Produrre per gli uomini, produrre per gli dèi

Alla Fondazione Luigi Rovati di Milano si rievoca il fervore artistico di Vulci, importante snodo commerciale e culturale dell’Etruria, attraverso i reperti di eccezionale bellezza rivenuti nelle tombe dei suoi cittadini più illustri.

Fondazione Luigi Rovati inaugura con Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi, la mostra aperta sino domenica 4 agosto nelle sale ipogee del museo di corso Venezia a Milano, un ideale viaggio alla scoperta delle metropoli etrusche. Il ciclo espositivo è concepito per approfondire la conoscenza di questo antico popolo italico, tanto raffinato quanto ancora misterioso, focalizzandosi sul periodo storico compreso tra lo sviluppo delle città e la caduta sotto il dominio di Roma. Periodo estremamente interessante poiché il fenomeno dell’inurbamento trascina con sé una maggior complessità economica connessa a una specializzazione della filiera produttiva, a uno sviluppo delle arti e a un’accentuazione della stratificazione sociale.
Vulci, come ben illustra la mostra a cura di Laura Maria Michetti e Giuseppe Sassatelli, è a tal proposito un eccezionale caso di studio, complice la posizione strategica di snodo tra le rotte commerciali marittime del Tirreno e del Mediterraneo e l’entroterra. Il percorso di visita ripercorre in sei sezioni la storia della città, dalla fondazione a fine X secolo a.C. sino all’annessione a Roma nel 90 a.C., descrivendone le fasi di sviluppo e di crisi e le influenze esercitate dalle civiltà con cui entra in contatto, poi rielaborate in chiave originale.
I reperti esposti sono stati rinvenuti nel corso delle campagne di scavo condotte nella zona, in particolare nel corso del XIX secolo da Luciano Bonaparte, fratello minore dell’imperatore francese. Reperti in gran parte rinvenuti all’interno delle tombe dei cittadini più facoltosi di Vulci eppure perfettamente in grado di raccontare la città dei vivi e del fermento che vi si respira. Non è dunque un caso quindi se, scesa la scala che porta alle suggestive sale espositive ipogee del museo progettate dall’architetto Mario Cucinella, il visitatore venga accolto da una sfinge con ali spiegate e posa ieratica (metà VI secolo a.C.).
La sfinge – che nel corso della visita alla mostra è possibile vedere riprodotta su diverse tipologie di manufatti – è una creatura mutuata dalla mitologia greca mantenendo l’originaria allusione al pericolo. La prima sezione, intitolata Il paesaggio liminare, narra nello specifico come nella zona di Vulci, a partire dagli ultimi decenni del VII secolo a.C., prenda piede l’uso di decorare cippi funerari e prospetti esterni delle tombe con statue di felini, reali o immaginari, quali pantere, sfingi o leoni alati, da un lato a mettere in guardia da quanto attenda una volta superata la soglia del mondo dei morti e, dall’altro, per sottolineare il rango del defunto.
Il busto femminile risalente al terzo quarto VI sec. a.C. (540 a.C. circa) e scolpito alla pari delle opere del periodo precedente in nenfro – una qualità di tufo tipica della zona di Vulci – è emblema di una mutazione della moda che, pur attingendo sempre dalla mitologia, abbandona il tema degli animali fantastici a favore delle divinità dalle fattezze umane.
Il popolo etrusco mutua dalla civiltà greca anche l’alfabeto, poi riadattato con canoni propri: questa affinità guida gli studiosi nel complesso percorso di decifrazione dei testi rinvenuti nel corso degli scavi. Il focus Scrivere il proprio nome approfondisce l’argomento della lingua e della scrittura di questo antico popolo italico grazie a materiali della collezione permanente del museo.

Il busto femminile e, più in generale, la rappresentazione di dei e semidei fa da trait d’union con la sezione adiacente, Devozione d’argilla, in cui i curatori presentano una serie di reperti provenienti dalle aree sacre. Sono qui infatti accostati una serie di opere in terracotta quali la riproduzione di un bambino in fasce, teste votive e i frammenti del frontone dell’edicola di Ponte Rotto (metà III sec. a.C.), riportata alla luce nel 1879, nell’ambito della campagna di scavo promossa dal principe Alessandro Torlonia. Fregi e sculture del frontone dell’edicola di Ponte Rotto sono giunti in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze e, appositamente per la mostra Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi, sono stai ricomposti a offrire al pubblico uno splendido esempio dell’eleganza della produzione etrusca.
Eleganza che si ritrova negli oggetti esposti nella sezione Bronzi per la guerra, bronzi per la pace. Oggetti destinati agli usi più disparati ma tutti parimenti manifestazione dell’elevata maestria raggiunta dai fabbri etruschi, sia – riprendendo il titolo – destinati a uso bellico come la visiera per elmo, forgiata a riprodurre in dimensioni reali le fattezze di un volto maschile (metà V sec. a.C.), sia da impiegare nell’ambito di rituali sacri come la paletta per incenso con iscrizione di dedica al dio Selvans (secondo quarto V sec. a.C.). Le teche custodiscono anche numerosi attrezzi di uso quotidiano per quando, data la loro fattura, prerogativa delle classi più abbienti quali lo specchio decorato con i ritratti di Eos e Kephalos (inizio V sec. a.C. – 490/480 a.C.), il tripode che poggia su zampe leonine (ultimo quarto VI sec. a.C.) o i due thymiaterion per bruciare l’incenso (metà IV sec. a.C. e inizio V sec. a.C. – 500 a.C. circa) ingentiliti da figure animali e umane.

L’evoluzione della tecnica e dello stile dell’artigianato vulcente è argomento approfondito da due ulteriori sezioni: Da Atene a Vulci: immagini in viaggio e Artigiani immigrati, artigiani locali. La prima propone una rassegna di ceramica attica d’importazione, del VI e del V secolo a.C., sia a figure nere, sia a figure rosse. Bisogna infatti considerare che all’epoca Vulci è un importante crocevia di scambi commerciali tra il porto di Regisvilla e le città dell’entroterra e anfore, brocche, crateri e coppe sono parte imprescindibile del corredo funebre dei membri dell’élite cittadina. È doveroso inoltre sottolineare quanto le decorazioni siano un mezzo fondamentale di divulgazione di temi, miti e costumi della cultura greca: i pezzi scelti dai curatori per la mostra offrono un ampio ventaglio di soggetti poi mutuati dalla civiltà etrusca, tra cui la sfinge presente su un lato dell’anfora della seconda metà VI sec. a.C. (540-520 a.C.) mentre sull’altro è immortalato l’incontro tra la maga Circe e Odisseo.
Michetti e Sassatelli nella seconda delle due sezioni si soffermano invece sulle persone che a Vulci transitano o decidono di fermarsi, in particolare su artigiani dalla grande esperienza nella decorazione della ceramica. Negli ultimi decenni del VII secolo a.C. a Vulci si registra infatti la presenza di due maestri formatisi nelle fiorenti scuole ceramografiche dell’Egeo sud-orientale e di Corinto: il Pittore delle Rondini e il Pittore della Sfinge Barbuta le cui opere sono diffuse in tutta l’Etruria. Il Pittore di Micali è invece esponente del gruppo di artisti locali impegnati nel mutuare tecniche, stili e soggetti delle ceramiche di importazione e nel riadattarli al gusto locale.

L’ultima sezione della mostra, Simulacri di immortalità, è dedicata a una particolare tipologia di prodotti, immancabili nei corredi funerari: urne e ossuari. I pezzi esposti, realizzati tra VIII e VII secolo a.C., includono elementi di eccezionale pregio e rarità come l’urna in bronzo con il coperchio plasmato a forma di elmo – probabilmente destinata a ospitare le ceneri di un guerriero – (ultimo quarto VIII sec. a.C.) e la coppia di mani forgiate in lega di argento, oro e rame (seconda metà VII sec. a.C. – 630/600 a.C.), parti di una statua polimaterica, rinvenuta nella tomba di un personaggio di rango principesco, intesa a mantenerne l’identità corporea perduta e, così facendo, consentendogli di raggiungere una dimensione eroica d’immortalità.
Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi restituisce un prezioso spaccato della dimensione multiculturale della città, consentendo alla mostra di conquistare i visitatori di tutte le età con manufatti di alto pregio. Manufatti cui si accostano, quasi mimetizzandosi tra essi, le opere di Giuseppe Penone, artista nostro contemporaneo, esponente della corrente dell’Arte Povera.

Silvana Costa

La mostra continua:
Fondazione Luigi Rovati
Museo d’Arte – Piano ipogeo
corso Venezia, 52 – Milano
fino a domenica 4 agosto 2024
orario: mercoledì – domenica ore 10-20
ultimo ingresso ore 19
chiuso lunedì e martedì
www.fondazioneluigirovati.org

Vulci
Produrre per gli uomini

Produrre per gli dèi
con suggestioni e opere di Giuseppe Penone
a cura di Laura Maria Michetti, Giuseppe Sassatelli
 
Catalogo:
Vulci
Produrre per gli uomini

Produrre per gli dèi
con testi di Giuseppe Sassatelli, Mario Abis, Alessandro Conti, Sara De Angelis, Carlo Regoli, Chiara Pizzirani, Maurizio Sannibale, Laura Maria Michetti, Christian Mazet, Simona Carosi, Maurizio Forte, Carlo Casi, Giuseppe Penone e Giuliano Sergio
Fondazione Luigi Rovati, 2024
20×26 cm, 288 pagine, oltre 200 immagini a colori
prezzo 40,00 Euro