In mostra a Milano centoquaranta lavori realizzati da uno degli artisti-icona degli anni Ottanta.
A dieci anni esatti dalla mostra-evento in Triennale, le opere di Jean Michel Basquiat tornano a Milano. Come allora, l’esposizione è accoppiata ad una seconda monografica, prevista per la primavera a Palazzo Reale, dedicata a Keith Haring. Il MUDEC, museo sorto nell’ex area industriale Ansaldo tra edifici solo in parte recuperati, sembra il contesto ottimale ove esporre le opere di un pittore nato come Street Artist, assorto velocemente a celebrità e morto troppo giovane, entrando così a far parte di diritto del Club dei J27 con Jimi Hendrix, Jim Morrrison e Janis Joplin, i grandi miti degli anni Sessanta morti a 27 anni. Il MUDEC, con la sua collezione permanete, entra in stretto dialogo con le creazioni di Basquiat, il primo pittore di colore ad aver raggiunto fama internazionale, l’artista orgoglioso di una negritudine che riversa in opere dal sapore primitivo sotto forma di richiami all’arte tribale.
La mostra Jean Michel Basquiat porta la doppia firma di Jeffrey Deitch – amico dell’artista, critico ed ex direttore del MOCA di Los Angeles – e Gianni Mercurio, già curatore di The Jean–Michel Basquiat Show allestita in Triennale. Se la mostra del 2006 è concepita come una retrospettiva, immaginata selezionando temi ed opere, oggi, al MUDEC, va in scena la passione di un collezionista, il miliardario Jose Mugrabi, che negli anni Ottanta, su consiglio dello stesso Jeffrey Deitch, inizia ad acquistare opere d’arte. Mugrabi ha la grande opportunità di discutere con Basquiat sulle creazioni che sta comprando ma, anche, i termini di certe soluzioni espressive o i soggetti dei dipinti ancora in lavorazione.
Sui candidi muri del MUDEC, all’interno di un percorso prevalentemente cronologico, si snocciola l’esistenza di Jean Michel Basquiat, si succedono brani poetici e frasi criptiche, disegni anatomici e teschi con l’aureola a guisa di santi; si respira l’aria dei bassifondi di una New York attiva, dinamica e multiculturale eppure degradata, pericolosa – non solo di notte ma anche di giorno – e maleodorante. Il racconto dei curatori inizia sostanzialmente dal 1981, l’anno della svolta per la carriera di Basquiat: egli partecipa a New York New Wave, la grande collettiva sugli artisti di frontiera allestita al P.S. 1 – l’istituzione del MoMA dedicata all’arte contemporanea – e ottiene una più che lusinghiera recensione su Art Forum B. L’attenzione dei critici è motivata dal fatto che, per la prima volta, un artista di colore espone in simili contesti ufficiali. Sandro Chia, affascinato, spinge l’amico gallerista Emilio Mazzoli ad acquistare opere di Basquiat e a organizzare a Modena, quello stesso anno, una mostra: è la prima personale in assoluto del giovane Jean Michel ed è un gran successo.
Il percorso di visita è scandito dalla successione dei lavori prodotti negli studi in cui Basquiat lavora e vive, ciascuno legato a uno dei diversi galleristi che, nel tempo, hanno gestito la vendita delle opere e la vita dell’artista. Gli studi in realtà sono anche un punto di ritrovo per un gruppo di creativi che a prescindere dalla loro singola forma di espressione artistica – letteratura, teatro, musica, pittura – scambiano esperienze e condividono momenti di vita sotto lo sguardo del capotribù Basquiat. Gli anni Ottanta sono forse l’ultimo periodo in cui si crea in modo collettivo; nel decennio successivo, complice un mercato che va modificandosi, gli artisti tornano a cercare percorsi individuali. The Field Next to the Other Road (1981) – il variopinto scheletro, munito di aureola, che conduce la propria mucca verso nuovi pascoli – è la tela che segna metaforicamente il passaggio dal lavoro per strada a quello in studio. Pian piano, lungo il percorso si può notare come Basquiat raffini i propri riferimenti e come i simboli tribali lascino spazio a incursioni nell’arte classica e a elementi biblici: sebbene autodidatta, con il successo, egli ha la possibilità di confrontarsi direttamente con gli artisti che affollano la scena newyorkese, di imparare osservandoli e di dedicarsi ancor più alla lettura per affinare la propria poesia. La scrittura è il filo che lega tra loro buona parte delle opere esposte a Milano, utilizzata di volta in volta come metodo di protesta – in questa accezione ricorda i graffiti urbani – o come mero segno grafico che si amalgama con la pittura perché, come l’autore stesso afferma, “Io uso le parole come fossero pennellate”.
A corollario del percorso cronologico nella vita e nell’opera di Jean Michel Basquiat si aprono focus tematici dedicati al disegno; ai piatti in ceramica decorati con i dissacranti ritratti di amici e personaggi famosi di ogni epoca; al rapporto con musicisti per cui realizza le copertine dei dischi; agli studi di anatomia, argomento che lo affascina sin da bambino quando, all’età di otto anni, riceve in regalo dalla madre un manuale di anatomia di Henry Grey.
L’ultima sezione della mostra è dedicata alle opere realizzate da Basquiat in collaborazione con Andy Warhol, su esortazione del gallerista Bruno Bischofberger: non è questa una richiesta inconsueta in un momento storico in cui esiste la consuetudine tra gli artisti di studiarsi l’un l’altro, guardare il lavoro altrui, reinterpretarlo e, talvolta, sovrapporvisi alla guisa dei musicisti jazz. L’esperienza si rivela da subito, sotto molto aspetti, proficua per entrambi gli autori: si consolida un rapporto che più che di amicizia sa di affetto tra un figlio molto istintivo e un padre; Basquiat spinge Warhol a tornare a creare con colori e pennello mentre Warhol insegna a Basquiat l’uso di serigrafie e materiale stampato. Eppure la critica stronca l’operazione, bollandola come troppo commerciale; le recensioni feriscono l’orgoglio di Basquiat che, definito subalterno del Maestro, rivendica la propria personalità lasciando la Factory. Un velo di melanconia assale il pubblico che, giunto davanti al pesante sipario che lo separa dall’uscita, non può evitare di pensare al drammatico destino cui Warhol e Basquiat vanno incontro. È qui che si capisce di essere al cospetto di un evento eccezionale – per qualità e quantità di opere – che, pur procedendo per salti temporali e assonanze tematiche, ha saputo mettere a nudo l’animo sofferente di un artista prima che lo stile delle sue opere, i suoi turbamenti, le sue aspirazioni, le sue riflessioni.
È forte il desiderio di ricominciare daccapo, procedendo tra le sale, guidati solamente dalle suggestioni che quei grafismi trasmettono.
Silvana Costa
La mostra continua a:
MUDEC – Museo delle Culture
via Tortona 56 – Milano
fino a domenica 26 febbraio 2016
orari: lunedì 14.30-19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 09.30-19.30
giovedì e sabato 09.30-22.30
la biglietteria chiude un’ora prima
www.mudec.it
Jean Michel Basquiat
a cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio
una mostra 24 ORE Cultura
promossa da Comune di Milano-Cultura
progetto allestimento Corrado Anselmi
con Anna Gherzi
progetto illuminotecnico Francesco Murano
progetto grafico Cacao Design
regia del video A conversation with Basquiat Tamra DavisCatalogo:
Jean Michel Basquiat
a cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio
24 ORE Cultura, 2016
23 x 28 cm, 192 pagine, 150 immagini, cartonato
prezzo 34,00 Euro
www.24orecultura.com