L’arte di Paolo Caliari detto il Veronese (1528-1588) torna nella sua città natale con una mostra dedicata alla sua figura e alla sua opera che si compone di circa cento pezzi, fra dipinti e disegni, provenienti dai più prestigiosi musei italiani ed internazionali.
Verona celebra l’opera di Paolo Caliari dedicandogli una spettacolare mostra, aperta sino al primo weekend di ottobre a Palazzo della Gran Guardia. Una bizzarra coincidenza ha voluto che, in questo stesso anno, anche la National Gallery di Londra organizzasse un’esposizione sull’artista – Veronese: Magnificence in Renaissance Venice – ponendo così i curatori di fronte all’amletico dilemma se fosse meglio collaborare o contendersi strenuamente il prestito delle tele più prestigiose. Fortunatamente è stata privilegiata la prima strada così, sulle rive dell’Adige, oltre ai dipinti conservati nei musei e nelle chiese della nostra penisola, sono tornate per la prima volta in Italia, dopo oltre quattro secoli, le Allegorie dell’amore (1565-70) custodite gelosamente nella galleria sita a due passi dal Tamigi.
I curatori, Paola Marini – direttrice del Museo di Castelvecchio e Bernard Aikema dell’Università degli Studi di Verona, hanno organizzato l’esposizione in sei sezioni: la formazione a Verona, i fondamentali rapporti dell’artista con l’architettura e gli architetti (da Michele Sanmicheli a Jacopo Sansovino ad Andrea Palladio), la committenza, i temi allegorici e mitologici, la religiosità, concludendo il percorso di visita con un focus sulla bottega dove lavorano anche l’esperto fratello Benedetto ed i figli Carletto e Gabriele.
Paolo Caliari si forma a Verona nella bottega di Antonio Badile ma, sin dalle prime opere che ammiriamo in mostra, siano disegni o pitture, balzano invece agli occhi le influenze che gli artisti della scuola emiliana hanno avuto sul suo stile: Primaticcio, Correggio, Parmigianino e Ugo da Carpi, evidenti in particolar modo nei profili asciutti, quasi affilati, dei volti femminili. Ritroviamo le suggestione degli artisti dell’Italia centrale nei corpi avvinghiati delle Tribolazioni di Sant’Antonio (1552-53) da cui trasuda la stessa tensione drammatica che pervade la Sala dei Giganti affrescata da Giulio Romano a Palazzo Te mentre le masse muscolari, scolpite dalla luce, richiamano la possenza delle figure michelangiolesche. La tela, all’epoca del concorso indetto da Ercole Gonzaga tra quattro artisti veronesi invitati a presentare una pala per il Duomo di Mantova, è giudicata dal Vasari, senza alcuna esitazione, la migliore in assoluto. Nel tempo, Veronese partecipa con successo a numerosi altri concorsi dimostrando come il suo linguaggio pittorico ricco, elegante, solenne e moderno riuscisse a conquistare i committenti pubblici, ottenendo così importanti incarichi nell’ambito del rifacimento delle sale di Palazzo Ducale a Venezia distrutte, a più riprese, da incendi. A causa dell’inamovibilità dei grandi dipinti, a Verona sono presenti solamente gli studi per Venezia in trono, Trionfo di Venezia e Venezia dispensa ricchezze e onorificenze, tutti datati 1571.
La produzione di disegni è una componete essenziale dell’attività del Caliari di cui, in ogni sala espositiva, è presente un’attenta selezione. Ci sono gli accurati studi preparatori finalizzati a scegliere la posa più efficace o la disposizione di corpi ed architetture che meglio valorizzasse l’equilibrio compositivo della scena ritratta; ogni singolo prezioso foglio – la carta e la pergamena all’epoca sono beni costosi – è fittamente riempito di disegni ed appunti, su entrambi i lati, in una babele di pensieri che finisce per accostare sacro e profano. In fianco a questi ci sono poi dettagliate copie a carboncino, dal marcato gioco dei chiaroscuri, delle grandi tele che adornano chiese e palazzi destinate sia al florido mercato dei disegni sia all’archivio della bottega cui attingere per riprodurre i soggetti di maggior successo. È interessante paragonare, nel corso della visita, le differenti versioni di una stessa opera.
Molti sono i dipinti a tema biblico commissionati a Veronese da nobiluomini ed ecclesiastici – i suoi più munifici committenti risultano essere i monaci benedettini – accomunate da intenti educativi teologici e morali. Pittore esperto, Veronese utilizza svariati espedienti narrativi: gli sguardi intensi ed eloquenti dei protagonisti che, in Miracolo e conversione di San Pantalon (1587), restituisce lo stupore e i turbamenti conseguenti alla resurrezione del ragazzo. Introduce fasci di luce che squarcino la scena a vadano a sottolineare i gesti o personaggi: in Adorazione dei Magi (1573-74) gli angeli scostano le nubi per aprire un varco alla luce che, filtrando da un buco nel tetto, illumina il piccolo Gesù. In quest’opera, commissionata dal mercante di stoffe Marcantonio Cogollo per la cappella di famiglia presso la Chiesa di Santa Corona a Vicenza, possiamo ammirare anche la grande abilita di Veronese nel rendere la consistenza materica dei differenti tessuti: i velluti brillanti, le sete croccanti o gli eleganti arabeschi dei broccati.
A questi fattori si uniscono la rigorosa costruzione prospettica e la presenza di elementi architettonici o naturali che, molto più che mera scenografia, servono a guidare l’occhio dello spettatore attraverso le sequenze della rappresentazione. Il Caliari, sin dall’inizio dell’attività ha ricevuto importanti commesse che lo portano a lavorare al fianco dei più importanti architetti, inventando per ville e chiese sfondi illusionistici animati da personaggi, quasi fossero un palcoscenico teatrale. L’apice della creatività e del prestigio è probabilmente raggiunto con gli affreschi della Villa Barbaro, costruita da Andrea Palladio a Maser (1554-60). Tuttavia, visitando la mostra, restiamo affascinati dallo sguardo di sfida di San Menna (1560 ca.) il cavaliere che dalle ante dell’organo della Chiesa di San Geminiano a Venezia – ora alla Galleria Estense di Modena – sporge il piede oltre la nicchia in cui dovrebbe esser confinato, superando il confine fra lo spazio dipinto e quello reale.
Veronese, noto per gli atteggiamenti eleganti dei protagonisti, la ricchezza e brillantezza dei colori della sua tavolozza, oltre che la perfetta resa di abiti e gioielli è un affermato ritrattista come dimostrano i molti quadri di gentiluomini giunti da ogni parte del globo o quello della Bella Nani (1558-60) – identificata dalla critica con la virtuosa Giustiniana Giustinian – in mostra a Verona con la sua cornice originale. Con il Ritratto di Alessandro Vittoria (1575 ca.), scultore suo amico, introduce la moda di rappresentare il personaggio con un oggetto che permetta subito di identificarlo: in questo caso si tratta della statua in bronzo di San Sebastiano; a Jacob König (1583), orafo e mercante di stampe, inserisce invece tra le mani un enorme smeraldo. Per quegli stessi committenti, Veronese è autore di suggestive tele a soggetto mitologico: opere come il Ratto d’Europa (1570-74) proveniente dalla collezione di Jacopo Contarini, protettore di Palladio e Caliani a Venezia, Venere, Marte e Cupido (1580) in cui riesce a focalizzare l’attenzione dello spettatore nell’angolo in basso a destra, dove Cupido geme per i graffi del cane con cui stava giocando, o Marte e Venere (1570-75), dalle piccole dimensioni, decisamente inusuali per questo artista. Non è tuttavia per la forte carica sensuale che imprime anche a talune vicende bibliche, quali Giuditta e Oloferne (1575-80), che nel luglio 1573 è convocato di fronte al Tribunale dell’Inquisizione. L’opera incriminata è la Cena eseguita per la Chiesa domenicana dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, oggi traslata nelle vicine Gallerie dell’Accademia. Negli anni immediatamente successivi al Concilio di Trento, il controllo della Chiesa sulle immagini si è fatto rigoroso e le Cene dipinte da Paolo Caliari così sature di personaggi improbabili – buffoni, servitori di colore, gente ubriaca e soldati – hanno un che di blasfemo. L’artista si difende sostenendo che la scena centrale, dedicata alla figura di Cristo, non è contaminata da tali presenze tuttavia, per necessità di colmare la tela dalle spropositate dimensioni di dodici metri per cinque, ha dovuto introdurre molti altri elementi scelti, in buona fede, seguendo meri criteri di estetica compositiva. Gli atti del processo riportano, più volte, questa frase di Veronese a giustificazione del proprio operato: “Noi pittori ci pigliamo la licenza che si prendono i poeti e i matti”. La Giuria, accomodante anche in virtù del prestigio di cui gode l’artista in città, si limita ad imporre che il titolo dell’opera venga mutato in Convito in casa di Levi. La tela non è tra quelle esposte a Verona ma rientra negli itinerari Paolo Veronese. Un itinerario nel Veneto realizzati grazie al sostegno di Save Venice e pensati per guidare il visitatore e il turista alla scoperta delle opere dell’artista conservate nelle chiese, nei musei e nelle ville a Verona, Vicenza, Padova, Maser, Castelfranco Veneto e Venezia.
Silvana Costa
La mostra continua:
Palazzo della Gran Guardia
piazza Bra – Verona
fino a domenica 5 ottobre 2014
orari dal lunedì al giovedì, sabato e domenica 10.00 – 21.00
venerdì 10.00 – 22.00
Paolo Veronese
L’illusione della realtà
a cura di Paola Marini e Bernard Aikema
promossa e prodotta da Comune di Verona
in collaborazione con Università degli Studi di Verona, Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
in associazione con The National Gallery, London, a completamento della loro mostra Veronese: Magnificence in Renaissance Venice (19 marzo – 15 giugno 2014)
organizzazione e comunicazione Electa
con il sostegno di Regione Veneto, Provincia di Verona, Camera di Commercio di Verona, Wine Top, Fondazione Cariverona, Save Venice, Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona, Inner Wheel-Club Verona
http://mostraveronese.it/
Catalogo:
Paolo Veronese
L’illusione della realtà
a cura di Paola Marini e Bernard Aikema
Electa, 2014
www.electaweb.it