Giorni felici

Debutta al Teatro Out Off di Milano la nuova produzione firmata da Lorenzo Loris, magistralmente interpretata da Elena Callegari: Giorni felici di Samuel Beckett.
Man mano che le luci si spengono, nella sala gremita di pubblico per la prima nazionale del nuovo spettacolo firmato Lorenzo Loris, si diffondono nell’aria le note di Happy Days. Nulla di romantico: non si tratta del canto gospel a tema natalizio bensì della sigla di testa dell’omonima serie televisiva che spopola dagli anni ’70. Il testo originale prevedrebbe un valzer, ma in fondo, l’autore, non ha mai avuto modo di conoscere ed apprezzare la borghese compostezza della famiglia Cunningham. Happy Days è anche il titolo in lingua originale della drammatica pièce teatrale scritta dall’irlandese Samuel Beckett nel 1961 di cui è attualmente in scena al Teatro Out Off una nuova produzione con la regia di Loris, riproponendo al pubblico la struggente traduzione di Carlo Fruttero datata 1968. È la terza volta che il regista si cimenta con i capolavori beckettiani, dopo Finale di partita con Paolo Pierobon, Alessandro Genovesi, Giorgio Minneci, Elena Arcuri nel 2003 e Aspettando Godot con Gigio Alberti, Mario Sala, Alessandro Tedeschi e Davide Giacometti nel 2009. Anche questa volta Loris affida ad Elena Callegari il complesso ruolo di Winnie – la protagonista – che recita sepolta, dalla vita in giù, in un cumulo di sabbia. Non è certamente la ridotta mobilità a penalizzare cotanta attrice che riesce a riempire l’intero palcoscenico con la propria personalità, valorizzando all’ennesima potenza mimica facciale e intonazioni di voce.
La trama, come nelle altre opere di Samuel Beckett per cui Martin Esslin conia nel 1961 la definizione di Teatro dell’assurdo, è assolutamente priva di senso, ad iniziare dal motivo per cui Winnie sia sepolta nella sabbia, aggiungendovi che non le riesce mai di vedere il marito Willie il quale vive in una cavità del scavata sul retro del cumulo ma, soprattutto, il fatto che non si adoperino a liberare la donna sull’esempio della coppia che per un po’ ha fatto loro compagnia. Winnie passa le giornate rispettando i ritmi di veglia e sonno, scanditi dalla sirena che risuona in lontananza; compie meticolosa le operazioni di igiene personale rovistando nella capiente borsa nera alla ricerca di dentifricio, pettine e rossetto; esposta ai fattori ambientali, si protegge, nelle ore in cui il sole splende alto nel cielo, con cappello ed ombrello. Soprattutto, Winnie riesce a sconcertarci dimostrandosi felice di quel poco che ha: la luce del sole, il marito che non l’abbandona, il suono di una parola. Non è nel dialogo che la signora si sforza di intrattenere col marito che risiedono i toni drammatici – in fondo ci ricorda tanti discorsi di circostanza di cui sono pieni gli scritti di epoca vittoriana, a iniziare da quelli sarcastici di Oscar Wilde (casualmente … pure costui vanta sangue irlandese come Beckett) – ma in un oggetto che Winnie ad un tratto estrae dalla borsetta e posa sulla sabbia: una pistola. Lei afferma di conservarla solo perché il marito potrebbe volersene servire però la accarezza, la guarda come se per un attimo stesse considerando l’idea del suicidio: in realtà sembra rifiutare la possibilità di compiere il gesto estremo per non rassegnarsi ad ammettere che la sua sia una vita vuota. In fondo, “questo è veramente un giorno felice… sarà stato un altro giorno felice… dopotutto… finora…”
Narra il mito legato a quest’opera che, un giorno, a pranzo Beckett confida all’attrice Brenda Bruce come sia arrivato a scrivere il testo: «Beh, pensai che la cosa più terribile che possa succedere a qualcuno sia di non permettergli di dormire, così che ogni volta che sei lì lì per addormentarti c’è un “dong” e ti risvegli per forza. Stai affondando dentro la terra ed è pieno di formiche, e il sole risplende continuamene giorno e notte e non c’è un albero…. Così niente ombra, niente, e quella campana ti tiene sveglio per tutto il tempo e tutto quello che hai è un mucchietto di cose per guardarti per tutta la vita. E infine ho pensato: chi avrebbe potuto tenere testa a tutto questo e andarsene giù cantando? Soltanto una donna»
Rinnoviamo il plauso a Loris ed alla superba Callegari in scena con l’intenso Matteo Pennese – che ha curato l’aspetto musicale della messa in scena – ma non possiamo non sottolineare quanto il lavoro della scenografa Daniela Gardinazzi sia reso estremamente suggestivo dalle proiezioni di luci ed immagini orchestrate da Luca Siola.
Chiudiamo, tristemente, con un parallelismo suggeritoci dalla lettura delle solite vicende politiche in attesa dell’inizio dello spettacolo. Giorni felici si pone come amara metafora dell’attuale situazione italiana, in balia dell’assoluto immobilismo: “né peggio né meglio… nessun cambiamento, nessun dolore o quasi è già una gran cosa”

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Teatro Out Off
via Mac Mahon 16 – Milano
fino a domenica 14 aprile
orari spettacoli: da martedì a sabato ore 20.45; domenica ore 16.00

Giorni felici
di Samuel Beckett
traduzione di Carlo Fruttero
regia Lorenzo Loris
con Elena Callegari, Matteo Pennese
musica Matteo Pennese
scena Daniela Gardinazzi
costumi Nicoletta Ceccolini
luci Luca Siola
video Dimitris Statiris, Stefano Bruscolini
produzione Teatro Out Off – Stabile di Innovazione
durata 1 ora e 20 minuti
prima nazionale