Frida Kahlo. Oltre il mito

Una ricca rassegna di dipinti e documenti d’archivio ricostruisce al MUDEC di Milano la vita e le tematiche dell’opera di Frida Kahlo con l’intento preciso di raccontare la donna – più che l’artista – consegnata al mito per aver rivoluzionato il modo di rappresentare la figura femminile nel XX secolo.

Vous allez rencontrer ma femme et tu vas tomber amoureux d’elle. (Lei adesso incontrerà mia moglie, e te ne innamorerai). Faceva sempre confusione tra vous e tu, ma c’ero abituato”. (H. Berggruen,  Ricordi di un mercante d’arte, Skira, 2017, pp. 59-60). San Francisco, 1939. Con queste parole Diego Rivera, il grande muralista messicano, preannuncia a Heinz Berggruen – che diventerà uno tra i più celebri mercanti d’arte della seconda metà del Novecento – l’incontro con Frida Kahlo, sua moglie. All’epoca Berggruen è solo un giovane tedesco giunto negli Stati Uniti con una borsa di studio per frequentare la Berkeley University. Frida d’altro canto non è ancora nota come pittrice ma il suo fascino – come ha modo di constatare il marito – già conquista quanti la incontrano.
Un fascino personale che in breve si trasforma in mito planetario ribadito in questi giorni a Milano dai tanti visitatori già accorsi a visitare Frida Kahlo oltre il mito, la mostra in corso al MUDEC – Museo delle Culture fino a domenica 3 giugno. Una mostra che più che monografica potremmo quasi definire agiografica per la minuzia con la quale Diego Sileo, il curatore, ha documentato non solo l’arte ma anche la vita, l’impegno politico e soprattutto la malattia di Frida Kahlo, tema che ricorre costantemente nella sua opera. Sileo cerca di restituire una delle più fulgide e stereotipate icone del XX secolo alla dimensione umana. Attingendo a piene mani nell’archivio di Casa Azul – l’abitazione/atelier della coppia Kahlo Rivera – egli propone disegni, lettere, fotografie, appunti, oggetti, abiti e accessori capaci di ricostruire la sfera familiare, privata e umana dell’artista.
Lungo il percorso di visita, concepito da Cesare Mari per PANSTUDIO, le tele policrome sature di animali esotici, vegetazione lussureggiante e riferimenti fantastici sono alternate a teche zeppe di documenti e stampe ingialliti dal tempo. Sileo propone al pubblico il continuo rimando tra le due facce di una stessa medaglia: pubblico e privato, mito e realtà, affetti famigliari e amicizie altisonanti. E soprattutto tra giovinezza ed età adulta quando Frida, figlia di un fotografo di origini tedesche, impara a sfruttare al massimo le potenzialità divulgative dell’ottava arte. La pittrice dall’aspetto esotico è infatti contesa dai principali fotografi dell’epoca; lei si presta a giocare con l’obiettivo, svelando i suoi mille interessi e, scatto dopo scatto, costruisce le solide fondamenta del suo mito. La luce dei riflettori non l’abbaglia né l’intimidisce, Frida Kahlo posa con lo stesso sguardo fiero che sfoggia negli autoritratti in cui mostra l’orgoglio di essere la donna che ha saputo rivoluzionare il ruolo femminile nella storia dell’arte, di esibire la cultura preispanica ereditata da parte materna e di offrire agli occhi del pubblico in maniera diretta, a volte persino violenta, la sofferenza che le martoria il fisico. Troviamo tutto ciò in Autoritratto con scimmia (1938), il quadro collocato al centro della prima sala del percorso di visita, quasi a permettere agli occhi curiosi di Frida di scrutare a sua volta il pubblico. Sulla spalla una graziosa scimmietta che le cinge il collo con fare protettivo; come sfondo non gli anonimi drappi della tradizione ritrattistica europea ma la rigogliosa vegetazione messicana.
L’attaccamento alla propria terra è leitmotiv ricorrente nei dipinti della Kahlo, nata alla vigilia della Rivoluzione che pone fine alla dittatura del Generale Díaz. Terra intesa in primo luogo – e forse il più immediatamente evidente – quale contesto socio culturale di afferenza che si manifesta nei variopinti costumi, nell’elaborata acconciatura, nei preziosi gioielli di derivazione precolombiana che Kahlo e Rivera amano collezionare insieme ad altre tipologie di manufatti antichi. Quanto le manca il Paese natale quando segue il marito nei lunghi soggiorni di lavoro negli USA! In Autoritratto alla frontiera tra Messico e Stati Uniti (1932) l’artista, collocata su di un piedistallo, funge da trait d’union tra i due Stati, due mondi contrapposti: le rovine della civiltà precolombiana messicana contro le ciminiere della fabbrica Ford di Detroit, i colori vivaci della natura – sebbene si tratti di piante velenose – contro il grigiore dello smog.
Terra anche nel senso ancestrale di Madre Terra con la ricca carica simbolica mutuata dalla tradizione preispanica poi integrata con ulteriori elementi derivati da religioni e filosofie di tutto il mondo. L’esempio indubbiamente più suggestivo tra i quadri presenti in mostra è L’amoroso abbraccio dell’Universo, la Terra (Messico), Diego, io e il Signor Xólotl (1949): lo sfondo è bipartito, come nella visione cinese di Yin e Yang, tra sole e luna, tra la luminosa componente spirituale e la materia oscura. Madre Terra accoglie in grembo una gran varietà di piante e Cihuacoati, la dea azteca della fertilità, rappresentata nell’atto di proteggere con un abbraccio Frida e Diego. L’iconografia scelta per ritrarre la coppia di sposi è quella della Pietà cristiana, con la Kahlo nelle vesti della Madonna ieratica e Rivera coricato sulle sue ginocchia, nudo, adornato a guisa di Buddha con il terzo occhio in fronte e il sacro fuoco rigeneratore che gli scaturisce dalle mani. Sul loro amore – sentimento così forte da mantenere in equilibrio la complessa composizione – veglia Xólotl il dio dalle sembianze canine cui nelle leggende azteche spetta in compito di accompagnare le anime negli Inferi in attesa del momento della reincarnazione.
Terra, infine, nel senso della materia organica che accoglie le spoglie esanimi, il luogo della definitiva decomposizione del fisico dopo il progressivo decadimento compiuto in vita. Il processo di logoramento dell’esile corpo di Frida Kahlo inizia sin dalla prima infanzia, all’età di sei anni quando la poliomielite compromette la piena funzionalità della gamba destra. Tra incidenti, operazioni e malattie la pittrice è obbligata a lunghi periodi di cura e convalescenza durante i quali, coricata a letto o racchiusa in un busto, la pittura rappresenta sia un’evasione dalla realtà sia uno strumento introspettivo. La continua presenza di amici non basta infatti a fugare innanzitutto il dolore fisico – Frida è obbligata ad assumere morfina per tutti gli ultimi dieci anni della sua vita per contenere le sofferenze cha la dilaniano – ma pure le ansie sulle reali possibilità di guarigione, il disagio per non poter compiere tutto quanto la fervida mente programma e, la peggiore di tutte, la paura. Tra tanti autoritratti spicca Il suicidio di Dorothy Hale (1938-39): si tratta di un lavoro dall’elegante tono ceruleo – così distante dalle tinte calde che dominano la produzione della Kahlo – commissionato da Clare Boothe Luce, all’epoca direttrice di Vanity Fair, per ricordare l’amica attrice suicidatasi il 21 ottobre del 1938. Il dipinto è estremamente crudo nel ricostruire i passaggi del disperato gesto, componendoli in un’unica scena che si conclude col cadavere sanguinate riverso sul marciapiede la cui visione sconvolge la committente. La crudezza è del resto la cifra stilistica di un’autrice obbligata a interfacciarsi quotidianamente con il progressivo aggravarsi del proprio stato di salute e con il pensiero della morte: nella lunga sequenza di ritratti in mostra si vede il suo viso assottigliarsi progressivamente lungo il calvario mentre gli occhi risultano, per conseguenza, sempre più grandi e mai rassegnati.
Di sala in sala il volto e il corpo di Frida Kahlo si trasfigurano da banali autoritratti in manifesti di un pensiero complesso che unisce l’intima introspezione emotiva alle battaglie socio-politiche; ogni singolo elemento di ciascun dipinto è carico di allusioni simboliche e sta al pubblico scegliere se limitarsi ad apprezzare lo sfavillio di colori che illuminano la scena e l’armonia dell’insieme o perdersi, come davanti alla Primavera del Botticelli, a decifrarne ogni singola componente. Indubbiamente ripetere l’operazione per i cinquanta quadri in mostra diventa impegnativo ma è piacevole individuare gli elementi ricorrenti, mentre coglierne l’evoluzione nel tempo è fonte di grande soddisfazione per il visitatore. Ed è proprio la capacità di affascinare l’osservatore con l’evocazione di terre lontane, di appassionarlo con l’altalenante rapporto con Diego Rivera e di coinvolgerlo con la narrazione del quotidiano dolore fisico ad avere reso Frida Kahlo una tra le artiste moderne più amate – e quotate – di questi ultimi decenni.

Silvana Costa

La mostra continua a:
MUDEC – Museo delle Culture

via Tortona 56 – Milano
fino a domenica 3 giugno 2018
orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì – mercoledì 9.30 – 19.30
giovedì – venerdì – sabato 9.30 – 22.30
domenica 9.30 – 20.30
la biglietteria chiude un’ora prima
www.mudec.it
 
Frida Kahlo
Oltre il mito
a cura di Diego Sileo
una mostra 24 Ore Cultura
allestimento Cesare Mari, PANSTUDIO architetti associati con Carlotta Mari
immagine coordinata e grafica Studio FM
in collaborazione con Mexico Gobierno de la Repubblica, INBA

Catalogo:
Frida Kahlo. Oltre il mito

a cura di Diego Sileo
comitato scientifico Hayden Herrera, uan Rafael Coronel Rivera
24 ORE Cultura, 2018
cartonato, 23 x 28 cm, 384 pagine, 250 illustrazioni
prezzo 39,00 Euro
www.24orecultura.com