All’Out Off di Milano va in scena un nuovo allestimento del damma di Jean Genet, autore cardine del teatro moderno, affascinato dal lato oscuro della mente umana.
Dove finisce la finzione e dove inizia la realtà? Il confine nel caso delle protagoniste di Le serve di Jean Genet è molto labile.
Il dramma si ispira a un fatto di cronaca avvenuto nel febbraio 1933 a Le Mans: le sorelle Christine e Léa Papin uccidono Léonie Lancelin, la signora presso cui sono a servizio e la di lei figlia. Al rientro, il padrone di casa trova le due domestiche addormentate, abbracciate l’una all’alta. La brutalità dell’omicidio e l’apparente assenza di reali motivazioni catalizzano a lungo l’attenzione dei quotidiani francesi e ispirano artisti che assurgono il gesto ad attacco a un sistema sociale che tollera lo sfruttamento perpetuato dalla borghesia ai danni delle classi più povere.
Jean Genet, da sempre attratto dalla brutalità e dagli istinti latenti nell’animo umano, non può che restare affascinato dall’Affaire Papin – come è prontamente battezzato il duplice omicidio Lancelin – da cui trae ispirazione per Le serve, un atto unico, rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1947.
Fino a domenica 21 novembre la tragedia è in scena al Teatro Out Off di Milano in prima nazionale, in un allestimento diretto da Andrea Piazza che tuttavia riprende la traduzione di Franco Quadri già alla base della precedente produzione del teatro, datata 2003 e diretta da Lorenzo Loris.
Al centro di Le serve ci sono Claire e Solange, due sorelle impegnate al servizio di una ricca signora borghese un po’ cocotte, come lascia intendere Genet nelle note di regia. Quando Madame è fuori per appuntamenti e commissioni le due ragazze si divertono a sfidarne le paranoie e deriderne le finte gentilezze nei loro confronti: entrano nella sua stanza da letto e giocano a serva e padrona, attingendo ai ricchi abiti, ai gioielli e ai cosmetici. Il brivido nel compiere una cosa proibita, con il rischio Madame rientri in anticipo e le sorprenda, le eccita e le induce ad alzare progressivamente i toni. Lusinghe e blandizie di chi interpreta la padrona sono ricambiate con disprezzo e violenza da chi ne fa la serva, in un rapporto perverso dove ferocia, perversione, vendetta e attrazione sessuale diventano un inquietante tutt’uno.
Il ritorno di Madame con il suo atteggiamento paternalistico, se da un lato ricolloca i personaggi nella corretta posizione gerarchica, dall’altro induce le sorelle a mettere in atto con la padrona le situazioni sperimentate nei giochi quotidiani. Fantasia e realtà confluiscono quindi sullo stesso piano, si fondono e si confondono, sebbene non generino i risultati attesi e le sorelle, in preda tanto al panico quanto alla follia, entrano ed escono ripetutamente dal loro mondo di finzione alla ricerca di una soluzione. O forse no a giudicare dall’autocompiacimento con cui Claire nel finale espone a Solange le iniziative prese, affrancandosi finalmente dalla sudditanza nei confronti della sorella.
Il regista crea una netta cesura, anche in termini di scenografia, tra le due fasi del racconto, tra il momento deputato al gioco e quello al lavoro, tra la finzione e la realtà. Nella prima parte è protagonista l’intesa, anche fisica, tra le giovani che interagiscono tra loro mentre nella seconda, complice la presenza di Madame, il regista sottolinea l’incomunicabilità tra le tre donne in scena, confinando ciascuna entro un recinto da cui nessuna tenta di uscire, quasi autocompiaciuta del proprio stato, preferendo anzi rapportarsi con i manichini con cui divide lo spazio. Una scelta che, per quanto ingenua, riesce a evidenziare la carica simbolica di un dramma a condanna di una situazione di sfruttamento in ambito lavorativo, ma non solo, mai del tutto debellato e oggi, complice il periodo di recessione economica, più presente che mai: si prendano per esempio le recenti denunce di Riordine degli Architetti su quanto accade negli studi professionali tra finte partite IVA, orari inaccettabili e compensi ridicoli. Le differenze sociali sono rimarcate anche dalla pittura blu che copre le mani delle tre donne: sale fino a metà avambraccio quella delle serve, come se i guanti di gomma utilizzati durante le pulizie – che tanto disgustano la padrona – avessero lasciato sulla loro pelle un marchio indelebile, mentre a Madame copre solo le mani, come i vezzosi guantini che ogni signora all’epoca usa quando esce a passeggio.
Nel ruolo della surreale Madame ritroviamo Monica Bonomi applaudita giusto un mese fa, sempre all’Out Off, in Tutta casa, letto e chiesa di Franca Rame e Dario Fo. Giulia Amato e Maria Canal interpretano rispettivamente Solange e Claire; le due attrici e il regista erano compagni di corso alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi, istituzione cui il Teatro Out Off guarda con attenzione alla ricerca di nuovi talenti. Dalla collaborazione tra l’accademia d’arte drammatica e l’IRMus – Istituto di Ricerca Musicale della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado nascono a loro volta le musiche che accompagnano Le serve, configurando così lo spettacolo come un vero e proprio momento di ricerca e sperimentazione per giovani artisti. Il risultato è molto più che convincente: trasuda appieno la perversa ambiguità delle opere di Jean Genet. Il pubblico applaude con entusiasmo e non avrebbe potuto essere diversamente.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Out Off
via Mac Mahon, 16 – Milano
fino a domenica 21 novembre 2021
orari: martedì-sabato 19.30
domenica 16.00
www.teatrooutoff.itLe serve
di Jean Genet
traduzione Franco Quadri
regia Andrea Piazza
interpreti Monica Bonomi, Giulia Amato, Maria Canal
dramaturg Ciro Ciancio
scene e costumi Andrea Piazza
luci Luigi Chiaromonte
assistente alle luci Ciro Ciancio
musiche originali allievi Istituto di Ricerca Musicale della C. S. di Musica Claudio Abbado
produzione Teatro Out Off
prima nazionale