Anish Kapoor, Robert Longo, Masbedo, Nicola Samorì, Wang Guangyi e Yue Minjun sono i protagonisti della mostra evento incentrata sulla moderna rilettura del capolavoro vinciano.
A un mese esatto dal cinquecentenario della morte di Leonardo da Vinci, il 2 maggio 1519, alla Fondazione Stelline apre la mostra L’Ultima Cena dopo Leonardo, visitabile sino a fine giugno. Il curatore, il critico d’arte Demetrio Paparoni, ha invitato sei protagonisti del panorama artistico internazionale a riflettere su uno dei massimi capolavori del genio rinascimentale: quell’Ultima Cena (1495/98) che campeggia sulla parete di fondo dell’ex-refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie, sito proprio di fronte al complesso espositivo e congressuale delle Stelline.
Anish Kapoor, Robert Longo, Masbedo, Nicola Samorì, Wang Guangyi e Yue Minjun leggono, scompongono e raccontano l’affresco quattrocentesco con il linguaggio che li ha resi celebri. Certamente anche Leonardo avrebbe apprezzato l’impiego nell’arte di moderni materiali e tecniche, attualizzando il messaggio universale veicolato dalla scena sacra.
Lo sguardo del visitatore rimbalza tra le eterogenee creazioni esposte nella grande sala: nel millennio della globalizzazione è sorprendente notare come attorno all’Ultima Cena, opera iconica per l’arte mondiale, sia ancora possibile elaborare interpretazioni talmente distanti tra loro, ciascuna fortemente caratterizzata dalla storia e dalla cultura del Paese d’origine dell’artista. Per la visita di questa mostra, molto più che in tante altre occasioni, il catalogo pubblicato dalla casa editrice Skira risulta di estrema utilità per scandagliare il pensiero dell’artista. Il catalogo offre anche una bella rassegna di pittori e fotografi che nel tempo si sono confrontati con l’Ultima Cena, da Salvador Dalì (1955) a Mary Beth Edelson con una versione femminista (1972), da Andres Serrano con Black Supper (1990) dall’aspetto pietrificato eppur evanescente a David LaChapelle e la patinata Jesus Is My Homeboy (2003), sebbene il più celebre probabilmente resti Andy Warhol con la sua serie di serigrafie (1986).
Accantoniamo il passato e scopriamo quanto esposto alla Fondazione Stelline. L’attenzione non può che essere catalizzata dall’imponente The Last Supper (2011) di Wang Guangyi, un polittico tracciato con pittura a olio amaranto su fondo scuro a guisa di negativo, composto di otto pezzi che si sviluppano su una lunghezza totale di sedici metri, superiore a quella originale. “Il grande formato permette al pubblico di vedere prima i dettagli, di notare le tracce di gocce colate che richiamano la tecnica Wulouhen della calligrafia cinese, e poi l’immagine intera. A mio parere le grandi dimensioni permettono al pubblico di comprendere la diversa importanza dei due piani” (pagg. 141-142) spiega Wang Guangyi. La creazione appartiene alla serie New Religion che include sia riproduzioni di opere a tema sacro come Cristo Morto di Andrea Mantegna o, appunto, l’Ultima Cena sia volti di filosofi del calibro di Marx e Engels, intrecciando il dogma religioso con quello politico e culturale.
È di dimensioni decisamente inferiori L’Ultima Cena (Interno assoluto) (2019), la tavola in olio e zolfo su rame del romagnolo Nicola Samorì. L’artista, noto per la sua interpretazione di dipinti del XVI e XVII secolo, si cimenta qui per la prima e unica volta con un’opera di cotanta fama e inverte il suo consueto metodo di lavoro. Se generalmente i soggetti si trasformano in macchie ora, complice il precario stato in cui l’Ultima Cena è giunta sino a noi e il supporto in rame, egli opta per simularne un’ulteriore ossidazione. Samorì inoltre elimina le finestre alle spalle dei commensali, trasformando la stanza in una scatola buia e claustrofobica, illuminata dal corpo di Gesù che si trasfigura sino ad abbagliare e rendere impossibile la distinzione dei lineamenti del suo volto.
Robert Longo con Untitled (Head of Christ) (2019) propone un’opera per certi versi complementare a quella di Samorì, riproducendo con carboncino su carta una gigantografia del volto di Cristo. È un taglio molto stretto, che esalta tutta la dolcezza negli occhi del Salvatore mentre l’utilizzo del bianco e nero accentua la tristezza di chi è conscio del destino imminente. Il disegno è appeso su una parete che riprende il rosso della veste di Gesù ed enfatizza l’idea della passione. Nella composizione studiata da Leonardo il volto è ruotato verso sinistra, come a non voler guardare alla sua destra Pietro, che lo avrebbe rinnegato tre volte, e Giuda che lo avrebbe venduto per 30 pezzi di argento, la stessa somma che Longo ripone nella bisaccia appesa sotto la cornice in foglia d’oro che racchiude il ritratto del Re dei re.
Longo, in segno di rispetto per l’affresco che è sopravvissuto a errori tecnici ed episodi violenti della storia italiana ed europea, non ha cancellato nemmeno una crepa dell’opera originale, restaurata con pazienza e competenza da Pinin Brambilla Barcilon. Il certosino intervento della studiosa e del suo staff – conclusosi nel 1999 dopo ben 22 anni di lavoro – è celebrato dal duo Masbedo in Madame Pinin (2017). Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni mostrano orgogliosi al pubblico un video e una selezione di fotogrammi dedicati alle mani nodose della studiosa ormai ultranovantenne.
A Marta Gnyp che lo intervista per il catalogo della mostra Anish Kapoor confessa “ciò che vedo nei disegni, ma non solo, è una peculiarità di Leonardo: rimuove la pelle e guarda all’interno. Non parlo solo dei disegni anatomici” (pag. 89). I volumi di storia dell’arte decantano infatti la sapienza del Maestro da Vinci nel riuscire a consegnare all’osservatore, insieme ai tratti somatici del soggetto, anche i moti del suo animo. Tuttavia le due opere presentate da Kapoor in occasione di questa L’Ultima Cena dopo Leonardo lasciano da parte le allusioni psicologiche e turbano il pubblico con il loro aspetto realistico e sanguinolento. In particolare, Flayed II (2016) sembra un lembo di pelle staccata col bisturi mentre Untitled (2015) è un impasto di ossa, carne e organi molto lontano dalle iconiche rappresentazioni del Sacro Cuore. Due opere che rimandano immediatamente alla componente umana del Figlio di Dio in procinto di sacrificarsi per la salvezza dei credenti.
Una peculiarità che le lega a Digitalized survival (2019), l’ultima opera in mostra, realizzata da Yue Minjun. Figlio di un regime maoista che si professa apertamente ateo, Yue Minjun nel suo dipinto elide i personaggi originari lasciando la stanza deserta a evidenziare il senso di vuoto che caratterizza la spiritualità orientale. Gesù, la Maddalena e i dodici apostoli sono qui sostituiti da numeri casuali a sottolineare la non conoscibilità dei fattori che guidano l’esistenza umana e i rapporti tra le persone.
Noi speriamo invece che questo racconto guidi consapevolmente alla (ri)scoperta di uno dei capolavori di Leonardo attraverso gli occhi di artisti contemporanei.
Silvana Costa
La mostra continua:
Fondazione Stelline
corso Magenta, 61 – Milano
fino a domenica 30 giugno 2019
orario: martedì – domenica, 10 – 20
chiuso il lunedì
www.stelline.itL’Ultima Cena dopo Leonardo
a cura di Demetrio Paparoni
opere di Anish Kapoor, Robert Longo, Masbedo, Nicola Samorì, Wang Guangyi, Yue Minjun
prodotta da Fondazione StellineCatalogo:
L’Ultima Cena dopo Leonardo
Anish Kapoor, Roberto Longo, Masbedo, Nicola Samorì, Wang Guangyi, Yue Minjun
Skira, 2019
24×28 cm, 168 pagine, 138 illustrazioni a colori, brossura
prezzo: 29,0 Euro
www.skira.net