A Palazzo Ducale di Mantova sono in mostra oltre un centinaio di disegni eseguiti da Giulio Romano, articolati in tre sezioni volte a ripercorrerne la carriera e a esplicarne il metodo lavorativo.
Mantova tutta sembra essersi mobilitata in onore di uno dei suoi cittadini più illustri, sebbene non di nascita ma di adozione: Iulius de Pippis de Ianutiis noto al mondo come Giulio Romano. Tantissimi gli eventi in questo 2019 a lui dedicato ma la parte da leone la fanno due mostre in particolare: “con nuova e stravagante maniera” a Palazzo Ducale e Arte e Desiderio a Palazzo Te. Entrambe le esposizioni, aperte sino al 6 gennaio 2020, trovano spazio in residenze della famiglia Gonzaga che già di per sé rappresentano un esempio della versatilità della creatività di Giulio Romano.
Giulio Pippi nasce a Roma nell’anno 1499 – così almeno sembrano aver concordato gli storici – dove entra, ancora giovanissimo, nella bottega di Raffaello Sanzio. È probabilmente uno degli allievi più dotati e nel 1520, alla morte del Maestro, insieme a Giovan Francesco Penni noto come il Fattore, ne eredita la bottega e la direzione di tutti i cantieri in corso. Nel 1524 cede alle lusinghe di Baldassarre Castiglione e accetta l’invito del marchese Federico II Gonzaga a trasferirsi a Mantova. C’è chi insinua per sfuggire allo scandalo conseguente la pubblicazione de I Modi, una serie di suoi disegni erotici, accompagnati dai sonetti di Pietro Aretino, divulgati a mezzo stampa da Marcantonio Raimondi cui la mostra a Palazzo Te dedica una ricca sezione.
Al di là dei pettegolezzi, Giulio arriva a Mantova nel 1524 e gli si affida prima il cantiere della villa a Marmirolo e successivamente la progettazione di Palazzo Te, il luogo di delizie ispirato alle domus antiche, da costruirsi appena oltre le porte della città. Organizzando meticolosamente il lavoro come appreso da Raffaello, ovvero occupandosi di disegnare ogni singolo elemento e delegandone la realizzazione ai valenti artisti che lo circondano, in una decina d’anni Giulio Romano porta a termine Palazzo Te, incluso il ricco apparato decorativo capace di stupire tutti gli ospiti di casa Gonzaga, a iniziare dall’imperatore Carlo V. Dal 1526 sino alla morte, sopraggiunta nel 1546, riveste il ruolo di prefetto delle fabbriche dei Gonzaga occupandosi di fatto dal cucchiaio alla città, ovvero dalle suppellettili e dai lavori di oreficeria all’urbanistica.
La mostra Giulio Romano a Mantova “con nuova e stravagante maniera” ripercorre tutte queste tappe attraverso un centinaio di disegni vergati dall’artista di suo pugno cui si affiancano volumi antichi, arazzi, dipinti, lavori dei suoi collaboratori e, soprattutto, lo straordinario sfondo delle architetture e degli affreschi della Corte Nuova di Palazzo Ducale. Ogni disegno, a iniziare da quello di piccole dimensioni sino ai cartoni in scala 1:1, non è un banale esercizio grafico quanto una complessa riflessione artistica di cui Giulio Romano tiene ben salde le redini della composizione e del gruppo di esecuzione. Per esempio, osservando uno studio pittorico o scultoreo, così come l’opera finita, si può evincere come renda i personaggi nello spazio, come li disponga gerarchicamente e come li carichi di una ricca gamma di allusioni e citazioni. A guisa di un moderno regista cinematografico Giulio Romano parte dal campo lungo per scendere sino al primissimo piano per non lasciare al caso nessun dettaglio. Questa metodologia gli consente anche di aggirare l’obbligo impostogli di Federico II – geloso del suo artista di corte – di non lasciare Mantova per seguire cantieri per conto di altri committenti, fornendo ai collaboratori in loco istruzioni estremamente particolareggiate.
I suoi disegni suscitano interesse sin da quando è ancora in vita: il 19 novembre 1530 Federico II – ormai assorto al livello di duca anche grazie al contributo di Giulio Romano – ordina di imprigionare il pittore veronese Dionigio Brevio reo di aver rubato svariati fogli del prefetto delle sue fabbriche; nel 1541 Giorgio Vasari, in transito per Mantova, stringe amicizia con l’artista e ottiene di poterne visionare la produzione grafica. Affascinato da quanto illustratogli, in particolare dalle soluzioni architettoniche, Vasari inserisce Giulio Romano nel trattato Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri, pubblicato nel 1550 e di nuovo nel 1568 con integrazioni. In un passaggio del ritratto a Giulio Romano ritroviamo la citazione presa dai curatori a titolo della mostra. “E perché il luogo non ha pietre vive, né commodi di cave da potere far conci e pietre intagliate, come si usa nelle muraglie da chi può farlo, si servì di mattoni e pietre cotte, lavorandole poi di stucco. E di questa materia fece colonne, base, capitegli, cornici, porte, finestre et altri lavori, con bellissime proporzioni: e con nuova e stravagante maniera gl’ornamenti delle volte, con spartimenti dentro bellissimi e con ricetti riccamente ornati”.
Nel 1555, a pochi anni dalla morte di Giulio Romano, il figlio Raffaello vende i disegni all’antiquario mantovano Jacopo Strada che li porta probabilmente con sé quando si trasferisce per lavoro prima a Vienna e poi in Baviera: da quelle piazze la loro diffusione in Europa è immediata. In mostra compaiono alcuni fogli con un bordo in foglia d’oro dell’altezza di circa 1 cm: sono elementi provenienti da una delle più importanti collezioni del XVII secolo, quella del banchiere di origine tedesca Everhard Jabach (1618-1695). Nel 1671 Jabach vende circa 5.000 pezzi a re Luigi XIV di Francia, poi confluiti nel Cabinet des dessins del Musée du Louvre. Il museo parigino a oggi possiede 131 disegni originali di Giulio Romano – in gran parte eseguiti a penna con ombreggiature a inchiostro – e 206 copie che ne coprono tutta la carriera con esclusione delle creazioni di architettura e oreficeria.
Con 72 di quei disegni – poi integrati da fogli provenienti da altre rinomate collezioni tra cui l’Albertina di Vienna e il Victoria & Albert Museum di Londra – il Musée du Louvre è partner del Complesso Museale Palazzo Ducale nell’organizzare Giulio Romano a Mantova “con nuova e stravagante maniera”. La mostra è curata da Peter Assmann, Laura Angelucci, Paolo Bertelli e Roberta Serra, con la collaborazione di Michela Zurla e il supporto di un ampio comitato scientifico.
L’esposizione, divisa in tre sezioni, si sviluppa su un’area di oltre 2.500 mq attraverso le sale del Castello di San Giorgio e di Corte Nuova.
La prima sezione, Il segno di Giulio, ripercorre il percorso artistico, stilistico e metodologico di Giulio Romano, dalla bottega di Raffaello alla morte. In apertura è collocata Madonna con il Bambino, inizialmente attribuita al solo Raffaello e, successivamente, considerata frutto della collaborazione tra maestro e allievo. Seguono volumi antichi; idee per bacili, brocche, vasi, suppellettili e un candeliere poi prodotto dal Politecnico di Milano con una stampante 3D a dimostrazione della completezza delle indicazioni fornite dal designer; progetti per monumenti funebri, per pale d’altare – in qualità di prefetto delle fabbriche gli spetta occuparsi anche delle chiese e degli altri luoghi consacrati – e per la decorazione del nuovo coro del duomo di Verona: uno spettacolare scorcio pittorico da sotto in su che spalanca lo spazio prospettico.
È esposto un arazzo della serie Giochi di putti accompagnato da disegni preparatori. Ci sono i modelli del ciclo di arazzi dei Trionfi di Scipione portati in Francia a Francesco I dal Primaticcio, quando nel 1540 entra a servizio del re, insieme ad altre idee di Giulio Romano con l’intento di procurargli nuove commesse. Il tema di Scipione l’Africano è affrontato alcuni decenni prima anche da Andrea Mantegna, altro artista di punta della corte gonzaghesca, in un suggestivo dipinto monocromo, la Continenza di Scipione, ora alla National Gallery di Londra (non è contemplata tra i pezzi in mostra).
Protagonista indiscussa di questa prima sezione è tuttavia la ventina di fogli relativi all’apparato decorativo in stucco e in pittura di Palazzo Te – poco meno della metà di quanti di proprietà del Louvre – relativi alla Camere di Ovidio, delle Aquile, degli Stucchi, degli Imperatori, alla Sala di Amore e Psiche e alle grottesche. Si resta affascinati dal disegno relativo a un quarto della volta della Sala dei Giganti: eseguito a penna come di consueto, presenta una figura lasciata a matita, seminascosta dalla coltre di nubi, a sottolineare che la si dovesse appena intravedere nell’opera finita. Lì, nel chiuso di Palazzo Ducale, anche i visitatori che non hanno ancora fatto tappa a Palazzo Te, attraverso i disegni possono immaginare lo splendore della villa suburbana e compiere un viaggio ideale.
Al modo di Giulio si sviluppa nelle stanze della Corte Nuova e, laddove è ancora possibile, instaura un confronto diretto tra il disegno e la decorazione superstite: l’apice della sezione è rappresentato dall’Appartamento di Troia riccamente affrescato.
Nella Sala dei Cavalli – dove è ospitata parte della raccolta di statuaria greco-romana – è esposto su un tavolo il disegno preparatorio per la Caduta di Icaro cui è accostato uno specchio convesso che consente di ammirare l’opera compiuta, una tela collocata a soffitto – molto ritoccata – eseguita da un collaboratore di Giulio Romano. Il disegno proviene dalla collezione di Giorgio Vasari dove è inserito in un album, il Libro de’ disegni, e citato con trasporto nella seconda edizione delle Vite. “Vi si vede il calore del sole friggendo abruciar l’ali del misero giovane, il fuoco acceso far fumo, e quasi si sente lo scoppiar delle penne che abruciano, mentre si vede scolpita la morte nel volto d’Icaro, et in Dedalo la passione et il dolore vivissimo”. Il “friggere” e il “bruciare” sono enfatizzati dalla cornice posticcia a tema, creata dal Vasari stesso, per uniformare i fogli del Libro, a evocazione di un caminetto.
L’aspetto iniziale del Camerino dei Cesari, rivestito da affreschi, dipinti, stucchi e pannelli lignei, è suggerito al pubblico posizionando a grandezza del decoro originale – alienato nel corso del XVII secolo – copie dei disegni di Ippolito Andreasi detto l’Andreasino che a metà del Cinquecento riceve l’incarico di fare il rilievo di tutte le sale del Palazzo. Sue anche le tavole della splendida Loggia dei Marmi, spazio destinato a ospitare le raccolte di antichità dei Gonzaga, ricoperto da marmi antichi e stucchi.
Dalle finestre della Loggia dei Marmi si possono ammirare il rivestimento in bugnato e le panciute colonne tortili che scandiscono il Cortile della Cavallerizza, progettato da Giovan Battista Bertani – prefetto delle fabbriche a partire dal 1546 – proseguendo il motivo di facciata della Rustica di Giulio Romano che vi si affaccia. È così introdotta la sezione successiva, dedicata all’architettura, intitolata Alla maniera di Giulio cui si accede superando la maestosa Galleria dei Mesi – 64 m di lunghezza per 7 di larghezza – realizzata sempre dal Bertani su incarico di Guglielmo Gonzaga per congiungere l’Appartamento di Troia e la palazzina della Rustica e collocarvi un’ulteriore parte delle raccolte del casato.
Nella Rustica trovano spazio due soluzioni per la porta di Palazzo Te; le facciate delle case a Roma – rilievo eseguito da Giovanni Antonio Dosio – e a Mantova emblemi della stravagante maniera; volumi e tanti disegni di collaboratori e seguaci, incluso Andrea Palladio.
Varietà di mani ma anche di soggetti contraddistingue le ultime due sale espositive raccontando l’estro creativo multidisciplinare degli eredi della lezione di Giulio Romano: alle imponenti pale d’altare di Rinaldo Mantovano e Fermo Ghisoni da Caravaggio, accompagnate dai relativi studi, si affiancano crocefissi per uso devozionale privato e più vezzosi modelli di costumi teatrali e bardature da parata del Bertani piuttosto che motivi decorativi per le stanze del Palazzo.
Il percorso è articolato e rende perfettamente la poliedricità di Giulio Romano unita a una sorprendente efficacia rappresentativa, dote enfatizzata quando possibile tramite il confronto diretto tra progetto e lavoro compiuto. Nei restanti casi, l’infilata di sale tappezzate esclusivamente da disegni a penna si rivela decisamente impegnativa per il visitatore, magari giunto pensando di ammirare molti più esempi dell’esplosione di colori peculiare dell’artista manierista.
Peculiarità su cui fanno leva sia il sito di Palazzo Ducale che quello ufficiale della mostra – ma a conti fatti si tratta più che altro della vetrina delle Guide Turistiche Confcommercio – per illustrare i comunicati istituzionali. L’esperienza è tuttavia bilanciata dal potere evocativo dei disegni di Giulio Romano e dalla molteplicità dei soggetti in un continuo fluttuare tra sacro e profano, divino e umano.
Silvana Costa
La mostra continua:
Complesso Museale Palazzo Ducale
Mantova
fino a lunedì 6 gennaio 2020
orari martedì – domenica 8.15-19.15
chiuso: lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio
www.mantovaducale.beniculturali.itGiulio Romano a Mantova
“con nuova e stravagante maniera”.
a cura di Peter Assmann, Laura Angelucci, Paolo Bertelli, Roberta Serra
con la collaborazione di Michela Zurla
grafica mostra Sigla Comunicazioni
mostra organizzata da Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova
con il sostegno eccezionale del Musée du Louvre di Parigi
www.giulioromano2019.itCatalogo:
Giulio Romano a Mantova
“con nuova e stravagante maniera”
a cura di Musée du Louvre, Département des Arts graphiques, Laura Angelucci, Roberta Serra, Peter Assmann, Paolo Bertelli
con la collaborazione di Michela Zurla
Skira, 2019
24 x 28 cm, 280 pagine,175 colori, brossura
prezzo: 35,00 Euro
www.skira.net