Mercurio

Corrado d’Elia gioca a scomporre e ricomporre il romanzo di Amélie Nothomb in tanti brevi quadri dall’elevato impatto emotivo. Chiara Salvucci, Giovanna Rossi e Gianni Quillico appaiono e scompaiono, su un palcoscenico trasformato in una sofisticata casa di bambola, a raccontare la favola dark della giovane prigioniera delle proprie paure e del lupo di mare che l’ha salvata dalla morte.

A tutti sarà capitato di ritrovarsi in sogno a rielaborare le vicende del libro sul comodino o del film appena visto, stravolgendone la sequenza e ricomponendole in base a quelle bizzarre associazioni di idee e fatti che la mente riesce a fare, sino a trasfigurarle rivelando significati reconditi. La stessa sensazione la si prova sprofondati nelle poltrone del Teatro Litta a Milano assistendo al debutto del nuovo allestimento di Mercurio, lo spettacolo della Compagnia Corrado d’Elia tratto dall’omonimo romanzo di Amélie Nothomb.
Un importante divano in stile barocco riempie la stanza dalle pareti scure, decorate con cornici vuote, e sullo sfondo si intravede l’accesso a un altro locale di quello che è il castello di If. L’ambiente, pur nella sua austera eleganza, ha un che di inquietante, enfatizzato dalle note di Moments in love degli Art of Noise che riecheggiano ad ogni cambio di luce e di quadro. Scelta musicale non avrebbe potuto rivelarsi più appropriata: il titolo evoca l’amore – Madonna la sceglie per la cerimonia nuziale con Sean Penn – eppure la composizione, basata sulla ripetizione di una ristretta serie di campioni elettronici, finisce per rivelarsi ossessiva, così come la passione può degenerare in morbosità.
Ossessivo come il rapporto che lega il vecchio capitano Homer Loncours (Gianni Quillico) ad Hazel (Chiara Salvucci) e come il timore che spinge costei ad evitare qualsiasi oggetto che possa rifletterne l’immagine. La ragazza è infatti rimasta sfigurata nel corso di un incendio: solo l’intervento del capitano l’ha strappata dalla morte. Ora lei fugge lo sguardo di chiunque, incluso il proprio, e l’uomo, per alleviarne la sofferenza psicologica, la porta a vivere con sé su un’isola deserta, in un enorme castello.
Questa strana convivenza a lungo andare logora Hazel che inizia a manifestare segni di malessere fisico e il capitano convoca sull’isola Françoise (Giovanna Rossi) per curarla. All’occhio esperto dell’infermiera risulta immediatamente evidente che il problema sia scatenato dalla solitudine in cui la giovane vive e dall’ambiguo rapporto con il suo salvatore. Ossessivo a questo punto diventa anche il desiderio di Françoise di comprendere il legame tra Hazel, poco più che ventenne, e quel misterioso ultrasettantenne che la accudisce. Un’ossessione questa alimentata da una misteriosa voce femminile che si insinua prepotentemente nei suoi pensieri sino a guidarne le azioni.
Corrado d’Elia conferisce alla narrazione una dimensione onirica, accentuata da continui cambi di luce, come volesse far cadere in trance il pubblico e, in quello stato di semicoscienza, consentirgli di trovare la via per Morte Frontiere. Quando un fascio luminoso squarcia per alcuni secondi il buio che inonda la sala, dal palcoscenico alle ultime file della platea, nel cono di luce si materializzano ora Françoise che si interroga sullo strano luogo ove si trova, ora Hazel che danza sinuosa come una fata dei boschi. A ogni apparizione, con la musica che si fa via via più martellante e angosciante, viene svelato qualche dettaglio della loro storia: dettagli a tratti irrilevanti, marginali se non senza senso, come in quei sogni senza capo né coda che ci fanno svegliare di soprassalto tutti sudati.
È davvero intrigante questa scelta di d’Elia di svelare la storia scritta da Amélie Nothomb così, per rapidi indizi, con poche parole che sottendono un non detto carico di dolore, paura e perversioni. I successivi dialoghi tra le due donne, che entrano progressivamente in confidenza, forniscono ulteriori spunti sulla vicenda così come le severe indicazioni che la voce fuori campo del capitano impartisce a Françoise. Questa soluzione ricorda il ruolo che Corrado d’Elia ritaglia per sé nell’allestimento di Riccardo III ispirato ai videogame, anche questo caratterizzato da un frenetico cambio di luci e dalla martellante musichetta elettronica che accompagna le gesta dei personaggi in scena.
Il capitano si palesa in scena solo al momento dell’epilogo. La sua presenza innesca una violenta serie di deflagrazioni emotive, accuse pronunciate dai protagonisti in un vorticoso rincorrersi tra palco e fuori campo. Di nuovo senza un rapporto di consequenzialità tra loro. Di nuovo conferendo al pubblico il compito di comporre i pezzi come in un puzzle ma, per quanto si faccia attenzione, alcune tessere, in base a come le si interpreta e le si posiziona, hanno il potere di stravolgere il quadro complessivo.
Un quadro complessivo in cui, a prescindere da come venga ricostruito, è chiaro come l’amore sia degenerato in sesso, l’affetto in morbosità, la protezione in possesso. Françoise è solamente una pedina del perverso gioco in atto tra il capitano e la sua pupilla ma la sua tenacia investigativa risulta preziosa per sbirciare sotto il telo che cela al mondo il castello di If ma non sufficiente a strapparlo via completamente.
Mercurio in questa versione di Corrado d’Elia sprigiona appieno le sue peculiarità come il metallo che a temperatura ambiente si presenta allo stato liquido: è affascinante per i giochi che la luce crea riverberandosi sulla sua superficie argentea, è ingannevole per la capacità di distorcere l’immagine riflessa ed è altamente tossico come le relazioni descritte. Quale sia tuttavia la vera allegoria sottesa dal titolo scelto da Amélie Nothomb tocca al capitano spiegarlo.
Noi non sveliamo nulla ma ci limitiamo a consigliare a quanti non abbiano letto il romanzo di attendere di aver visto lo spettacolo, sicuri che comunque il libro riserverà sorprese. Come una pellicola vergine la loro fantasia verrà impressionata dai lampi di luce che rischiareranno il palcoscenico e dalle misteriose presenze che lo popolano.
Il pubblico applaude con entusiasmo Chiara Salvucci, Giovanna Rossi e Gianni Quillico ma il successo, mai come in questo caso, è frutto del lavoro di gruppo che, come un’orchestra, accompagna e supporta il corpo di ballo. Corrado d’Elia, visionario direttore d’orchestra, ancora una volta, anche se non presente in scena ad ammaliare gli spettatori con il suono della sua voce, riesce a compiere la magia di condurli in un altro luogo, in un altro tempo, regalandogli un momento di distacco dalla contemporaneità

Silvana Costa

 

Lo spettacolo continua:
Teatro Litta
corso Magenta 24 – Milano
fino a domenica 20 marzo 2022
orari da martedì a sabato  20.30
domenica 16.30
con obbligo di Green Pass Rafforzato
www.mtmteatro.it

Mercurio
da Mercurio di Amélie Nothomb                                         
progetto e regia Corrado d’Elia
con Chiara Salvucci, Giovanna Rossi, Gianni Quillico
assistente alla regia Luca Ligato
scenografia Giovanna Angeli
tecnico luci Christian Laface
tecnico audio Gabriele Copes
produzione Compagnia Corrado d’Elia
debutto Nazionale
nuovo allestimento