La nascita della Cina moderna

Le fotografie di Henri Cartier-Bresson in mostra al MUDEC di Milano raccontano la nascita della Repubblica Popolare Cinese tra contraddizioni, desiderio di modernità e un disperato tentativo di restare aggrappati a tradizioni millenarie.

Il MUDEC – Museo delle Culture di Milano è un posto magico dove la straordinaria collezione di reperti giunti in città da ogni parte del mondo ed epoca consente di rivivere la straordinaria epopea degli esploratori. In un simile contesto si inserisce la mostra Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-1949 / 1958, a cura di Michel Frizot e Ying-Lung Su, aperta sino al 3 luglio 2022.
Il grande fotografo, non a caso definito “l’occhio del secolo”, ha documentato passo a passo la grande trasformazione politica, sociale e culturale che traghetta la Cina dall’impero alla Repubblica Popolare. Cartier-Bresson è nella Terra del Dragone nell’anno cruciale in cui Mao, a capo dell’Esercito di Liberazione Popolare – l’appoggio dell’URSS è ancora oggi posto in discussione –, sconfigge gli avversari supportati dagli USA e dà vita a un governo di dichiarata matrice comunista.
Abbagliati dall’innegabile bellezza delle immagini, concesse in prestito dalla Fondation Henri Cartier-Bresson, è importante non dimenticare lo straordinario valore di questo reportage. Oggi non c’è fatto che non venga documentato dall’obiettivo di fotografi, improvvisati o professionisti poco importa, e sia riverberato in tempo pressoché reale dalla rete web. Nell’immediato dopoguerra la televisione è invece ancora un bene di lusso e il principale strumento per prendere consapevolezza di cosa stia accadendo nel mondo è costituito da giornali e riviste.
In mostra sono esposti alcuni numeri di riviste del periodo da cui evincere l’importanza delle fotografie, scelte e pubblicate a doppia pagina quando di forte valore iconico o proposte di piccole dimensioni e in sequenza se non particolarmente significative singolarmente ma capaci di sviluppare nel complesso un racconto articolato. Fondamentale in entrambe le accezioni è la presenza delle didascalie che, oltre a dati basilari quali luogo e ora, descrivano il contesto ai lettori. Henri Cartier-Bresson ama dire che le sue stampe sono interessanti tanto davanti quanto sul retro dove, dimostrando grandi capacità di riflessione e scrittura, appiccica testi con approfondite analisi della cultura asiatica in cui il conflitto è maturato. Compaiono inoltre tutti i riferimenti sull’autore al fine di permetterne la remunerazione.
Il servizio commissionatogli da Life il 25 novembre 1948 sull’imminente caduta di Pechino – l’ultima enclave nazionalista che ancora resiste all’Esercito di Liberazione Popolare – è uno dei primi realizzati per conto di Magnum, l’agenzia cooperativa di fotografi fondata l’anno precedente insieme a Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandiver per gestire direttamente i diritti del proprio lavoro, senza più dipendere dalle riviste. Ciascuno di loro sceglie una zona di mondo da coprire e così Cartier-Bresson, complice la moglie Ratna originaria dell’isola di Giava, finisce a lavorare in Asia. Su esortazione di Capa scopre l’India dove ritrae Gandhi alla vigilia dell’assassinio – avvenuto il 30 gennaio 1948 – e fa un reportage di quel grande evento storico che si rivela essere il suo funerale.
A soli quarant’anni Henri Cartier-Bresson si ritrova così, mesi dopo, a Pechino per un secondo episodio che marca in maniera indelebile la storia del Novecento. Dovrebbe fermarsi solamente due settimane, il tempo di osservare e documentare l’evolvere di una situazione che, al momento, non è ancora degna del titolo di “notizia”. Resta dieci mesi.
La mostra ricostruisce il soggiorno dando evidenza tanto dei viaggi interni compiuti tanto degli eventi salienti cui Cartier-Bresson assiste. Nei primi sei mesi la situazione è tale che preferisce spedire il rullino all’agenzia Magnum di New York senza nemmeno visionare i provini a contatto, accompagnandoli da note dattiloscritte su carta velina che ne descrivano il contenuto. Solo al rientro prende atto della risonanza mondiale del lavoro svolto e di come Life, invece dell’unico articolo inizialmente previsto, abbia poi sviluppato una narrazione a puntate.
Restando nei limiti di quanto le due fazioni di combattenti gli concedono di volta in volta di fotografare, Cartier-Bresson trova comunque il modo di restituire con efficacia l’immagine di un Paese in guerra: due anziani leggono con apprensione i giornali affissi lungo la strada, i manifesti aggressivi della propaganda comunista, le reclute schierate in uno dei cortili della Città Proibita, il disagio dei rifugiati, le bare dei caduti accatastate su una barca, le persone che frugano nella discarica alla ricerca di qualcosa da vendere o barattare con cibo o quelle ammassate davanti alle banche per poter cambiare gli yuan in oro. È inoltre a Nanchino quando il 23 aprile 1949 l’esercito nazionalista si ritira e le truppe comuniste prendono possesso di una città da giorni in preda al caos e ai saccheggi.
A tali immagini si contrappongono quelle di un Paese che, per quanto in preda a tumulti intestini, si aggrappa a gesti, consuetudini e riti quotidiani nel tentativo di resistere a quell’ondata rossa che promette di stravolgere per sempre il corso delle cose. Cartier-Bresson a Hangzhou si sofferma sui pellegrinaggi buddisti mentre nelle grandi città si aggira per le vie alla scoperta di mestieri tradizionali, documenta i riti di funerali e matrimoni, incontra un’indovina cieca, visita scuole e si sofferma in biblioteche ambulanti, si unisce ai cortei durante le parate o si intrufola al Consolato statunitense di Shanghai in occasione dei festeggiamenti per il 4 luglio.
La mostra, per quanto a Cartier-Bresson sia precluso il mondo militare e politico, è estremamente ricca di informazioni storiche e, proprio dalla contrapposizione tra la fetta di popolazione pro-comunismo e quella filoamericana, si leggono le trasformazioni sociali in atto. Quando nel settembre 1949 finalmente il fotografo e la moglie ottengono il permesso di lasciare la Cina, al porto di Shanghai e poi sulla nave Cartier-Bresson ha modo di indugiare sui compagni di viaggio; all’arrivo a Hong Kong documenta per la rivista britannica Illustrated la vita dei ricchi cinesi in fuga dal comunismo ma questa è un’altra storia.

La seconda parte della mostra consiste nel reportage che il fotografo compie nel 1958, con premesse diametralmente opposte a quelle dell’esperienza precedente. Il viaggio ha origine dall’intesa editoriale tra Magnum – che ora gode di grande fama – e le maggiori riviste internazionali in vista del decimo anniversario della nascita della Repubblica Popolare Cinese.
Cartier-Bresson arriva in Cina in concomitanza con il lancio del piano triennale noto come il Grande balzo in avanti, si ferma quattro mesi e gode dell’appoggio del Governo che gli si impone come guida e gli organizza un viaggio a tappe. Gli mostrano le meraviglie del processo di industrializzazione in atto e le grandi opere ingegneristiche, tra cui la diga delle Tombe Ming eretta in poco più di cinque mesi alle porte della capitale, la parità dei sessi e l’incremento della scolarizzazione.
Il fotografo apparentemente si presta ma le sue fotografie mettono impietosamente in evidenza lo sfruttamento del lavoro manuale collettivo – anche a causa della scarsità di macchinari –, l’onnipresenza della milizia nella vita della popolazione e la propaganda aggressiva. Sono tuttavia gli anni della Guerra Fredda e il mondo è schierato in due grandi blocchi di pensiero: saranno le singole riviste a decidere a propria discrezione, in aderenza con la linea editoriale, se applaudire alle strategie di Mao o se cogliere le perplessità poste in luce dal fotografo.
È passato oltre mezzo secolo, il tempo ha rivelato limiti e potenzialità del disegno di Mao ma non è questo il fine della mostra al MUDEC. L’esposizione curata da Michel Frizot e Ying-Lung Su sicuramente dimostra quanto attento fosse l’occhio di Henri Cartier-Bresson, non solamente nel cogliere l’inquadratura ottimale ma pure nel riuscire a conferire all’insieme un taglio critico che, quasi meglio di una didascalia, ne rivelasse il pensiero.

Silvana Costa

 

La mostra continua a:
MUDEC – Museo delle Culture

via Tortona 56 – Milano
fino a domenica 3 luglio 2022
orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30 – 19.30
giovedì, sabato 9.30 – 22.30
la biglietteria chiude un’ora prima
www.mudec.it
 
Henri Cartier-Bresson
Cina 1948-1949 / 1958
a cura di Michel Frizot, Ying-Lung Su
una mostra 24 ORE Cultura
in collaborazione con Fondation Henri Cartier-Bresson
progetto di allestimento Corrado Anselmi – Studio Anselmi
con Anna Gherzi

Catalogo:
Henri Cartier-Bresson

Cina 1948-1949 / 1958
a cura di Michel Frizot, Ying-Lung Su
24 ORE Cultura, 2022
80 pagine a colori, cartonato olandese
prezzo 20,00 Euro
www.24orecultura.com