Debutta al Litta di Milano la rilettura del testo di Sofocle prodotta da Teatro del Simposio.
Opera Antigone prende il via dalla tragedia di Sofocle andata in scena per la prima volta nel 442 a.C ad Atene e narra come alla morte di Edipo, re di Tebe, i due figli gemelli Eteocle e Polinice si accordino per una diarchia che consenta loro di regnare a turno per un anno. Il primo a salire sul trono è Eteocle che, al momento di lasciare spazio al fratello, decide invece di esiliarlo. Polinice, nella lotta per difendere i propri diritti, uccide Eteocle e da costui viene ucciso. Creonte, zio dei giovani nonché nuovo sovrano della città, dispone affinché Eteocle sia seppellito con tutti gli onori mentre il corpo di Polinice venga abbandonato agli animali da preda e la sua anima conosca la dannazione eterna; chiunque trasgredisca i suoi ordini verrà giustiziato tramite lapidazione. Antigone, sconvolta, decide di ignorare l’editto e di seppellire il corpo del fratello; Ismene, sua sorella, cerca di farla desistere affinché la morte non torni a flagellare la famiglia.
Antigone e Ismene, come i fratelli prima di loro, finiscono per ritrovarsi a difendere posizioni opposte: l’impeto – a tratti decisamente fastidioso – contro la ragionevolezza; il rischio della morte contro il desiderio di continuare a vivere; il rispetto dei defunti contro la trascuratezza per chi è ancora in vita. Non c’è calcolo o ragione che possa placare Antigone e arrestare il corso del destino pronosticato da Tiresia, l’indovino cieco: il gesto pietoso della ragazza viene ben presto scoperto e Creonte, per non sminuire il proprio ruolo dinnanzi al popolo, ordina di seppellirla viva in una caverna. La principessa, ancora una volta, reagisce con ardore preferendo suicidarsi con onore a morire di stenti; Emone, suo promesso sposo nonché figlio di Creonte, arriva troppo tardi per salvarla e, di fronte al corpo senza vita dell’amata, decide di raggiungerla negli Inferi; Euridice, devastata dal dolore per la perdita del figlio e della sua futura sposa, si dà la morte.
LISA – Se un albero cade in un bosco anche se non c’è nessuno nei dintorni, fa rumore?
BART – Certamente!
LISA – Ma Bart, come può esistere il rumore se non c’è nessuno ad ascoltarlo?
È indubbiamente sfacciato scrivere di Opera Antigone – la nuova produzione di Teatro del Simposio da un progetto di Francesco Leschiera – citando I Simpson. Eppure la riflessione di Ismene sul proprio ruolo nella storia è analoga al dilemma filosofico proposto da Lisa. Tutto questo sangue versato, tutti questi giovani corpi esanimi che senso avrebbero se non ci fosse nessuno a ossevarlo e raccontarlo a monito per le genti? Ismene è l’occhio che vede, l’orecchio che ascolta e la bocca che narra. Giulia Pes è struggente nel ruolo della principessa sopravissuta e nell’epilogo raggiunge straordinarie vette di lirismo: Ismene dopo una vita passata a rincorrere gli slanci di Antigone ha esitato a condividere questo ultimo progetto e, a causa di ciò, è stata allontanata con disprezzo; i suoi timori si sono avverati, la tragedia si è compiuta, e ora si ritrova unica protagonista in scena. Le tristi parole di Ismene, così come le drammatiche profezie di Tiresia, sono talmente forti da riuscire a prevaricare il brusio di fondo della Storia e dei media e, quando anche l’ultima eco si è persa nel buio della sala, risuonano le elaborazioni musicali di Walter Bagnato e Antonello Antinolfi. Bagnato è anche presente sul palco dove, seduto al piano, esegue dal vivo i brani destinati a sottolineare i passaggi più drammatici di Opera Antigone.
Una mano felice sembra aver guidato la scelta del cast, portando in scena attori completamente identificati con il personaggio loro assegnato: Ettore Distasio nei panni di Cereonte, devastato dalla scelta tra il cuore e l’onore; Ermanno Rovella è Emone; la già decantata Giulia Pes; Andrea Magnelli, un inquietante Tiresia e Veronica Franzosi un’inarrestabile Antigone. Un manipolo di talentuosi in grado di muoversi nella penombra, su un palco spoglio, guidando l’immaginazione del pubblico nel far rivivere i fasti dell’antica Tebe. Un palco volutamente spoglio, attraversato in verticale da teli semitrasparenti che lasciano intravedere quel luogo magico – e un po’ mitologico – che è il retropalco e dietro cui si celano i personaggi per meditare, acquisendo la consistenza di ombre degli Inferi. Lo spazio della rappresentazione concepito da Paola Ghiano e Francesco Leschiera diviene un non-luogo; il tempo e lo spazio perdono definizione e le sciagurate vicende della dinastia reale tebana assumono valore assoluto, assurgendo a monito universale, trasfigurandosi in un cliché che la Storia matrigna ripropone uguale nei secoli.
Una visione che ritroviamo anche nel testo rielaborato da Antonello Antinolfi, Francesco Leschiera e Giulia Lombezzi – dove mancano riferimenti espliciti all’epoca dell’azione – o nei costumi che ondeggiano dal peplo al completo grigio, per evolversi in originali soluzioni futuribili che soddisfino la mera necessità di proteggere il corpo dal freddo, senza costruzione o forma alcuna.
Francesco Leschiera dirige con il piglio di un severo coreografo gli attori impegnati sul palco e il coro sparso in platea, dando vita a un insieme di quadri dall’alto tasso poetico e a un’azione avvolgente, in grado di coinvolgere gli spettatori stupiti ed emozionati sin dalle prime battute. Il sold out che accoglie lo spettacolo in prima nazionale al Teatro Litta di Milano dimostra che il pubblico, così come avviene con i balletti, ha ancora desiderio di assistere alle opere classiche, di lasciarsi incantare dalla versione originale delle storie cui oggi si ispirano gli autori teatrali e cinematografici, magari vantandosi poi di aver prodotto una “sceneggiatura originale”. Il lungo scoscio di applausi finale premia la scelta di intervenire con levità sul testo di Sofocle, facendolo risplendere come gli occhiali di Tiresia nel buio della sala.
Senza alcun desiderio di polemica ci viene infine spontaneo accostare il progetto di Opera Antigone di Francesco Leschiera all’Ifigenia, liberata di Angela Demattè e Carmelo Rifici, andata in scena in primavera al Piccolo Teatro Strehler, dove tra l’altro lo stesso Leschiera è coinvolto nelle vesti di aiuto regista. Lo spettacolo espone il meticoloso lavoro d’indagine compiuto dagli autori per sviscerare le dinamiche che muovono i protagonisti di Ifigenia in Aulide di Euripide, attingendo indifferentemente da testi religiosi così come dalle teorie della psicoanalisi. L’esito, di per sé interessante, quando protratto per oltre due ore diventa tanto pedante quanto stucchevole e toglie al pubblico il piacere di elaborare congetture. Meglio dunque lasciar spazio al testo in purezza per permettere all’azione di esplicare i pensieri dei personaggi e ai dialoghi di enunciare il punto di vista dell’autore. In fondo, uno dei criteri per definire un’opera “arte” è la sua capacità di emozionare senza bisogno di sovrastrutture e spiegazioni.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Litta
corso Magenta 24 – Milano
fino a domenica 26 novembre 2017
orari da martedì a sabato 20.30
domenica 16.30
www.mtmteatro.it
Opera Antigone
progetto e regia Francesco Leschiera
da Sofocle
elaborazione drammaturgica Antonello Antinolfi, Francesco Leschiera, Giulia Lombezzi
regia Francesco Leschiera
con Ettore Distasio, Ermanno Rovella, Giulia Pes, Andrea Magnelli, Veronica Franzosi
musicista Walter Bagnato
scene e costumi Paola Ghiano e Francesco Leschiera
luci Luca Lombardi
elaborazioni e scelte musicali di Walter Bagnato e Antonello Antinolfi
assistente alla regia Alessandro Macchi
grafica Valter Minelli
produzione Teatro del Simposio
durata 1 ora e 20 minuti
prima nazionale