È in libreria una nuova edizione del celebre testo di architettura scritto da Fulvio Irace a metà degli anni Novanta. L’occasione è ghiotta per estendere l’analisi storico-critica ai grandi interventi immobiliari che in questo ultimo ventennio, a partire dalle aree industriali dismesse, hanno rivoluzionato il volto di Milano.
Nel 1996 esce in libreria Milano Moderna per i tipi di Federico Motta Editore, un elegante volume con sovraccoperta, illustrato con le fotografie di Gabriele Basilico e Paolo Rosselli stampate a tutta pagina. Autore dell’analisi minuziosa di quanto costruito a Milano tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la vigilia del nuovo millennio è Fulvio Irace, docente di storia dell’architettura al Politecnico di Milano.
A distanza di un quarto di secolo Irace riprende in mano il testo ed estende il proprio esame sino ai giorni nostri, rafforzando la componente di critica architettonica. Nasce così Milano Moderna. Architettura, arte e città 1947-2021, pubblicato questa volta da 24 ORE Cultura e composto di sette capitoli: Luigi Moretti a Milano; Condominio milanese; Asnago & Vender; La stagione dell’inquietudine: il Gallaratese di Aymonino e Rossi; Ponti ultimo; Arte in pubblico; Milano modernissima.
La narrazione prende l’avvio dai cumuli di macerie che punteggiano il panorama urbano milanese al termine della guerra. La necessità di ricostruire è impellente anche e soprattutto per far ripartire a pieno regime le attività di quella che è considerata la capitale economica e industriale d’Italia. Parallelamente, le ampie porzioni di tessuto medievale abbattute in pieno centro storico offrono la possibilità di ripensare la città e offrirle un aspetto più moderno, applicando principi innovativi tanto nella progettazione degli ambienti di lavoro quanto degli spazi dell’abitare.
Milano finisce così per porsi una volta ancora come avanguardia nei confronti dell’intero Paese: qui, per esempio, si trasferisce da Roma Luigi Moretti e – dopo il soggiorno a San Vittore perché accusato di collaborazionismo – realizza l’avveniristica vela che si staglia a metà di corso Italia. Poco distante, al numero 22, si inserisce invece il più tradizionale edificio a ponte di Luigi Caccia Dominioni, uno dei più amati interpreti dei gusti della borghesia meneghina cui Cino Zucchi ha dedicato un approfondimento nel corso della Biennale di Architettura di Venezia del 2018 e il relativo catalogo.
In quegli anni, con oltre centomila famiglie senzatetto, la priorità nei programmi di ricostruzione è data alle abitazioni e, come ricorda Irace (pag. 10), il tema sociale della “casa per tutti” si sovrappone e si fonde con quello della “casa dell’uomo” teorizzato da Ernesto Nathan Rogers su Domus. Una ricerca sulle modalità per garantire la qualità dell’abitare anche ai ceti meno abbienti, comune a molti architetti impegnati nella ricostruzione come per esempio ha sottolineato anche la recente mostra dedicata in Triennale a Vico Magistretti.
L’autore traccia un impietoso bilancio tra gli ambiziosi programmi, messi in campo tanto dalle istituzioni quanto dalle stesse imprese di costruzioni, e i risultati conseguiti, sia in termini quantitativi sia qualitativi. Racconta l’idea delle case-albergo di Moretti per poi approfondire le diverse declinazioni del tema delle abitazioni borghesi misurandosi con le moderne tecniche costruttive, le mutate esigenze degli inquilini e l’ampia gamma di prodotti industriali per caratterizzarne esterni ed interni. Pagina dopo pagina scorrono per esempio le opere del già citato Caccia Dominioni, di Gio Ponti, dei BBPR, di Ignazio Gardella, di Giulio Minoletti con Giuseppe Chiodi e Lodovico Lanza autori delle case a ville sovrapposte ai Giardini di Arcadia.
Un capitolo a sé stante meritano tanto gli interventi di Mario Asnago e Claudio Vender quanto il quartiere Gallaratese (1966/75) che, nelle concezioni iniziali di Carlo Aymonino avrebbe dovuto differenziarsi dai quartieri-dormitorio sorti nella fascia periferica negli anni Cinquanta perché configurato a guisa di un vero e proprio frammento di città, formalmente compiuto e autonomo in termini di dotazione di servizi. L’esito è a tutti noto, come in altri casi – uno tra tutti lo Z.E.N. a Palermo – l’articolata visione del progettista viene disattesa dal costruttore.
Nel capitolo Arte in pubblico viceversa Irace si compiace di come “non c’è altra città d’Italia che possa vantare come Milano la presenza di tante opere d’arte esposte in pubblico” (pag. 158). Anche se la moda Liberty e il monumentalismo fascista sono ormai consegnati alla storia, in città i nuovi palazzi, a guisa di cattedrali laiche, ancora prevedono facciate impreziosite da sculture – in pietra ma pure in cemento e metallo –, mosaici o maioliche decorate a esprimere gioia per la rinascita economica ed entusiasmo nello sperimentare.
Basilico, uno dei fotografi coinvolti nella prima Milano Moderna, nel 1981 pubblica il celeberrimo Milano. Ritratti di fabbriche a testimonianza di una città che, archiviata la ricostruzione è ora tornata a concentrarsi sull’attività produttiva. Il volume è il prodotto del lungo lavoro di catalogazione degli impianti industriali della città, immortalati in giorni festivi quando l’edificio è completamente deserto e anche nelle aree circostanti non c’è quell’allegro brulicare di operai in tram o in bicicletta raccontato in più occasioni di Toni Nicolini.
Solo pochi anni dopo, nel 1985, Pirelli in seguito alla delocalizzazione di ampia parte della produzione, bandisce un concorso internazionale per la trasformazione dell’area produttiva in Bicocca. Gregotti Associati si aggiudica la vittoria e sviluppa la progettazione degli edifici dell’area tranne della sede della Deutsche Bank firmata dallo Studio Valle. Il gioioso gioco di colori degli edifici – il rosso mattone per quelli universitari, l’ocra per le residenze, il grigio per gli uffici – e della natura che, chiusi i cantieri, si è potuta finalmente sviluppare rigogliosa, è esaltato dalle fotografie a colori di Filippo Romano. Alla trasformazione dell’area Pirelli-Bicocca è assegnato il compito di aprire la rassegna di immagini del capitolo Milano modernissima dove sfilano, tra gli altri, gli interventi di Porta Nuova e di City Life, il MUDEC, la sede della Regione Lombardia, la nuova Bocconi di Grafton Architects e il campus firmato da Sanaa. Interventi che hanno attirato in città le grandi firme dell’architettura mondiale e che, se accostati, rivelano chi di loro si sia degnato di declinare la propria cifra stilistica in chiave milanese e chi si sia limitato a calare dall’alto elementi asettici, degni di una qualsiasi altra metropoli in giro per il mondo con ambizioni di modernità.
Irace in questo ultimo capitolo perde un po’ della sua vis critica eppure noi ci chiediamo se davvero sia necessario che Milano, con le numerose operazioni di riqualificazione urbana in corso e i giochi olimpici alle porte, debba mettere da parte la propria identità per dimostrarsi al passo con la moda.
Conformarsi alla moda, tuttavia, è profondamente diverso dall’aver stile. Lo diceva, a modo suo, persino Kurt Kobain: “Ridono di me perché io sono diverso. Rido di loro perché sono tutti uguali”.
Silvana Costa
Milano Moderna
Architettura, arte e città 1947-2021
di Fulvio Irace
fotografie di Gabriele Basilico, Marco Introini, Filippo Romano, Paolo Rosselli e Giovanna Silva
24 ORE Cultura, 2021
24,5 x 28,5 cm, 240 pagine, 150 illustrazioni, cartonato
prezzo 65,00 Euro
www.24orecultura.com