Elio De Capitani si mette alla prova cimentandosi con la lettura di Moby Dick portata in scena da Orson Welles a metà degli anni Cinquanta. Il risultato è strepitoso e memorabile, capace, attraverso una raffinata metafora, di parlare del rapporto distorto che l’uomo ha instaurato in questi ultimi decenni con la natura.
L’11 gennaio al Teatro Elfo Puccini di Milano ha debuttato uno degli spettacoli più attesi delle ultime Stagioni, a lungo rimandato a causa dell’emergenza sanitaria: Moby Dick alla prova.
Il titolo è la traduzione letterale di Moby Dick: Rehearsed, l’adattamento teatrale, prevalentemente in versi sciolti, del romanzo di Herman Melville realizzato da Orson Welles e portato in scena dal 16 giugno al 9 luglio 1955 al Duke of York’s Theatre di Londra. Un’autentica chicca che Elio De Capitani propone al pubblico milanese nella traduzione della poetessa Cristina Viti.
“Chiamatemi Ishmael” spiega Angelo Di Genio al pubblico quando si apre il sipario. Luogo dell’azione tuttavia non è il ponte della Pequod o una bettola di Nantucket ma il palcoscenico di un teatro. Il malumore del cast è palpabile: il regista ha deciso di non provare più Re Lear ma di cimentarsi con Moby Dick, un’idea tanto sperimentale quanto rischiosa. L’escamotage metateatrale consente a Wells di unirsi ai critici letterari che nella scrittura di Melville riscontrano la forte influenza dei testi di Shakespeare. In particolare Achab incarna la forza di grandi eroi tragici quali Re Lear appunto ma pure Amleto o Macbeth, determinati a conseguire l’obiettivo per quanto scossi da nefasti presagi e rigurgiti di coscienza. L’intervento di Cristina Crippa nei panni del direttore di scena sembra non riuscire a rincuorare gli attori che tuttavia, all’ingresso del regista (Elio De Capitani) che ritaglia per sé il ruolo del capitano Achab, man mano entrano nel personaggio e si appassionano sempre più, sino a essere trascinati dalle vicende della sventurata ciurma.
La riduzione di Welles affronta i passaggi chiave del romanzo originale e sviluppa alcuni dei personaggi della storia: Starbuck (Marco Bonadei), il primo ufficiale del Pequod, l’unico che osi contestare le scelte del capitano e porre un argine alla sua ossessione, conscio li porterebbe alla morte. A lui si contrappone Stubb (Enzo Curcurù), il secondo ufficiale, accomodante al limite del servile.
Il piccolo Pip (Giulia Viana) insieme a tutti gli spettri che ne affollano la mente è protagonista di uno struggente dialogo con Achab: l’arcigno capitano al cospetto di quella follia che, in fondo sente un po’ anche sua, si intenerisce e si lascia andare a inattesi gesti d’affetto. Una follia scaturita dal trovarsi al cospetto della morte, un episodio per molti versi analogo all’incontro di Achab con Moby Dick. Al di là di questo momento di tenerezza, Elio De Capitani dà vita in scena ad un Achab crudele e abile nel soggiogare i propri marinai, a farne strumento dell’odio spietato che prova per il capodoglio e, più in generale, per la natura. È lui il vero mostro della storia, il nemico da combattere. Achab, infatti, non ha nulla di eroi mitologici come Ulisse o Enea che solcano i mari rischiando la vita propria e dell’equipaggio per una nobile missione; egli è più vicino al “Caron dimonio, con occhi di bragia” descritto all’opera da Dante nel Canto III dell’Inferno, a colui che traghetta le anime all’Aldilà.
All’inizio del secondo atto Cristina Crippa presta la propria voce ai capodogli, raccontando le meraviglie di questo mammifero che solca gli oceani, descrivendo con estrema dolcezza il senso di protezione del branco nei confronti dei membri più deboli, feriti o ammalati e il rapporto tra le madri e i cuccioli. È un passaggio toccante dello spettacolo, leggibile come una feroce critica di Orson Welles all’atteggiamento imperialista degli americani.
Per necessità di sintesi, in Moby Dick alla prova sono stati eliminati molti passaggi ma nel romanzo – la cosa bella di spettacoli di questo genere è che mettono voglia di riprendere in mano libri letti anni prima – si assiste a svariati episodi e atteggiamenti razzisti registrati in una realtà multietnica quale è la Pequod. Solo per fare un esempio si pensi a quando il nativo americano Tashtego avvista Moby Dick nello stesso momento in cui lo fa Achab: il capitano, con il pretesto di essere stato il primo a vederlo, nega al ramponiere la ricompensa promessa del doblone d’oro. Una critica all’ipocrisia fintamente perbenista degli USA che fa da filo conduttore di tutta la produzione di Wells e trova forse l’apice nella frantumazione dell’ideale del self-made man e del sogno americano compiuta con Quarto Potere (1941).
Elio De Capitani fa suo il testo e gli conferisce un’accezione contemporanea: “Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab. Riascoltando le cronache del G8 di Genova venti anni dopo, impressiona la follia repressiva che offese i corpi, segnò le menti e colpì le idee di quell’imponente movimento trasversale che aveva, semplicemente, a cuore il destino del pianeta e dei popoli. Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita”.
Un’interpretazione supportata e rafforzata da Umanità contro, la mostra a cura del MUSE – Museo delle Scienze di Trento in collaborazione con PAMS Foundation allestita nel foyer del teatro. Le grandi illustrazioni opera di Sara Filippi Plotegher descrivono un’umanità divisa in due fazioni opposte, una che lotta per salvare il pianeta in cui vive, simboleggiato dal capodoglio, l’altra che include non solo chi è causa dell’accelerazione dei processi in corso di defaunazione e depauperazione dei territori ma pure chi osserva senza intervenire.
Moby Dick alla prova si configura come uno spettacolo essenziale, vuoi per una trama asciugata agli episodi imprescindibili per la comprensione della storia, vuoi per una scenografia “di fortuna”. Come accennato, Wells immagina una compagnia di attori che si ritrova a sorpresa a provare uno spettacolo nuovo e non programmato. Lo scenografo non ha studiato i fondali, la costumista non ha cucito gli abiti di scena e l’attrezzista non ha recuperato dal magazzino gli oggetti utili alla rappresentazione: gli attori si trovano così apparentemente a recitare con i propri abiti quotidiani, utilizzando una scala a guisa di pennone su cui salire per scrutare l’oceano alla ricerca di Moby Dick, ampi teli agitati a inghiottire cose e persone, come le onde dell’oceano in tempesta, e tavoli con le ruote a simulare le lance in acqua.
Nulla tuttavia è improvvisato: la regia di Elio De Capitani dà vita con meticolosità a uno spettacolo forte, potente, coinvolgente ed emozionate. Ogni dettaglio, ogni movimento in scena è studiato e coreografato come una danza, accompagnata dal canto triste di Pip – gli sea shanties – e dalle musiche dal vivo di Mario Arcari.
Come una nave che lascia il porto, Moby Dick alla prova parte lieve ma poi, quando si trova in mare aperto, il vento ne gonfia le vele e procede inarrestabile verso la meta, fino a raggiungere la mente e il cuore di un pubblico che, preso dalle vicende, quasi non percepisce il trascorre di oltre due ore. Solo quando De Capitani ordina “Sipario!” le persone in sala comprendono le prove della compagnia sono finite e si lanciano in un lungo, lunghissimo applauso agli attori in scena, travolgente come il rimbombo dei piani dei tavoli percossi per rendere la furia con cui il capodoglio colpito a morte si scaglia contro i marinai.
Il risultato è memorabile e strepitoso, degno di una grande produzione teatrale del West End londinese o di Broadway ma sempre con quell’attenzione a voler fornire una chiave di lettura della contemporaneità e di denuncia che, sin dalle origini, è cifra imprescindibile delle produzioni del Teatro dell’Elfo.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Elfo Puccini – sala Shakespeare
c.so Buenos Aires 33 – Milano
fino a domenica 6 febbraio 2022
orario: dal martedì al sabato 20.30
domenica 16.00
con obbligo di Green Pass rafforzato e mascherina FFP2
www.elfo.orgMoby Dick alla prova
di Orson Welles
adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville
traduzione Cristina Viti
uno spettacolo di Elio De Capitani
costumi Ferdinando Bruni
musiche dal vivo Mario Arcari
direzione del coro Francesca Breschi
maschere Marco Bonadei
luci Michele Ceglia
suono Gianfranco Turco
con Elio De Capitani
e Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa, Mario Arcari
una coproduzione Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
durata 2 ore e 20 minuti
lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gigi Dall’Aglio
prima nazionaledall’11 gennaio nel foyer del Teatro
Umanità contro
a cura del MUSE – Museo delle Scienze di Trento
in collaborazione con PAMS Foundation
illustrazioni di Sara Filippi Plotegher