Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo

Torna la grande fotografia a Palazzo Reale con Gianni Berengo Gardin e la sua capacità di raccontare, negli scatti in bianco e nero, le storie senza pregiudizi, attraverso una narrazione lineare e coerente.

“Io non è che non voglio parlare: ho fatto tanta fatica a imparare a fotografare e quindi il mio modo di parlare è fotografare.” Con queste semplici parole, il maestro Gianni Berengo Gardin zittisce i giornalisti presenti all’inaugurazione della più grande retrospettiva che gli sia mai stata dedicata. Le meravigliose 183 fotografie in bianco/nero raccolte nelle sale di Palazzo Reale ci raccontano di una carriera perseguita sempre ai massimi livelli, con il fine ultimo di documentare l’eccezionalità della quotidianità. Il maestro continua il suo breve intervento specificando: “non sono un artista, non voglio essere considerato un artista, non mi interessa per nulla essere un artista. Mi interessa essere il testimone della mia epoca!” Interrogato infatti su cosa lo renda più orgoglioso di quanto fatto in sessant’anni, risponde, senza pensarci nemmeno un attimo, che è l’aver organizzato l’archivio composto da oltre 1.500.000 fotografie affinché, tra un paio di secoli, possa rappresentare un importante documentazione da cui evincere come si vivesse in questa epoca.
La mostra, proveniente da Venezia – dove è stata ospitata nell’edificio neogotico costruito nel 1913 da Marius Pictore, uno dei più bizzarri episodi di architettura neogotica novecentesca oltre che sede di Tre Oci – è stata integrata con una ricca sezione su Milano e la sua gente per rendere omaggio alla città che nel 2012 ha insignito Berengo Gardin dell’Ambrogino d’oro. Come fosse un atlante storico antropologico di Milano, la prima sezione espositiva mostra, una di fianco all’altra le fotografie realizzate alla Stazione Centrale – gran crocevia di pendolari ed immigrati oggi come negli anni ’70 quando arrivano speranzosi di poter trovare lavoro nelle grandi industrie del nord, con la valigia colma di sogni, tenuta chiusa con lo spago – ed alle signore impellicciate in via Montenapoleone, durante le manifestazioni in piazza Duomo e nei cortili delle case di ringhiera. Con la consueta attenzione alla completezza del panorama restituito, non mancano i servizi realizzati tra gli ultimi della società, restituendoci il volto di Fratel Ettore che soccorre i poveri nella Milano del boom economico. Negli anni ’60, quando Berengo Gardin decide di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia, trova nel capoluogo lombardo il terreno fertile necessario per sviluppare al meglio il proprio pensiero e progetto artistico, a ricordo di quei tempi e delle persone conosciute, vediamo a Palazzo Reale gli omaggi a due personaggi fondamentali di questo periodo: l’amico Gabriele Basilico ed Ugo Mulas. Da quest’ultimo racconta di aver appreso la grande differenza intercorrente tra gli aggettivi bello e buono, imponendosi quindi di perseguire la realizzazione di buone foto, in cui l’aspetto prettamente estetico fosse subordinato alle informazioni ed alle emozioni effettivamente trasmesse all’osservatore.
Nella sezione dedicata a Venezia immagini note quali il carnevale, la regata storica, le contestazioni alla biennale del 1968, il Caffè Florian – dove il trascorrere del tempo sembra non aver lasciato il segno nelle salette interne e tra gli avventori – o, ancora, il fenomeno dell’acqua alta convivono con altre più intime, lontane dalle rotte dei turisti e legate alla vita degli abitanti: i bimbi che saltano la corda nei campielli, i giovani alla spiaggia del lido nel 1958, i matrimoni e i funerali. Alla Serenissima, città d’origine del padre, è legato l’episodio più recente in cui Berengo Gardin mette la sua macchina fotografica al servizio di cause civili: la campagna contro i “mostri alti il doppio di Palazzo Ducale” che solcano il Canal Grande col loro carico di turisti assolutamente disinteressati alle bellezze locali. Una manciata di giorni prima dell’inaugurazione della mostra, domenica 9 giugno, a Venezia si è svolta una manifestazione organizzata dal comitato No Grandi Navi contro il passaggio delle navi da crociera davanti a piazza San Marco, in quest’occasione, Repubblica ha pubblicato una lunga intervista a Berengo Gardin accompagnata dall’accurato reportage, frutto di numerosi appostamenti finalizzati a denunciare lo scempio in atto.
Il percorso di visita prosegue, snodandosi non in senso cronologico ma per tematiche, andando a toccare argomenti di grande valore sociale e civile, raccontando storie meravigliose, sorprendenti, dolorose che, nel loro evolversi, sembrano preludere alla successiva; tra le stampe ai sali d’argento trovano spazio anche alcune delle macchine fotografiche ed una selezione dei 200 e più libri pubblicati in questi decenni. Morire di classe è un servizio del 1968 commissionatogli da Franco Basaglia – lo psichiatra promotore della riforma psichiatrica nel nostro paese – al fine di dimostrare come nei manicomi italiani approdasse solo la pazzia delle classi più povere, confinata in condizioni di enorme degrado umano e sociale. Di fronte, nella stessa sala, è esposta un’altra storica inchiesta: quella realizzata nei campi rom sovraffollati, vivendo per settimane a stretto contatto con la comunità romanì guadagnandosi la loro fiducia e restituendoci un immagine molto lontana dai pregiudizi di tutti noi. La forza di questi reportage è tale che nel 1995 il volume La disperata allegria, vivere da zingari a Firenze (Firenze 1994) vince il Leica Oskar Barnack Award ai Rencontres Internationales de la Photographie di Arles; pochi anni dopo, nel 1998, Zingari a Palermo (Roma 1997) consegue, ex aequo, il Premio Oscar Goldoni per il miglior fotolibro dell’anno.
La professionalità di Gianni Berengo Gardin gli ha consentito di varcare anche le porte dei rigidi conventi di clausura come quello di La Verna dove San Francesco ricevette le stimmate, realizzando le suggestive fotografie che vediamo esposte nella sezione Fede e religiosità. Tra i festeggiamenti per un matrimonio in cascina, la Pasqua in Sicilia, la basilica di San Pietro trasformata in luogo di riposo per i turisti spossati emerge la suggestiva processione in Spagna immortalata in uno scatto che persino Henri Cartier-Bresson volle avere.
La sezione Baci comprende una vera chicca: l’unica fotografia catturata con un apparecchio digitale. Abbiamo già ammirato i due ragazzi avvinghiati in via San Michele del Carso a febbraio, alla Galleria Bel Vedere, nel corso della rassegna dedicata agli scatti premiati dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) tra quante realizzate, durante il 2012, nel capoluogo lombardo (leggi la recensione) e non avevamo colto la sua unicità eppure, secondo il maestro, lo si dovrebbe capire benissimo! Berengo Gardin è decisamente ostile all’utilizzo del digitale se non da parte di chi realizzi servizi di attualità destinati alla rapida pubblicazione; in tutti gli altri casi sottolinea come il suo utilizzo cambi la mentalità dei fotografi, riducendo sempre più il momento di riflessione, alla ricerca dell’attimo giusto per scattare, o per capire quando sia il caso di soprassedere. Soffermandoci a guardare i suoi scatti rubati ci rendiamo conto del grande lavoro che vi sta dietro, della pazienza nell’attendere la luce giusta, il gesto d’effetto, ma soprattutto nel bilanciare l’inquadratura proponendo scene che solamente una meticolosa composizione sul set avrebbe potuto rendere altrettanto equilibrata.
Il percorso si conclude con la sezione Berengo Gardin reporter volta a riassumere in pochi metri lineari di superficie espositiva le tappe di una carriera segnata dalla collaborazione con importanti riviste, iniziata nel 1954 con Il Mondo, segnata da servizi che hanno cambiato il modo di rappresentare il paesaggio come quelli commissionati a più riprese dal Touring Club Italiano. Tra stampe in grande formato che ci restituiscono damine inglesi, lande incontaminate o la Luzzara di Zavattini, possiamo constatare come ogni singola fotografia abbia cambiato significato nel corso degli anni, rispetto all’epoca in cui è stata scattata, moltiplicando il proprio valore divenendo tassello imprescindibile per restituirci storie eccezionali oltre al ritratto di un’epoca.

La mostra continua a:
Palazzo Reale
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 8 settembre 2013
lunedì 14.30–19.30; martedì-domenica 9.30–19.30; giovedì e sabato 9.30–22.30
il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
http://comune.milano.it/palazzoreale

Gianni Berengo Gardin
Storie di un fotografo
a cura di Denis Curti
prodotta da Comune di Milano –Cultura; Palazzo Reale; Tre Oci; Fondazione FORMA per la Fotografia; Civita Tre Venezie
www.mostraberengogardin.it

Catalogo
Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo
a cura di Denis Curti
con un testo di Italo Zannier
Marsilio Editori s.p.a.
20×25 cm, cartonato, pp. 280, con 184 ill. in bicromia
prezzo 40,00 euro