – non poteva certamente mancare – Caterina II “la Grande”.
LA TERRA – L’orizzonte delle contadine svela invece l’altra faccia della medaglia, concentrandosi sulla classe posta alla base della piramide sociale russa, su lavoratori ancora relegati nella condizione di servi della gleba, di proprietà dei latifondisti, della chiesa o di strutture statali. Solo nel 1861 inizia il lungo percorso di emancipazione dei contadini ma poi arriva la Rivoluzione del 1917 a scompigliare di nuovo le carte.
Aleksej Venetsianov – un agrimensore accostatosi all’arte da autodidatta e sostenitore della pittura dal vero – osserva la quotidianità nei campi, che ha modo di frequentare per lavoro, e realizza Il mattino della proprietaria terriera (1823): il quadro è considerato la prima raffigurazione del rapporto tra padroni e contadini mai eseguita nella storia dell’arte russa.
Dal viso fremente per l’attesa della Contadina del governatorato di Tver (anni Quaranta del XIX sec.), sempre opera di Venetsianov, che potremmo inserire nel filone del Romanticismo che in quegli anni attraversa l’Europa nelle sue varie accezioni, passo dopo passo si giunge al linguaggio impersonale di Kazimir Malevič, definito dallo stesso autore – come scrive sul retro della cornice di Giovani ragazze in un campo (1928/29) – “Supronaturalismo”.
VERSO l’INDIPENDENZA – Donne e società va a sbirciare nella vita delle borghesi e delle operaie, osservandole nelle attività quotidiane e nei momenti di intima solitudine. Sebbene le riforme di natura socialista introdotte dai bolscevichi una volta deposto lo zar aboliscano l’organizzazione per classi sociali, di fatto le pose delle protagoniste di questa sezione, i loro abiti e il contesto in cui si fanno ritrarre raccontano il perdurare di modi e abitudini. Si prenda ad esempio di ciò La moglie del mercante con lo specchio (1920) di Boris Kustodiev o il Ritratto della moglie dell’artista (1925) di David Šterenberg, quasi incurante con i suoi atteggiamenti prerivoluzionari del ruolo politico ricoperto dal marito.
I curatori inseriscono quindi i ritratti della ballerina Elena Annenkova (1917), della poetessa Anna Achmatova (1922) e della gallerista Nadežda Evseevna Dobičina (1920) che espose per prima le composizioni suprematiste di Malevič, successivamente nominata capo sezione dell’Arte sovietica al Museo di Stato Russo. A loro si aggiungono musiciste, ballerine, Evdokija Sergeevna Fëdorova (1935/38) in veste di presidente del II Congresso dei kolchotsiani e le operaie che, con il loro sciopero per chiedere aumenti di salario e di razioni alimentari, nel 1917 hanno un ruolo centrale nei moti rivoluzionari.
In questa sezione è visibile anche Ragazza in maglietta (1931/32) di Aleksandr Samochvalov, “la Gioconda sovietica”. Il quadro nel 1937 è presentato all’Expo di Parigi quale emblema della gioventù sovietica che guarda con speranza al futuro e viene insignito della Medaglia d’oro.
La ragazza e la muscolosa operaia di Malevič (1933), quasi priva di connotati femminili quale risultato del duro lavoro in fabbrica, sono indice se non della raggiunta parità con gli uomini almeno di un forte processo di emancipazione femminile in atto: basta infatti fare pochi passi per ritrovarsi nella sezione LA FAMIGLIA – Rituali e convenzioni. Una manciata di decenni separa i dipinti qui esposti dai precedenti eppure al visitatore sembra di regredire di secoli tra vedove condannate alla povertà, riti mortificanti, giovani spose molestate dai suoceri o matrimoni dettati da meri interessi economici.
La tensione domestica si stempera nella sezione seguente, MADRI – La dimensione dell’amore, densa di ritratti di donne con i figli neonati a ideale pagana versione de La Madre del Signore e della Tenerezza (prima metà del XV sec.) ammirata in apertura del percorso di mostra e qui declinata in composizioni che attraversano i vari ceti sociali, tra fine Ottocento e inizio Novecento, e gli stili. Nella maggioranza delle opere selezionate per la mostra gli artisti indugiano nel ritrarre persone della propria cerchia famigliare, caricando l’immagine di elementi simbolici. In Lillà (1906) per esempio Boris Kustodiev costruisce un’analogia tra la maternità e la natura in fiore mentre la modesta ma allegra camera che fa da sfondo a Il primogenito (1888) di Ivan Pelevin è un elogio alla gioia derivante ai ceti più umili dalla vita semplice che conducono.
Il nudo, altro genere ricorrente della storia dell’arte, è il protagonista di IL CORPO – Femminilità svelata, sezione che più che una rassegna di opere si configura come la documentazione delle azioni eversive per scardinare la censura. Il corpo femminile nudo inteso quale soggetto autonomo di opere da esporre in pubblico, nonostante sia oggetto di studio nelle accademie di Belle Arti, viene sdoganato solo al termine del XIX secolo per poi cadere di nuovo sotto i colpi dell’oscurantismo bolscevico alla fine degli anni Venti del Novecento.
Questa è una delle sezioni più interessanti della mostra non tanto dal punto di vista sociale quanto artistico. Nel giro di pochi decenni gli autori russi hanno rielaborato la tradizione e il folklore in un linguaggio nuovo, di avanguardia: Michail Larionov ritrae la sua lasciva Venere (1912) utilizzando uno stile che, con fare naïf, usa il Primitivismo quale stratagemma per sfidare il perbenismo borghese. Un approccio diametralmente opposto a quello adottato da Kustodiev per il ritratto più realistico della Bagnante (1921) in riva al fiume, una donna dal corpo robusto e dal volto gioviale che incarna il prototipo della bellezza russa dell’epoca alla pari di Modella sullo sfondo di drappeggio azzurro (1940 circa) di Vladimir Malgis.
Zinaida Serebrjakova scolpisce con la luce le figure delle ragazze che affollano la sala da bagno in Banja (1913). I suoi dipinti, protagonisti anche della sezione successiva, combinano elementi dell’arte classica, come le rigorose proporzioni tra le parti del corpo delle modelle, e i più moderni studi sulla luce e il colore che vedono negli impressionisti i protagonisti di maggior spicco.
Quest’ultima opera fa in un certo senso da premessa alla sezione conclusiva, una sorta di capitolo a parte nel percorso di mostra in cui le donne passano dall’altra parte della tela. LE ARTISTE – Realismo e amazzoni dell’avanguardia strizza tra l’altro l’occhio a una delle altre mostre in corso a Palazzo Reale Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600: in Russia come in Italia ricamo, disegno e pittura rientrano tra gli insegnamenti impartiti alle giovani di buona famiglia ma è solo da metà XIX secolo che è loro concesso di prendere parte attiva alla vita artistica del Paese. Il poeta Benedikt Livšits, a sottolineare il loro contributo al dibattito culturale in corso nel Paese natio, le definisce “le amazzoni dell’avanguardia russa” e in mostra sono rappresentiate con la varietà delle loro produzioni.
Al volgere dell’Ottocento molte artiste hanno l’opportunità di compiere viaggi all’estero, a Parigi principalmente, dove entrano in contatto con gli esponenti delle correnti moderne poi assimilate e rielaborate in chiave personale da alcune di esse. Altre, dopo il periodo di infatuazione iniziale, abbracciano la corrente del Neoprimitivismo russo, riscoprendo l’arte popolare e la creatività dell’infanzia.
Olga Rozanova è probabilmente la collega suprematista più apprezzata da Malevič – in particolare per il suo talento colorista – tuttavia in mostra sono presenti anche sue sperimentazioni neoprimitiviste e cubiste. Natalija Goncharova e Aleksandra Ekster deliziano invece i visitatori con dipinti di chiara matrice futurista.
Di Ljubov’ Mileeva, inserita nel Laboratorio dei manifesti di propaganda politica dell’Istituto Decorativo, è esposta la bozza di un lavoro datato 1925 a mostrare come la comunicazione dell’epoca puntasse su una combinazione di soggetti e simboli per spiegare agli osservatori, in modo semplice e chiaro, un’idea.
Simboli che oggi forse fatichiamo a cogliere e interpretare appieno, alla luce della distanza storica e culturale che ci separa, ma nessuna paura: un ricco apparato di didascalie va incontro al pubblico più desideroso di approfondire le opere.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Palazzo Reale
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 19 settembre 2021
per le modalità di ingresso si veda il sito web
www.palazzorealemilano.itDivine e Avanguardie
Le donne nell’arte russa
a cura di Evgenija Petrova
con Joseph Kiblitsky
progetto di allestimento Corrado Anselmi Architetto
con Andrea Damiano, Anna Gherzi
progetto immagine coordinata Filippo Stecconi
light designer mldlab – Marchesi Lisa Lighting Design
una mostra Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, CMS Cultura
https://divineavanguardie.itCatalogo:
Divine e Avanguardie
Le donne nell’arte russa
Skira, 2020
22 × 28 cm, 224 pagine, 160 colori, cartonato
prezzo: 35,00 euro
www.skira.net