Cambio di direzione in Triennale di Milano dove agli allestimenti tematici rinnovati con cadenza annuale subentra un museo permanente che accoglie parte della collezione di design. Il regesto è l’unica chiave di lettura offerta a un pubblico lasciato libero di inseguire la curiosità e i ricordi stimolati dagli oggetti esposti.
Il rinnovo del Consiglio d’Amministrazione della Fondazione della Triennale di Milano nel febbraio 2018 ha portato con sé l’inevitabile desiderio di rivoluzionare i diversi settori in cui si articola l’istituzione culturale. Un desiderio tanto legittimo quanto condivisibile tuttavia, a un anno di distanza, dopo aver osservato gli esiti delle prime iniziative messe in campo, il tempo è già maturo per le prime considerazioni di merito.
Ad aprile, alla vigilia della Milano Design Week è stato inaugurato ufficialmente il Museo del Design Italiano, un impianto permanente, collocato nella curva al piano terra dell’edificio di Giovanni Muzio del 1931/33, a sostituire il precedente allestimento temporaneo che con cadenza annuale cambiava tematica, curatore e progettista. Una soluzione che abbatte drasticamente il numero di pezzi della collezione di Triennale che è possibile visionare nel tempo, soprattutto se si considera la superficie limitata destinata al museo e lo spazio occupato da oggetti indubbiamente iconici ma estremamente voluminosi quali il mobile contenitore Serie Quadrante (1981, Xilitalia, B&B Italia) di Antonio Citterio e Paolo Nava, l’Abitacolo (1971, Robots) di Bruno Munari o i divani Bibambola (1972, B&B Italia) di Mario Bellini, Serpentone (1971, Arflex) di Cini Boeri o Tramonto a New York (1980, Cassina) di Gaetano Pesce solo per citare i primi che ci vengono in mente.
In occasione dell’anteprima stampa il Presidente Stefano Boeri ha colto l’occasione per annunciare un imminente concorso di progettazione internazionale per l’espansione degli spazi espositivi affinché accolgano la collezione nella sua totalità. L’entusiasmo iniziale all’udire la notizia è ovviamente spento sia dal considerare i tempi necessari per passare dalla pubblicazione del bando di concorso all’inaugurazione sia dall’esiguità della collezione di Triennale: circa 1.600 oggetti contro i 5.000 del Centre Pompidou e i 28.000 del MoMA. Si auspica quindi che nei prossimi anni la Fondazione voglia investire non solo in opere edili ma anche per incrementare considerevolmente il numero di pezzi in archivio.
I 1.300 mq della soluzione attuale del Museo del Design Italiano ospitano circa 200 oggetti prodotti tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1981, anno di costituzione del Gruppo Memphis. Il 18 settembre 1981, il gruppo di creativi da tutto il mondo raccolti attorno alla figura iconica di Ettore Sottsass, inaugura infatti la prima mostra alla Galleria Arc ’74 di Milano e appare subito chiaro che la provocazione colorata di Memphis, sebbene di natura effimera come quella di molte avanguardie storiche, avrebbe sdoganato il design italiano per condurlo sul mercato globale.
Al Museo del Design Italiano i muri perimetrali sono dipinti di celestino e la parete di sinistra è trasformata in una timeline su cui scorrono gli eventi più significativi di storia, politica, cultura, arte, società e tecnologia, dallo sbarco sulla Luna alla diffusione dell’AIDS, dalle grandi battaglie sociali ai Queen che con David Bowie incidono Under pressure. Si contestualizzano così ideologicamente gli oggetti esposti, dimostrando come i loro autori abbiano saputo cogliere e convogliare in forma creativa lo spirito del proprio tempo. Se per marcare il succedersi degli anni si opta per un carattere di colore nero e dall’altezza importante, agli eventi si riservano il bianco e dimensioni ben più ridotte: una scelta forse poco invadente ma che tende a fondere i testi con lo sfondo.
Gli oggetti galleggiano nel candore, posati su plinti, accompagnati come nel caso delle posate di Achille Castiglioni per Alessi dalle pubblicità che li vedono protagonisti – la foto di Giuseppe Pino ispirerà altri servizi promozionali dell’azienda negli anni a seguire -, dai listini prezzi e dai prototipi eseguiti da Giovanni Sacchi. Un percorso che intende dare il massimo delle informazioni possibili ma che nello specifico dell’esempio appena citato echeggia, in maniera più essenziale, le soluzioni proposte da Patricia Urquiola per la mostra A Castiglioni conclusasi a gennaio in Triennale.
Il visitatore troverà di sicuro interesse l’idea di posizionare – quando possibile – di fianco all’oggetto anche un telefono Grillo (Marco Zanuso e Richard Sapper, 1962, Auso Siemens) con cui ascoltare, direttamente dalla viva voce del designer il racconto di come sia nato il progetto. È un omaggio all’architetto tre volte Compasso d’Oro Vico Magistretti che si narra fosse solito spiegare al produttore i lavori per telefono, senza il supporto di immagini, tanto il concetto di fondo era semplice, forte e, quindi, chiaro. Segnaliamo che le didascalie riportano i premi e i riconoscimenti conferiti all’oggetto esposto.
Non esiste un percorso evidente così il pubblico può provare il piacere di perdersi attraverso la storia, avvicinandosi a ciò che suscita curiosità o, perché no, ricordi. La storia del design messa in scena al Museo del Design Italiano. Parte I – 1946/1981 è, in fondo, la storia degli italiani, il ricordo di un epoca in cui l’Italia con Olivetti era il punto di riferimento mondiale per la tecnologia e Mario Bellini l’architetto che dava alla funzione una forma accattivante e divertente. Una forma che ci sembra mancare all’allestimento di questo museo riuscito perciò solo a metà. Capiamo infatti il desiderio di cambiamento rispetto all’amministrazione passata e il voler esporre le opere senza inutili sovrastrutture ma – senza scordare i divertenti allestimenti proposti da Fabio Novembre, Italo Rota o Stefano Giovannoni con Tian Jin sebbene mai gratuiti ma in sintonia con la proposta curatoriale – ricordiamo le scelte pulite e tutt’altro che banali di Antonio Citterio o di Philippe Nigro.
Dal dopoguerra Triennale è infatti indiscusso riferimento cui guardare per mostre di design, sin dal 1954, da quella X Triennale intitolata Prefabbricazione – Industrial Design: Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne e dell’architettura moderna con la sezione dell’Industrial design allestita dai fratelli Pier Giacomo ed Achille Castiglioni. Il giorno della presentazione alla stampa del Museo del Design Italiano il Direttore Artistico Joseph Grima ha lodato la capacità dell’ufficio di progettazione interno a Triennale di “lasciar parlare oggetti da soli, senza circondarli di cornici scenografiche”. Effetto ottenuto ma con il non marginale effetto di essersi scostati da un’ulteriore tradizione.
Silvana Costa
La mostra continua:
Museo del Design Italiano
Triennale di Milano
viale Alemagna, 6 – Milano
orari martedì – domenica 10.30-20.30
lunedì chiuso
www.triennale.org
Museo del Design Italiano
Parte I – 1946/1981
direzione artistica Joseph Grima
con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
comitato scientifico Paola Antonelli, Mario Bellini, Andrea Branzi, Antonio Citterio, Michele De Lucchi, Piero Lissoni, Claudio Luti, Fabio Novembre, Patricia Urquiola
Catalogo:
Triennale Design Museum
La Collezione permanente
a cura di Joseph Grima
Electa, 2019
24×24 cm; 192 pagine; cartonato stampato
prezzo 70,00 Euro
www.electa.it