Matilde e il tram per San Vittore

Il dramma scritto e diretto da Renato Sarti rievoca l’epopea dei grandi scioperi operai del 1943/44. Uno straziante racconto corale, narrato da donne: le sole rimaste a lavorare in fabbrica e a badare alla famiglia dopo che i compagni sono stati deportati nei lager tedeschi.

Ascoltando i discorsi dei politici saliti al Governo dopo il recente ricambio generazionale e i pensieri delle persone comuni ci rendiamo conto della poca conoscenza dei fatti del XX secolo, di quella nefasta successione di eventi che ha avuto come esito finale la nascita della Repubblica Italiana. Ci sono episodi che si perdono nelle pieghe dei libri di storia, vuoi perché le voci dei protagonisti non hanno saputo svettare sulle altre, vuoi perché la memoria del Partito Comunista sembra essere uno dei pochi tabù del nuovo millennio.
Debora Villa in uno dei monologhi di Matilde e il tram per San Vittore, lo spettacolo scritto e diretto da Renato Sarti in questi giorni in scena al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano, sottolinea come quando si parla di Seconda Guerra Mondiale ricorrano i termini “Shoah”, il genocidio degli ebrei, e “resistenza” con cui si allude alle gesta dei partigiani. In pochi tributano il dovuto omaggio anche agli operai che con i loro scioperi paralizzano il sistema produttivo italiano e compromettono l’esito della guerra: gli scioperi del marzo 1943 contribuiscono a screditare Mussolini presso Hitler e marcano l’inizio della sua caduta politica. Gli scioperi, coordinati da PCI, PSI e dal neonato Comitato di Liberazione Nazionale, riscontrano forti adesioni potendo contare non soltanto sulla partecipazione dei tesserati ma anche sul senso civico – e sullo sfinimento dovuto a razioni di cibo sempre più ridotte – degli operai di altro pensiero politico. La misure messe in atto dal Partito Fascista, affinché le industrie riprendano a produrre, porta ad arresti e deportazioni di massa: dalla sola area industriale nord-milanese partono per i campi di concentramento tedeschi 570 persone e 223 di loro non fanno più ritorno.
I lager hanno raccolto e sterminato diverse tipologie di prigionieri come ricorda molto bene il Memoriale Italiano ad Auschwitz commissionato da ANED – Associazione Nazionale Ex Deportati nel 1979 all’architetto Lodovico Belgioioso e allo scrittore Primo Levi, realizzato grazie al contributo di CGIL, CISL, UIL – proprio loro, i sindacati rappresentanti dei lavoratori – e inaugurato nel 1980. La spirale dipinta da Pupino Samonà al primo piano del Blocco 21 di Auschwitz abbraccia tutti i detenuti, accomunati da uguali paura e dolore, a prescindere da fede, razza e gruppo politico. Il monumento nel 2011 è chiuso al pubblico, lasciato cadere nel degrado per essere infine smantellato e, a inizio di quest’anno, ricomposto a Firenze all’EX3 – Centro per l’Arte Contemporanea. Spostare un’installazione site specific vuol dire snaturarla, tagliare maldestramente il filo rosso che la cuce alla storia del luogo per cui è stata concepita. Gregorio Carboni Maestri, docente di Architettura all’Université libre de Bruxelles che si spese a lungo – inutilmente – affinché il Memoriale fosse restaurato e riaperto nella sua sede originaria, spiega in una lunga intervista ad Artalks come nel giro di un trentennio l’opera sia diventata tanto incomprensibile quanto scomoda: “Pare turbino elementi come falce e martello o il ritratto di Gramsci in esilio!
Al Memoriale non sembra dunque essere toccata sorte molto differente da quella degli operai, vittime di una tattica che, come spiegano le protagoniste dello spettacolo, viene definita “Notte e Nebbia”: complice il buio i fascisti si presentano a casa dell’accusato bussando violentemente alla porta, lo costringono a vestirsi rapidamente e lo portano via con loro, sparendo come inghiottiti dalla nebbia che in inverno avvolge la Pianura Padana. Dove siano portati i prigionieri e con quali accuse non è dato sapere, le loro donne si avventurano in un lungo pellegrinaggio per Milano nella speranza di ricevere notizie: al carcere di San Vittore, in luoghi di tortura e detenzione improvvisati – come i camerini del cinema Broletto in via Rovello, allora quartier generale della famigerata Legione Ettore Muti e oggi sede del Piccolo Teatro Grassi -, negli ospedali e, infine, all’obitorio. Le più fortunate ricevono informazioni grazie a bigliettini recapitati da persone di buon cuore o al passaparola dei conoscenti.
Arianna Scommegna, Debora Villa e Rossana Mola in scena raccontano i tre grandi scioperi che coinvolgono gli operai dell’area industriale milanese, in particolare la Falck e la Breda di Sesto San Giovanni. Danno voce alle mogli, alle madri, alle figlie e alle sorelle degli uomini che incrociano le braccia, pagando talvolta con la vita la rivendicazione dei propri diritti. Spesso sono operaie anche loro, obbligate a lavorare per scarse razioni di cibo e a occuparsi da sole della famiglia, incitando tutti a non perdere le speranze. Speranze che anche quando gli uomini tornano dal lager non possono dirsi del tutto esaudite per la devastazione che li segna nel fisico e nell’animo.
Tra costoro non c’è Guido Valota, morto durante la lunga marcia tra i campi di Vienna e Mauthausen. Il figlio, una volta cresciuto, incontra decine e decine di operai superstiti nel tentativo di ricostruire i tragici eventi che lo hanno privato del padre. Dalle interviste di Giuseppe Valota, presidente dell’ANED di Sesto San Giovanni, nasce il volume Dalla fabbrica ai lager da cui Renato Sarti estrapola alcune storie, le scompone e le intreccia tra loro in Matilde e il tram per San Vittore.
Ma Matilde chi è? Matilde è la piccola grande donna chiamata a narrare l’ultimo episodio in copione. In un crescendo di emozioni che sin dall’inizio conquistano l’attenzione del pubblico, questo quadro conclusivo strazia definitivamente il cuore sebbene, tra mille riserve, lasci spazio alla speranza.
Palcoscenico, platea e balconate del Piccolo Teatro Studio Melato divengono un unico spazio della rappresentazione, arredato con una serie di tavoli metallici necessari ad alludere alle grandi sale delle mense operaie ma, se percossi, rimbombano come tuoni. Come spari nella notte. Come le porte dei vagoni piombati che si chiudono. Scenografia e costumi disegnati da Carlo Sala sono semplici, essenziali come le persone giunte prima della guerra da tutta Italia nella grande metropoli lombarda per lavorare nelle fabbriche e sperare di costruire una famiglia felice. Persone all’apparenza ruvide e silenziose poiché non sanno di chi potersi fidare ma ricche di una straordinaria forza interiore. Una forza che brilla come il fascio luminoso che, su progetto di Claudio De Pace, squarcia il buio del teatro e illumina le attrici nei monologhi o rimbalza da un lato all’altro della sala inseguendo il fitto passaparola.
Il pubblico non ha invece la forza di proferire verbo: dopo la storia raccontata da Matilde la commozione è grande, un groppo serra la gola e le lacrime offuscano la vista ma le mani applaudono incessantemente.
Renato Sarti riesce una volta ancora, da momenti di grande violenza, a far risaltare l’animo della gente comune che non sempre accetta passivamente le imposizioni dall’alto. Persone che sanno distinguere bene e male, giusto e sbagliato; un mondo piccolo – per dirla alla maniera di quell’anticomunista di Guareschi – dove si sviluppano senso di comunità e fratellanza che vanno al di là della tessera politica riposta in tasca.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Piccolo Teatro Studio Melato
via Rivoli 6 – Milano
fino a domenica 9 giugno 2019
orari: martedì, giovedì e sabato 19.30
mercoledì e venerdì 20.30
domenica 16.00 (eccetto domenica 2 giugno, riposo)
lunedì riposo        
www.piccoloteatro.org

Matilde e il tram per San Vittore
di Renato Sarti
dal libro di Giuseppe Valota Dalla fabbrica ai lager
regia Renato Sarti
con Arianna Scommegna, Debora Villa, Rossana Mola e Giulia Medea / Elisa Rusu nel ruolo di Matilde
scena e costumi Carlo Sala
musiche Carlo Boccadoro
luci Claudio De Pace
progetto audio Luca De Marinis
dramaturg Marco Di Stefano
produzione Teatro della Cooperativa con il sostegno di ANED
con il patrocinio di ANPI, Istituto Nazionale Ferruccio Parri, ISEC, comuni di Albiate, Bresso, Cinisello Balsamo, Monza e Muggiò
spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT ed. 2017/2018 – Regione Lombardia
durata: un’ora e 30 minuti senza intervallo