Milano dedica una mostra monografica a uno degli artisti più emblematici della Pop Art: Roy Lichtenstein. Il percorso di visita, organizzato per sezioni tematiche, offre un divertente viaggio nella società statunitense della seconda metà del XIX secolo.
Passaggio di testimone al MUDEC – Museo delle Culture di Milano: dopo la discussa A Visual Protest. The art of Banksy è ora la volta di Roy Lichtenstein. Multiple Visions che sarà visitabile per tutta l’estate, sino all’8 settembre. Dopo i graffiti di denuncia sociale dell’enigmatico esponente della Street Art vanno in mostra i multipli dell’artista che ha approfondito instancabilmente i principi della percezione visiva ed è considerato, insieme ad Andy Warhol, uno dei padri della Pop Art.
Warhol e Lichtenstein segnano indelebilmente la cultura della seconda metà del XIX secolo e ne sono irrinunciabili testimoni ma mentre il primo crea un vero e proprio brand, che gli conferisce notorietà planetaria a prescindere dai lavori, al secondo accade l’esatto contrario. Il codice espressivo utilizzato da Lichtenstein è talmente forte da fare identificare senza indugio alcuno le sue opere: la linea nera spessa, il colore piatto e il puntinato che, traslando dai giornaletti alle gallerie più prestigiose, acquistano forza comunicativa di pari passo ad accuratezza di stampa e toni brillanti.
I multipli d’arte con cui si cimenta Lichtenstein non sono tuttavia solo stampe ma, come si scopre durante la visita, anche sculture e arazzi. Un video in mostra racconta con quale cura maniacale l’artista crei le immagini e, a differenza di altri colleghi, ne segua da vicino la riproduzione meccanica, apprendendone ogni segreto. Gli piace sperimentare materiali e finiture: sono per esempio esposte ninfee (1992) ispirate ai giardini di Monet, realizzate con smalto serigrafato su acciaio inox, lasciato sia liscio sia lavorato in rilievo. Negli anni Sessanta Lichtenstein scopre anche il rowlux, un materiale plastico cangiante al variare dell’angolazione da cui lo si osserva, e attingendo probabilmente ancora una volta da Monet, dalle serie dei Covoni (1890/91) e della Cattedrale di Rouen (1892/94), imprigiona in una sola creazione una natura artificiale, mai ripetitiva, legata al variare della luce nella stanza dove è esposta.
Per la scelta di colori che impattino con efficacia sul pubblico Lichtenstein – come anche Warhol – visita i supermercati per studiare l’alternanza dei prodotti sugli scaffali e le combinazioni di tinte scelte dai pubblicitari per i packaging. Nascono così le opere esposte al MUDEC che, anche grazie alla sapiente curatela di Gianni Mercurio, associano un autentico godimento visivo a un divertente viaggio a ritroso nel tempo.
Un codice e un’estetica che prendono il sopravvento sulla narrazione e lascerebbero supporre che Roy Lichtenstein. Multiple Visions sia organizzata cronologicamente, mostrando al pubblico un’evoluzione espressiva che avanza di pari passo con il progresso della tecnica. Gianni Mercurio invece ha confezionato una mostra su misura per il Museo delle Culture, ripartita in otto sezioni tematiche in cui le immagini raccontano di profonde mutazioni sociali oltre che artistiche. Il percorso di visita inizia non a caso con le Immagini epiche degli indiani d’America che fanno il verso ai cimeli esposti nella collezione permanente del MUDEC. Lichtenstein affronta il tema in più momenti della sua carriera: negli anni Cinquanta, nel periodo pre-Pop quando perfeziona le tecniche di stampa, e poi alla fine degli anni Settanta in concomitanza con un’esplosione di attivismo politico e sociale dei nativi d’America e la nascita del Red Power. A metà del XIX secolo Parigi cede lentamente lo scettro di capitale mondiale dell’arte a New York: mentre nel Vecchio Continente si assiste al declino di Modernismo ed Espressionismo astratto da oltre Atlantico arrivano idee fresche e irriverenti, improntate sulla cultura popolare. Il giovane Roy per le sue sperimentazioni si diverte a prendere spunto sia dagli astrattismi di Paul Klee e dal surrealismo di Max Ernst sia, come Picasso con l’arte africana, dalla produzione degli indiani d’America. Lichtenstein non racconta infatti l’epopea del West, illustrando la lotta tra pellerossa e cow-boy, ma mutua i singoli elementi decorativi dei nativi e li ricompone come in American Indian Theme VI (1980).
Altrettanto interessante è la sezione Figure Femminili ove si analizza l’evoluzione del ruolo della donna all’interno della società nordamericana. La casalinga dei primi anni Sessanta protagonista delle pubblicità è una donna curata, sorridente e premurosa sebbene completamente dipendente dal marito e dedita ai lavori domestici. Successivamente dai giornaletti Lichtenstein estrapola lo stereotipo della pin-up in balia delle emozioni, tra cui Reverie (1965) – utilizzata per la promozione della mostra – o Crying Girl (1963). Intimorito dall’ondata del femminismo egli accantona per quasi un decennio il tema per poi riproporlo, dal 1977, filtrato dai pennelli degli artisti delle avanguardie europee. Risale infine alla metà degli anni Novanta una serie di stampe che ritraggono le protagoniste in situazioni di intimità, nude ma non indifese: sono donne che mostrano di aver sostituito il romanticismo con la sensualità e l’aggressività, di non dipendere più da alcuna figura maschile anche nella sfera sessuale in cui si abbandonano a relazioni saffiche.
La sezione dedicata alle Astrazioni rivela l’arguto senso dell’umorismo di Roy Lichtenstein. Egli sin dagli anni Sessanta riporta con enfasi il gesto eroico per eccellenza della pittura: la pennellata. Come nella precedente sezione Action Comics si assiste a svariati tentativi di bloccare l’istante dello sparo o di afferrare il fulmine così nella serie Brushstroke (1965) cristallizza l’atto di strusciare le setole del pennello inzuppate di colore sulla tela. Analogamente, nella serie Imperfect risalente a metà degli anni Ottanta sbeffeggia l’Astrattismo con quei triangoli dai vertici che fuoriescono dallo spazio della tela.
Il percorso conta anche altre sezioni. Oggetti quotidiani, una rassegna di nature morte, realizzate tra gli anni Sessata e Settanta, in cui dal bianco e nero si staccano oggetti e frutti campiti prediligendo i colori primari. La composizione è movimentata a volte dalla presenza di un paesaggio sullo sfondo o da specchi privi di immagini riflesse. Con Interiors Roy Lichtenstein ingrandisce il campo visivo, dal tavolo sposta l’attenzione all’intera stanza, e in eleganti prospettive mostra di fianco al celeberrimo Studio Ovale (1992) interni più borghesi.
In Avant-Garde l’artista ripropone senza reverenza alcuna i temi dei grandi Maestri del passato, dalle già citate ninfee di Monet ai ritratti di Van Gogh, dall’urlo di Munch ai tori di Picasso. Gianni Mercurio si diletta nel riportare una frase emblematica dello spirito ludico dell’autore “Stavo facendo vignette e altre immagini commerciali e semplicemente mi è venuto in mente che potevo fare un Picasso, farne qualcosa di semplice, da poter utilizzare più o meno nello stesso modo in cui si possono usare gli oggetti dell’arte popolare”.
Nella sezione Paesaggio sono esposte le sperimentazioni con il rowlux di fianco a riproduzioni di templi greci (1964) e visioni di città futuristiche come This must be the place (1965). L’attenzione è tuttavia catturata dalla delicata rivisitazione dei monotipi e dei paesaggi a pastello di Edgar Degas, che Lichtenstein vede dal vero al Metropolitan Museum. I puntini sono, come ormai di consuetudine, protagonisti assoluti mentre scompaiono le spesse linee di contorno conferendo alle opere un sapore impressionista astratto. Sono inoltre presenti minuscoli elementi – una barca, un albero, un ponte, un pescatore – tracciati con piccoli tocchi e macchie. Landscape with Boats e Landscape with Poet (1996) potrebbero far così allargare i cuori degli animi più romantici ma, inseriti in un simile contesto, rappresentano solo un esempio del virtuosismo grafico estremo e delle competenze tecniche raggiunte da Roy Lichtenstein e dal suo staff. Con il puntinato, le righe diagonali e il colori primari stesi in purezza gioca anche Corrado Anselmi nel progettare un allestimento che contribuisce a rendere ancor più ludica l’esperienza di visita.
Silvana Costa
La mostra continua a:
MUDEC – Museo delle Culture
via Tortona 56 – Milano
fino a domenica 8 settembre 2019
orari: lunedì 14.30 – 19.30
martedì – mercoledì – venerdì – domenica 9.30 – 19.30
giovedì – sabato 9.30 – 22.30
la biglietteria chiude un’ora prima
www.mudec.itRoy Lichtenstein
Multiple Visions
a cura di Gianni Mercurio
progetto di allestimento Corrado Anselmi
una mostra 24 ORE CulturaCatalogo:
Roy Lichtenstein
Multiple Visions
a cura di Gianni Mercurio
24 ORE Cultura, 2018
23 x 28 cm, 224 pagine, 200 illustrazioni, brossura con sovraccoperta
prezzo 32,00 Euro
www.24orecultura.com