Filippo Renda rilegge il dramma di Euripide in chiave moderna e femminile per lanciare un invito a liberarsi, come le originarie seguaci del dio Dioniso, dal peso della quotidianità e dalla catena che ancora oggi lega i ruoli ai generi.
Filippo Renda, a un anno di distanza dal successo riscosso con Medea, una strega torna al Teatro Litta di Milano con Baccanti. Il regno del dio che danza. Entrambe le opere sono un tributo alle origini del teatro occidentale attraverso la rilettura di due drammi di Euripide. Una rilettura non tanto dei contenuti – che a distanza di millenni si rivelano ancora attuali – quanto nella forma, trasponendo la rappresentazione dagli imponenti teatri all’aperto a spazi più raccolti come il Litta, riducendo il numero di personaggi in scena ed escogitando soluzioni per sopperire all’assenza del coro.
La rappresentazione di Baccanti è concepita come la celebrazione di un rito in omaggio alla dea Dioniso, di un rito che porti alla liberazione dal peso della quotidianità e a un ritorno ai ritmi dettati dalla natura. La convenzionale disposizione delle poltrone rivolte verso il palcoscenico viene stravolta per creare al centro della platea lo spazio dedicato alla performance con il pubblico disposto intorno a cerchio, a generare un flusso continuo di energia. Il palcoscenico accoglie invece la consolle di Sofia Tieri, la dj che accompagna le vicende de Il regno del dio che danza al ritmo di psytrance, un genere che unisce influenze psichedeliche e ritmi ipnotici a melodie suadenti per un viaggio emotivo e spirituale complementare a quanto accade al centro della scena. All’ingresso del pubblico in sala la musica risuona già ad alto volume mentre su una semplice stuoia, intesa a delimitare lo spazio sacro della rappresentazione, Maria Canal, Gaia Carmagnani, Silvia Guerrieri, Sarah Short e Alice Spisa danzano sino a quando, sfinite, si lasciano cadere a terra. Sono baccanti ovvero seguaci di Dioniso, divinità assimilabile al latino Bacco da cui il loro appellativo.
Dioniso, raffigurato nell’arte classica con sembianze maschili, è noto come il dio dell’estasi e dell’ebrezza, come colui che riesce a spegnere negli esseri umani la razionalità per lasciare libero il campo all’istinto primordiale animale. Alle origini del mito, tuttavia, Dioniso è concepito di genere ibrido, femminile e maschile, e in virtù del suo potere di dare la vita é identificato con la linfa che scorre nelle piante.
Filippo Renda prende spunto da questa prima concezione di Dioniso per conferirgli, nella sua riscrittura del dramma di Euripide, sembianze femminili. È una dea inclusiva: tra i suoi seguaci non sono ammesse solo donne ma anche uomini purché accettino di indossare abiti femminili. È una divinità buona, equiparabile sotto molti aspetti a Gea, la dea primordiale da cui discendono tutte le divinità della mitologia greca, per il suo invocare un ritorno alla natura e una liberazione del genere femminile dalla reclusione tra le mura domestiche, al servizio della propria famiglia. Baccanti. Il regno del dio che danza di Renda è in questa accezione un inno alla vita e all’emancipazione femminile.
La narrazione prende l’avvio dall’arrivo di Dioniso a Tebe, dalla lontana Licia, terra all’epoca considerata barbara in opposizione alla raffinatezza della cultura greca. Le donne della polis la accolgono festanti e danzano in suo onore mentre una figura misteriosa interpretata dallo stesso Renda gira loro intorno reggendo in mano un rossetto: è il simbolo di emancipazione, del prepararsi ad uscire di casa per immergersi nella natura e danzare sino a scordare le preoccupazioni della vita quotidianità, del piacere di ridare colore alle proprie labbra e aprirle in una risata liberatoria.
Renda è abbigliato in modo bizzarro, con una sorta di kimono maschile con calzini in colore coordinato, una voluminosa corona di fiori e occhialetti da sole tondi come quelli indossati da Dioniso nella serie animata C’era una volta Pollon. Egli quasi non proferisce parola, limitandosi come un’ancella a recare alle protagoniste in scena gli oggetti utili a celebrare un rito in onore della grandezza della dea, un rito di cui già la sua entrata in scena, con movimenti studiati ed enfatici uniti al costume indossato, è parte integrante. Egli stesso spiega che “questa riscoperta rituale mira a risvegliare un senso di comunità e partecipazione attiva in cui gli spettatori sono sono più solo testimoni passivi, ma diventano parte integrante dell’esperienza teatrale, coinvolti in un viaggio che sfida le convenzioni e apre nuove prospettive sulla nostra realtà”.
Un rito volto a portare un’evoluzione del ruolo della donna nella società tebana e, per estensione, nella nostra contemporaneità ancora improntata su una matrice maschilista, facendo emergere tutta la forza interiore e trasformandola da attrice subordinata alla figura maschile – padre, marito o figli che siano – a protagonista della propria vita.
Penteo, il re di Tebe, accoglie con ostilità la nuova arrivata, non riconoscendone la natura divina e ritenendo la sua presenza nociva per gli equilibri che regolano la polis e le famiglie che la abitano. Di parere contrario sono sua madre Agave, il nonno Cadmo e Tiresia, l’indovino cieco, che non esitano ad aderire all’invito di Dioniso – questi ultimi vestendo panni femminili – seguendola nei boschi del monte Citerone. Là li raggiungerà anche Penteo per spiare la scena e capire se sia possibile conciliare la trasgressione con la razionalità su cui si fonda la società greca: l’epilogo noto della tragedia antica, pur riproposto nell’adattamento di Filippo Renda, trova qui una svolta salvifica che porta a un’evoluzione del personaggio.
Penteo è impersonato con il vigore e la crudeltà del sovrano che difende il proprio potere da Gaia Carmagnani mentre il ruolo di Dioniso, interpretato la maggior parte del tempo da Alice Spisa, è condiviso tra le altre attrici in scena a sottolineare come la divinità sia una rappresentazione simbolica, da un lato, di tutte le donne e, dall’altro, di un continuo fluire. Brave tutte a rendere coinvolgente ed interessante questa ennesima rilettura di Baccanti che, all’inizio, con le danze forsennate al ritmo pulsante della musica psytrance e la premessa un po’ scontata dell’autore, si preannuncia un mero esercizio di stile con morale finale. Il regno del dio che danza risulta invece uno spettacolo non banale, ben costruito e curato nei dettagli ma, soprattutto, molto ben interpretato
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Litta
corso Magenta 24 – Milano
fino a domenica 24 marzo 2024
orari: martedì – sabato 20.30
domenica 16.30
www.mtmteatro.it
Baccanti
Il regno del dio che danza
da Euripide
di Filippo Renda
con Maria Canal, Gaia Carmagnani, Silvia Guerrieri, Filippo Renda, Sarah Short, Alice Spisa
dj performer Sofia Tieri
scene e costumi Eleonora Rossi
aiuto costumista tirocinante Katerina Stavrou
disegno luci e direzione tecnica Fulvio Melli
assistenti stage Gaia Barili, Susanna Giancristofaro
staff tecnico Stefano Lattanzio, Ahmad Shalabi
trucco Carla Curione
direzione di produzione Elisa Mondadori
produzione Manifatture Teatrali Milanesi
durata 80 minuti
prima nazionale