Un tuffo nella letteratura russa per risalire alla origini del mito della morte di Mozart per mano del suo rivale: Antonio Salieri.
Pensare che si accusano le donne di essere pettegole. Si insinua che il cosiddetto sesso debole possa essere così crudele nei confronti delle proprie simili da giungere a mettere in giro maldicenze pur di screditarle. Eppure si deve a uno dei Maestri della letteratura russa moderna la divulgazione a scala planetaria di una delle dicerie più crudeli della storia della musica: l’omicidio di Mozart a opera dell’invidioso Salieri.
Non mettiamo assolutamente in dubbio che all’origine di Mozart e Salieri – la prima delle Piccole tragedie, composta da Aleksandr Puskin nel 1830 – ci siano elementi di verità, tuttavia, nel passare di bocca in bocca, dalla corte di Vienna a quella di San Pietroburgo, anche l’episodio più innocente può tramutarsi in tragico fatto di cronaca. Il fascino del testo teatrale che svela il diabolico delitto commesso da Antonio Salieri ha conquistato il pubblico e la fantasia di altri autori che vi hanno attinto a piene mani. Il primo, in ordine cronologico, sembra essere stato il compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov che mette i versi in musica nel 1898. Forse la riproposizione più celebre della storia è però Amadeus (1979) di Peter Shaffer: a questa versione del dramma, attualmente in scena in Italia con la nuova produzione dello Stabile di Genova con Tullio Solenghi e Aldo Ottobrino (leggi la recensione), si è ispirato anche Milos Forman con l’omonimo film datato 1984 che, l’anno successivo, si aggiudicherà un’infinita serie di premi e riconoscimenti.
Non sempre il testo originale è il migliore e questo, ci spiace ammetterlo, è uno di quei casi. Amadeus, rispetto a Mozart e Salieri, oltre a portare in scena un cast più nutrito, che consente di articolare meglio l’azione, approfondisce la psicologia dei due protagonisti della vicenda rendendo la narrazione più avvincente. Il testo di Puskin, rielaborato a livello drammaturgico da Alberto Oliva e Mino Manni, è interamente costruito intorno alla personalità di Antonio Salieri, che dipinge utilizzando solo i colori dell’egocentrismo e dell’invidia. Le parole del musicista di origini italiane sono estremamente contraddittorie, a iniziare dal voto pronunciato in giovane età: sacrificare a Dio la propria vita in cambio del talento musicale. Il fatto che la richiesta sia esaudita, come la storia insegna, gli procura fama, incarichi e ricchezze tali che ben poco gli resta da dedicare ad altra attività, inclusa la devozione religiosa. Al momento dei fatti narrati la sua stella alla corte di Vienna splende più che mai e nulla sembra lasciar presagire possa mai tramontare, nemmeno le creazioni di Mozart, l’ex bambino prodigio che ormai vive di stenti, elemosinando prestiti da amici e conoscenti in attesa di terminare l’opera successiva e incassare un po’ di denaro. Nella versione in scena al Teatro Out Off, un Mozart dall’atteggiamento autistico, completamente dissociato dalla realtà, vaga per la capitale attento a ogni sonorità nella speranza di cogliere spunti per un’opera che sta componenso: un capolavoro che gli consentirà di comprare nuova biancheria in pizzo alla moglie. Mozart, impersonato da Davide Lorenzo Palla, si aggira nervosamente sul palco, spiegando lo sviluppo musicale de Il flauto magico, disegnando con ampi gesti l’andamento delle note sul pentagramma, sotto gli occhi allibiti di Salieri che ondeggia tra il compatimento per il patetico stato in cui si è ridotto il collega e la rabbia per non riuscire a cogliere sino in fondo le sequenze sonore. Mino Manni sembra far suo lo stato di mistica ispirazione che avvolge i pensieri di Salieri, spaziando monotonamente tra il livore dell’invidia, il senso di cristiano pentimento per il piano che ha elaborato per uccidere il collega – e impossessarsi dell’ultima sua opera – e il delirio in cui sembra sprofondare mentre armeggia con ceri e simboli massonici. Sono infatti curiose le modalità schizofreniche con cui l’opera, diretta da Alberto Oliva, sceglie di richiamare valori e simboli dell’associazione che, tradizione vuole, tanta parte ha avuto nella commissione dell’opera. Da un lato, Mozart ne abbraccia le linee programmatiche quando dichiara di voler utilizzare Il flauto magico per elevare il popolo, inculcandogli attraverso la favola musicale i principi di democrazia e uguaglianza; dall’altro, Salieri sembra adottarne tutti i rituali simbolici. Questi due aspetti vengono ricomposti all’interno del recinto magico del palcoscenico ed esaltati dalle particolari sonorità della musica composta da Ivan Bert per un’orchestra ove legni e ottoni sono rimpiazzati da strumenti da “carpentiere”. Tuttavia, con buona pace del giovane compositore, l’estro della sua musica concettuale si annulla al cospetto del duetto di Papageno e Papagena dell’opera mozartiana.
Il clima esoterico della messinscena culmina con la morte di Mozart (sì, vi sveliamo il finale ma tanto era chiaro che sarebbe finita così) dove, in un rigurgito di onnipotenza di Salieri, l’omicidio si trasfigura in un sacrificio pagano del Maestro di corte alla musica.
Sprofondati nella nostra poltrona, mentre il pubblico applaude, noi non possiamo che unirci al meritato tributo agli attori in scena ma, nel mentre, mille perplessità ci assalgono. In primo luogo troviamo stucchevole la scelta registica di presentare il dramma come un lungo monologo delirante di Manni – che sembra davvero a suo agio nei panni del compositore italiano – interrotto a tratti da stacchi musicali durante i quali si palesa sul palcoscenico la figura di Mozart ridotta a una penosa macchietta. Anche la seconda obiezione è rivolta ad Alberto Oliva, ma questa volta nella sua figura di co-produttore. D’accordo che Mozart e Salieri si inserisca all’interno di un programma di ampio respiro dedicato agli autori russi che, dopo Dostoevskij, quest’anno si concentra su Puskin, contrapponendo così tra loro due autori coevi che, come i due protagonisti dello spettacolo, sono costretti a disputarsi gli applausi del pubblico e i favori dei mecenati. Il gioco di specchi tra San Pietroburgo e Vienna a cavallo tra XVIII e XIX secolo è decisamente raffinato, tuttavia il testo scelto, soprattutto dopo la rivisitazione della storia da parte di Shaffer, si dimostra debole, riduttivo e, a tratti, superficiale. Ci chiediamo dunque che senso possa avere per un produttore, in questo periodo di profonda crisi del settore culturale, la scelta di un siffatto titolo.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Out Off
via Mac Mahon 16 – Milano
fino a domenica 8 marzo 2015
orario spettacoli: da martedì a sabato ore 20.45, domenica ore 16.00
www.teatrooutoff.it
Teatro Out Off in collaborazione con I Demoni
Mozart e Salieri
drammaturgia Alberto Oliva, Mino Manni
da Aleksandr Puskin
regia Alberto Oliva
con Mino Manni, Davide Lorenzo Palla
musiche originali Ivan Bert
scene Francesca Barattini
costumi Marco Ferrara
disegno Luci Alessandro Tinelli
assistenti alla regia Angelo Colombo, Serena Lietti
prima nazionale
Incontri:
mercoledì 18 febbraio, 20.45
incontro con Fausto Malcovati, docente di lingua e letteratura russa all’Università di Milano
mercoledì 25 febbraio, 20.45
Ambrogio Borsani “Scrittore, docente universitario, viaggiatore”
giovedì 26 febbraio, 20.45
Riccardo Ceni. Musicologo, compositore, direttore d’orchestra
sabato 28 febbraio, 19.30
Così san tutti! – Cabaret Mozartiano di Convivio d’Artemercoledì 4 marzo, 20.45
Giulia Accornero Musicologa
sabato 7 marzo, 19.30
Ivan Bert e G.U.P. – Musica dal vivo