Iniziamo il percorso all’interno della ricchissima offerta delle mostre fotografiche, in questi giorni a Lucca, con i vincitori del World Press Photo 2017 e la bella collettiva sul tema delle migrazioni – di ieri come di oggi.
Doveroso partire da Chiesa San Cristoforo, non solamente perché è la sede dei vincitori del Concorso distribuiti in varie categorie – dai reportage alle foto singole, dallo sport e la natura alla cronaca di guerra – ma anche perché sede della biglietteria della manifestazione, dove si può acquistare un pass per gustarsi con calma, su più giorni, le varie esposizioni. Scelta, questa, doppiamente sagace in quanto la maggioranza dei luoghi espositivi non è per nulla riscaldata e, dopo un paio d’ore in piedi davanti ai tabelloni, ci si sente praticamente distrutti.
Partiamo dalla Foto dell’anno Spot News (1° premio Reportage), che campeggia anche sulle locandine, e ritrae l’assassinio dell’ambasciatore russo Andrey Karlov, ossia il poliziotto turco Mevlut Mert Altintas. Il fotografo, Burhan Ozbilici, sembra voler esaltare con la sua perfetta messa a fuoco l’egotismo del killer, mentre la composizione dell’inquadratura rasenta i posati di un film d’azione a stelle e strisce. Da questa foto trasuda un senso apologetico della violenza politica e, guardandola bene, ci si domanda come si sia potuto dare un premio a chi fotografa il protagonista di un omicidio, mentre lo rivendica col dito puntato verso l’alto e in posizione darock star. Ovvio plaudire alla prontezza di riflessi del fotografo, ma quando si dà un premio che ha anche un valore etico, bisognerebbe chiedersi se un’immagine simile sia davvero giornalismo o apologia di reato.
Di segno completamente opposto, in quanto documenta chi la violenza la subisce, quotidianamente, e spesso nel silenzio dei mass media, Laurent Van der Stockt (1° premio Foto singole, nella sezione Notizie generali), che punta l’obiettivo su una bambina di Mosul, letteralmente terrorizzata e appiattita (quasi a proteggerla o a cercare un’impossibile protezione) contro il muro della sua casa semidiroccata. Anche Magnus Wennman (1° premio Foto singole, nella sezione Volti) ci regala il viso di una bambina, Maha, di cinque anni, nel campo profughi di Debaga, dove la bellezza dell’infanzia si nasconde dietro a uno sguardo che sembra arrendersi di fronte a un mondo estraneo, incomprensibile, violento.
Per le Storie d’attualità (3° premio Reportage), Peter Bauza mostra le tinte sgargianti che rivestono la miseria della favela brasiliana di Jambalaya. L’onnipresente carrello del supermercato è vuoto. Un cavallo, stramazzato a terra, giace abbandonato accanto allo châssis di un’auto sventrata. Lo sfascio di un Paese ricchissimo di materie prime, che non riesce a dare risposte nemmeno basiche alla maggior parte della sua popolazione. Dal Brasile capitalista (buono) alla Cuba comunista (cattiva). Il 1° premio Reportage, nella sezione Vita quotidianava a Tomás Munita, che documenta il lungo viaggio dei cubani, da L’Avana a Santiago, per accompagnare il feretro di Fidel. Di fronte a noi il dolore di una popolazione che si rende perfettamente conto di vivere in un Paese con un sistema scolastico e sanitario eccellenti (fatto non scontato nei Paesi maggiormente industrializzati, raro in Sudamerica), che vive nella precarietà a causa dell’embargo imposto dagli Stati Uniti – dove sanità e istruzione sono appannaggio solo di chi può permetterseli.
Per superare gli stereotipi, ecco anche i due volti dell’Iran – documentati con una sottile dose di ironia da Hossein Fatemi (2° premio nella sezione Progetti a lungo termine). Donne velate opposte ad altre che si truccano e pettinano in un salone di bellezza; donne appartenenti alla famigerata polizia morale opposte a due ragazze che si baciano in un locale pubblico, o a un gruppetto di giovani donne e uomini che fumano il narghilè, tutti insieme, sotto una tenda trasparente. Si respira un’aria sessantottina tra le nuove generazioni iraniane, che sembrano rifiutare sempre più le imposizioni di un regime teocratico, pervicacemente legato al potere totalitario grazie ai dogmi di una religione asfissiante.
Molto belle, come ci si attenderebbe, le fotografie dedicate alla Natura – anche se, più che la meraviglia dell’universo che ci circonda, sembrano rivelare i pericoli causati dai comportamenti umani. Il 1° premio Foto singole se lo aggiudica Francis Pérez, che è riuscito a scattare una foto quanto mai difficile a una tartaruga rimasta impigliata in una rete da pesca. Mentre il 2° va a Nayan Khanolkar, che dedica un primo piano dai colori caldi e suadenti a un leopardo che si aggira nella periferia di Mumbai, tra ciabatte e rifiuti, nella fogna a cielo aperto di un vicolo fatto di tuguri in terra battuta. Nella stessa sezione, il 1° premio Reportage va a Brent Stirton, che racconta il veloce declino della popolazione di rinoceronti in Sudafrica, dove si stima la presenza del 70% di esemplari viventi (nel 2007 si registrava la perdita annua di 17 animali, nel 2015 la cifra era salita a 1175). Emblematica la foto del rinoceronte morente dopo che gli è stato tagliato di netto il corno: la vivacità dei colori e il primissimo piano del muso della bestia rendono ancora più crudele l’immagine di violenza.
Per la sezione Sport, non solamente carambole e tuffi impossibili. Il 1° premio Reportage è andato a Giovanni Capriotti con una serie in bianco e nero (mezzo espressivo che sembra tornato prepotentemente in auge), autoironici e dedicati al Muddy York Rugby Football Club, il primo club rugbistico gay-friendly di Toronto. Mentre il 2° premio se lo è aggiudicato Michael Hanke, raccontando il dietro le quinte dei tornei giovanili di scacchi. Sempre in bianco e nero, vediamo un bambino che grida con piglio semi-isterico (per la vittoria o mentre cerca di innervosire l’avversario?); una bambina in preghiera prima di un incontro; l’allenatore adulto che dà gli ultimi consigli al ragazzino, in posa quasi da confessionale.
Daniel Berehulak conquista il 1° premio Reportage nella sezione Notizie generali, occupandosi della guerra al narcotraffico, voluta dal neoeletto Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Immagini notturne flashate di rosso come il sangue che imbratta le strade. O di blu, sotto una pioggia battente, con personaggi notturni sospesi in un’atmosfera rarefatta à la Blade Runner. Sullo stesso argomento, emotivamente intensa l’inquadratura dall’alto di Noel Celis (3° premio Foto singole per le Notizie generali), con i prigionieri di Quezon City a Manila, costretti a dormire sulle scale – in un penitenziario che dovrebbe contenere 278 reclusi e ne ospita 3800.
Unico sottile filo di speranza in una marea di orrori che ormai ci stringono da ogni dove, il 1° premio per iProgetti a lungo termine, assegnato a Valery Melnikov per I giorni neri dell’Ucraina: tra abitazioni bombardate e semidiroccate, un uomo innaffia una piantina in mezzo a una strada asfaltata. E ancora, il 1° premio Foto singole per le Storie d’attualità, vinto da Jonathan Bachman, con un’inquadratura che sottolinea la compostezza dignitosa di una ragazza di 27 anni, Iesha Evans, mentre affronta a mani nude e con un leggero vestito estivo che le svolazza intorno, due poliziotti in tenuta d’assalto, durante la manifestazione contro le violenze della polizia sulla popolazione afroamericana, tenutasi a Baton Rouge il 9 luglio.
Seconda tappa del nostro percorso, Palazzo Guinigi – dove si tengono due personali. La prima, di Paolo Verzone, si intitola Cadetti. Dopo tutti i reportage di guerra, documentati nel World Press Photo 2017 e disseminati dai massacri compiuti dai militari, la serie dedicata agli appartenenti alle Forze Armate stride nel proprio nitore posato e fasullo. In particolare, la giovane marinaia greca sulla scalinata ha la patinata levigatezza delle pubblicità di Jean Paul Gaultier.
La seconda personale è dedicata a Francesco Fossa – Lybia, sulle tracce del Paziente Inglese. In realtà un dittico, composto dalle foto scattate da un ufficiale degli Alpini, di stanza nell’oasi di Cufra e sui contrafforti di Auenàt, tra il ‘33 e il ‘35, e del nipote (Francesco Fossa, appunto), che ha viaggiato dalla città libica di Ubari fino al deserto di Maridhet, sul confine algerino, per poi raggiungere la città-oasi di Gadames (tra Algeria e Tunisia) e le rovine romane di Sabrata, Patrimonio dell’Umanità Unesco. Interessante il contrasto tra il piglio documentaristico del nonno che ritrae le lunghe ombre delle carovane nel deserto, i volti incorniciati dai copricapi tradizionali e, con piglio autoironico, i militari (probabilmente italiani) che pasteggiano nel deserto goliardicamente seduti a tavola. E il nipote, che si sofferma su rovine e deserti, esprimendo un senso d’infinito adagiato su distese sabbiose, dove campeggiano chiaroscuri espressivi. Le sue immagini, più pittoriche che fotografiche, più poetiche che giornalistiche, ritraggono sperduti paesaggi della mente – dove è dolce il naufragare.
Ultima tappa di questa prima giornata dedicata al PhotoLux, è Palazzo Ducale, dove è esposta una collettiva dedicata al Mediterraneo o, meglio, ai migranti che solcano il Mare Nostrum nella speranza di un approdo sicuro e un futuro migliore. Ad aprire la mostra un collage di immagini in video, montate partendo da riprese televisive. Come in altri spazi, qualche sedia non avrebbe guastato, così come un minimo di riscaldamento.
“The Mediterranean is a vast archive, an immense grave”, vergava lo scrittore jugoslavo Predrag Matvejević, e sono queste sue parole a fungere da sottotitolo a I-Σmigrazioni, una raccolta multimediale che abbraccia un secolo di storia e intesse materiale fotografico con testi, documenti, sculture, dipinti di artisti italiani e stranieri.
La mostra si apre con un’immagine emblematica di Giorgos Moutafis, scattata ad Agathonisi nel 2009: la preghiera di un migrante, appena sbarcato sano e salvo sull’isola del Dodecaneso. A pochi passi, quasi una Madonna protegge con un lembo della coperta isotermica una bambina: l’iconografia sacra si sposa in maniera pregnante con l’immagine scattata da Alessandro Penso, a Lesbo, nel 2015. Sempre sulle migrazioni verso Lesbo, gli incisivi bianco e nero di Angelos Tzortinis, del 2015. L’assenza di colore acuisce la capacità della fotografia di trasmettere emozioni a fior di pelle, documentando una realtà talmente scabra e urticante da rifuggire a qualsiasi pennellata. E ancora, Enri Canaj, nello stesso periodo e sulle stesse coste, punta l’obiettivo su una bambini morta, abbandonata tra le rocce come un rifiuto, spiaggiata come un cucciolo di foca sfuggito al bracconaggio, ma morto nel tentativo.
Coloristicamente bella e pregna di significati la fotografia di Liu Bolin, Target, Memory Day (2015). Vi si ritrae un’installazione umana composta da corpi distesi sull’arenile, coperti di quella terra che, per molti migranti, non è solamente un luogo d’arrivo bensì uno spazio mentale dove ripensarsi e ricostruire un’esistenza davvero umana.
Gli oggetti più disparati, da un pettine a un biberon, compongono Lampedusa, di Davide Monteleone (2015). Tanti piccoli quadri che raccontano, ognuno, una storia personale e, tutti insieme, la realtà tragica di milioni di esseri umani ridotti a oggetti (da confrontare con la foto di Daniel Castro Garcia, che inquadra una miriade di abiti abbandonati sulla costa in Lampedusa, 2015).
Interessante il lavoro di Caroline Gavazzi, Riace (2016), che sovrappone ai volti dei migranti fotografati, le loro impronte digitali (con evidente rimando a quella sostituzione emotiva e intellettuale, nell’immaginario fobico nel quale stiamo vivendo, delle persone con una parte delle stesse).
In mezzo all’orrore, non manca qualche spiraglio di poesia. Apre il cuore l’immagine in bianco e nero di Achilleas Zavallis (Reszke, 2015), che fissa l’attimo in cui alcune tende di fortuna, sospese a mezz’aria, vengono portate via da una folata di vento. Quasi presagio di libertà. Quella libertà rivendicata per le merci, vietata agli esseri umani. E ancora, Alessandro Penso (Belgrado, 2017) ci restituisce un giovane, che ha ricostruito il proprio spazio domestico all’interno di un vagone ferroviario abbandonato, su una linea morta, in mezzo a un paesaggio imbiancato – in cui si staglia, monito e segno della presenza umana, il filo spinato. Si respira aria di campi di sterminio, in questa Europa che, assieme al Muro, avrebbe dovuto abbattere qualsiasi frontiera – fisica e mentale. I treni, del resto, sembrano essere assurti al ruolo di protagonisti in questa Europa delle migrazioni – come lo è, la Bestia in Messico. Si seguono i binari per non perdersi. Si tenta di arrampicarsi attraverso un finestrino per ottenere l’agognato passaggio (Sergey Ponomarev, Confine serbo-croato, 2015).
Da un punto di vista estetico, vanno notate le foto di Santi Palacios, sempre coloristicamente eccellenti, e di Massimo Sestini. Oltre a quelle di Giulio Piscitelli, nel Deserto del Sahara (2014).
Una sezione a se stante, quella dedicata alla memoria. Ermanno Rea e Gianni Berengo Gardin documentano la migrazione interna e verso l’estero di milioni di italiani – dalla fine dell’Ottocento agli anni 70 del Novecento. Quale differenza esisterebbe tra i nostri connazionali, seduti per terra tra ceste e sacchi di juta legati con lo spago, sporchi, trasandati, con indosso tutti gli abiti che possedevano, al porto di Genova nel 1910, e i migranti fotografati oggi sui barconi al largo nel Mediterraneo? I panni stesi su corde di fortuna sui ponti di terza classe, nugoli di bambini allo sbaraglio, valigie di cartone e una tristezza infinita negli occhi. O ancora, raggiunta l’America (come si diceva una volta), bambini che si addormentano sui banchi delle scuole serali. Quelli erano gli anni in cui gli italiani compravano le guide per migranti – al posto di quelle turistiche. Ma, in fondo, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, diceva Tancredi: oggi sono i nostri cervelli a emigrare, magari in aereo e con un contratto in tasca, ma il risultato finale non varia.
Simona M. Frigerio e Luciano Uggè
Le mostre di PhotoLux 2017 continuano:
Lucca, varie location
fino a domenica 10 dicembre
www.photoluxfestival.itChiesa San Cristoforo
via Fillungo, 6
Mostre: World Press Photo 2017; Scatta la notizia
orari: tutti i giorni 10.00-19.30Palazzo Guinigi
via Guinigi, 21
Mostre: Paolo Verzone; Francesco Fossa
orari: lun-ven 15.00-19.30 / ven 8 dicembre-sab-dom 10.00-19.30Palazzo Ducale
Cortile Carrara, 1
Mostre: Josef Koudelka; I-ΣMIGRAZIONI; Prix Pictet 2017
orari: tutti i giorni 10.00-19.30