In Triennale a Milano una ricca mostra racconta la figura di Carlo Aymonino, l’architetto, saggista e accademico considerato uno dei punti di riferimento per la professione e la cultura del secondo Novecento. Manuel Orazi attinge a piene mani ai documenti d’archivio per tratteggiarne un profilo a tutto tondo, rivelando l’uomo dietro il progettista.
Triennale prosegue la serie di omaggi ai maestri dell’architettura italiana con la mostra Carlo Aymonino. Fedeltà al tradimento a cura di Manuel Orazi, visitabile sino al 22 agosto. L’esposizione è tanto rigorosa nel ripercorrerne la carriera professionale tanto vivace nel ricostruirne il privato nei rapporti con i figli, le tre mogli e la vasta schiera di amici dai nomi altisonanti. Rafael Moneo, nella sezione dedicata alle testimonianze posta in coda al catalogo edito da Electa, sottolinea infatti come “la figura di Carlo non può essere compresa separando la componente personale dal suo percorso come architetto. […] Trovandosi al bivio tra vita e opera, Aymonino ha scelto la vita, assumendosi anche tutti gli oneri nei confronti della collettività”.
La biografia di Carlo Aymonino ha un ruolo di primo piano all’interno della mostra, ripercorsa attraverso una ricca sequenza di fotografie e le pagine dei giornalini destinati ad Aldo e Livia, testimonianza dell’amore di un padre non sempre presente ma pure esempio di una peculiare modalità di comunicazione. Disegno, caricatura, pittura, collage e calligrafia si fondono per caricare di forza il messaggio, diario famigliare o tavola di concorso che sia. Non c’è tecnica inesplorata da questo artista figurativo a tutto tondo nell’indagare, misurare e spiegare – in modo a tratti dissacrante eppure innegabilmente efficace – la realtà fisica e sociale che lo circonda: si pensi al compagno col pugno chiuso alzato che, strizzando l’occhio all’uomo del Modulor di Le Corbusier, misura gli spazi del Gallaratese.
La mostra di apre con una selezione di dipinti di Aymonino messi in rapporto, per esempio, con i contemporanei a sfondo politico di Renato Guttuso – I funerali di Togliatti –, le vedute urbane di Renzo Vespignani – Gasometro (1953) –, i ritratti di famiglia del cugino Carlo Busiri Vici e, più avanti lungo il percorso di mostra, con una copia eseguita di suo pugno di Les Demoiselles d’Avignon di Picasso. Artisti che denunciano l’adesione di Aymonino al filone realista, movimento considerato ideale espressione del Partito Comunista cui l’architetto si avvicina da giovane, allontanandosi dai valori dell’alta borghesia di cui è parte. È questo, insieme all’iscrizione alla Facoltà di architettura invece di specializzarsi nella pittura, uno dei primi tradimenti di Carlo Aymonino cui Manuel Orazi allude con il sottotitolo Fedeltà al tradimento. Tale definizione, apparentemente negativa, assume nelle intenzioni del curatore un’accezione positiva nel momento in cui indica la capacità di Aymonino di inserirsi – sovente in contemporanea – in contesti distanti se non palesemente in contrasto tra loro. Orazi sottolinea come il suo sia un approccio ponderato e prudente alle varie teorie, uno stare sulla porta a osservarne dinamiche ed evoluzioni con occhio critico.
Sulla parete di destra dello spazio espositivo al primo piano del Palazzo dell’Arte l’allestimento di Federica Parolini cerca di ricostruire lo sviluppo della complessa rete di rapporti di Aymonino, affettivi e professionali, dagli anni giovanili sino alla nomina nel 1981 ad Assessore agli interventi sul centro storico a Roma, passando per la laurea in architettura nel 1950, la collaborazione con Marcello Piacentini – il celebre architetto è cugino del padre ma soprattutto il promotore, tramite i suoi monumentali edifici, del dialogo fra le arti visive e l’architettura –, Ludovico Quaroni e Mario Ridolfi, l’insegnamento presso le principali facoltà italiane e nel 1974 la nomina a rettore dello IUAV.
Nella parte centrale si ergono le teche con alcuni dei saggi pubblicati in volumi, riviste, cataloghi di mostre e concorsi, ripartiti per soggetto e disposti quando possibile dinnanzi ai progetti di cui raccontano: il complesso scolastico a Pesaro (1974/78) – un insediamento agli antipodi rispetto a quanto realizzato da Giancarlo De Carlo nella vicina Urbino –, il quartiere Spine bianche a Matera (1954-1957) e il complesso Monte Amiata al Gallaratese di Milano (1967/72). Progetti di ampia scala che come le proposte di concorso per le università di Firenze (1971), di Cagliari (1972) e della Calabria (1973) o, ancora, per il nuovo intervento abitativo di Cannaregio Ovest a Venezia (1978/80) e l’ospedale psichiatrico di Mirano (1967) sono da leggersi quali applicazioni dei principi esposti nel saggio Il significato della città (1975 con scritti redatti fino al 1966). Il volume è l’ultima parte di una trilogia composta anche da Il territorio dell’architettura di Vittorio Gregotti e L’architettura della città di Aldo Rossi (entrambi 1966) che fissa i capisaldi del pensiero sulla città per il Movimento Moderno. Tre scritti profondamente diversi tra loro, autentici manifesti del percorso intellettuale dei rispettivi autori, ciascuno intenzionato a portare il proprio contributo alle urgenze connesse al rapido sviluppo urbano di quegli anni. Contributi oggi, a distanza di oltre mezzo secolo dalla loro stesura, più attuali che mai.
Ai plastici e alle spettacolari tavole di concorso per i progetti di scala territoriale, eseguite e colorate interamente a mano, figlie del gusto grafico imperante a cavallo tra gli anni Sessanta e Ottanta, fanno da contraltare le proposte per musei e teatri: il Museo del Prado (1995), il Teatro di Avellino (1987), la Villa Reale di Monza (2004), piazza Mulino a Matera (1987/91), la ricostruzione del Colosso (1982/84) e la copertura del Giardino Romano in Campidoglio a Roma (1993/2006).
Roma è una presenza forte all’interno della mostra, sia rievocando l’esperienza del quartiere Tiburtino, considerato una sorta di manifesto del Neorealismo in architettura, sia ricordando l’impegno in veste di Assessore nelle giunte comuniste di Giuseppe Petroselli e Ugo Vetere per il recupero e la valorizzazione dell’area dei Fori Imperiali, coinvolgendo figure del calibro di Antonio Cederna, Bruno Zevi, Italo Insolera o Paolo Portoghesi.
La pianta dei Fori Imperiali è stesa a terra a guisa di red carpet per condurre il visitatore, dopo aver costeggiato una ricostruzione in scala del Colosso, alla Wunderkammer tappezzata su ogni lato dei disegni in cui le protagoniste, estrapolate da dipinti e sculture di età classica e rinascimentale, si intrecciano con fantasie erotiche, dettagli architettonici, nature morte e un inaspettato ritratto dei Fab Four. L’ambiente, decorato con colonne classiche e ricchi panneggi, è il punto verso cui confluisce il percorso sino ad allora sviluppato come da manuale tra documenti personali, tavole di progetto e pubblicazioni.
Un percorso che, dopo i fasti dell’onirica Wunderkammer, si conclude mestamente, analogamente a quanto accade a Carlo Aymonino, escluso progressivamente dal dibattito architettonico in corso e morto il 4 luglio 2010. Le pareti di Triennale si fanno d’un tratto spoglie, ravvivate solo da qualche ultimo disegno e da una autobiografia che sa tanto di coccodrillo. Il testo, vergato a mano con la solita ordinata calligrafia, è un succinto elenco di vanti personali e professionali concluso con un più che condivisibile – soprattutto dopo una simile mostra – “disegna da dio”.
Silvana Costa
La mostra continua:
Triennale di Milano
viale Alemagna, 6 – Milano
fino a domenica 22 agosto 2021
per le modalità di ingresso si veda il sito web
www.triennale.orgCarlo Aymonino
Fedeltà al tradimento
da un’idea di Livia e Silvia Aymonino
a cura di Manuel Orazi
progetto di allestimento Federica Parolini
progetto grafico catalogo NORM, Zurigo
Catalogo:
Carlo Aymonino
Fedeltà al tradimento
a cura di Manuel Orazi
Electa, 2021
384 pagine, 500 illustrazioni
prezzo: 45,00 Euro
www.electa.it