Rise and fall of apartheid

È in mostra, al PAC di Milano, la prima e la più completa raccolta di immagini sulla storia dell’Apartheid in Sudafrica frutto del lavoro di oltre 70 tra fotografi, artisti e registi.Sino a metà settembre, al PAC di Milano, è visitabile la mostra dedicata all’Apartheid: l’occasione è preziosa per approfondire una porzione di storia recente, ripercorrendone le tappe fondamentali e riflettendo sul potere di coinvolgimento emotivo delle icone attraverso cui si esprimeva. Questa rassegna critica, ideata dall’International Center of Photography di New York e curata da Okwui Enwezor, offre una ricchissima selezione di materiali d’archivio: dai filmati di propaganda Afrikaner alle vecchie guide sulle tribù locali, dai reportage sulle violente rivendicazioni per i diritti delle persone di colore all’opposizione della comunità bianca, includendo una panoramica sulla vita culturale e mondana sudafricana. Non si tratta dunque di una delle tante iniziative inutili che vengono propinate al pubblico che resta in città nei mesi più caldi dell’anno: la visita si rivela un’esperienza ben più impegnativa di quanto preventivato, sia a livello intellettuale sia emotivo.
Il filo rosso che unisce oltre sessant’anni di racconto, ça va sans dire, è incarnato dalla figura carismatica di Nelson Mandela, immortalato nel corso del tempo come fiero rappresentante della popolazione di colore, vittima simbolica di un sistema iniquo o rappresentante agli occhi del mondo del nuovo corso politico della Repubblica Sudafricana. Trovano ampio spazio in mostra anche gli altri leader della lotta contro il sistema, i loro antagonisti e, soprattutto, un popolo intero, diviso in due fazioni opposte che giocano un ruolo cruciale offrendo supporto ai propri rappresentanti.
Nella prima sala sono esposte le pietre miliari di un percorso che ha portato dapprima alla separazione – questa la traduzione di Apartheid dalla sua radice olandese – tra le etnie, alla soppressione dei diritti civili, sino al progressivo smantellamento dell’apparato delle leggi razziali al volgere del nuovo millennio. La narrazione parte da lontano, dal Grande Trek, la migrazione collettiva intrapresa dai Boeri – i contadini discendenti dai coloni olandesi – verso est e nord-est, negli anni 30 del XIX secolo, in fuga dai britannici che si stanno progressivamente impadronendo dei territori. Due schermi restituiscono scene di Die Bou van ‘n Nasie (1938), la pellicola che celebra la storia del Sudafrica, dal 1652 – quando Johan van Riebeeck sbarca sul sito della futura Città del Capo – sino al 1910; pellicola da molti paragonata a Birth of a Nation (1915), il film muto diretto da David Wark Griffith che, oltre a narrare l’epopea statunitense, sostiene apertamente la tesi secondo la quale i neri non avrebbero dovuto essere integrati nella società. Altri due filmati d’epoca marcano i momenti cruciali del processo della segregazione razziale: il primo, girato il 26 maggio 1948, a Pretoria, dedicato alle manifestazioni di gioia dei sostenitori del National Party (NP) per la vittoria di Malan alle elezioni. Per la cronaca, nel 1951, Malan promulgherà il Bantu Self-Government Act, privando di fatto della cittadinanza le popolazioni di colore (neri ma anche meticci e asiatici), facendole afferire ai nuovi stati fittizi denominati bantustan e trasformando il Sudafrica in uno Stato a maggioranza bianca. A pochi decimetri di distanza è proiettato il discorso di apertura del Parlamento pronunciato dall’allora Presidente, Willem de Klerk, il 2 febbraio 1990, durante il quale annunciava il rilascio dei prigionieri politici, ponendo di fatto le premesse per la caduta dell’Apatheid. L’allestimento della sala si completa con il confronto fotografico tra la società bianca – che cerca di mantenere i canoni dell’eleganza in vigore nell’Europa postbellica – con i nativi di colore, a lungo oggetto di studi etnografici. Gli stravolgimenti politici funzionano da spartiacque e, dopo il famigerato 1948, autori quali la mitica Margaret Bourke-White, con il suo reportage per Life, o Leon Levson, trasformano la propria macchina fotografica in strumento politico di denuncia di soprusi e violenze, restituendoci istantanee desolanti quanto quelle scattate solo pochi anni prima dalla reporter statunitense nei campi di concentramento tedeschi. Intervallate agli episodi cruenti, troppo spesso conclusisi con funerali popolari o sepolture in fosse comuni, sono appese istantanee di quotidianità illuminate dai volti delle icone del mondo dello spettacolo e della mondanità.
Nella mostra, scorrono sotto gli occhi dei visitatori i lavori di quasi 70 tra fotografi, artisti e registi che ci dimostrano l’importanza dell’immagine – dal saggio fotografico al reportage, dall’analisi sociale al fotogiornalismo e, non ultima, l’arte – nell’evocare il ricordo per vicende recenti, la cui eco giunse nelle case di ciascuno di noi grazie al crescente potere dei media. L’iconografia proposta dal NP sul potere della razza bianca viene, tanto semplicemente quanto efficacemente, contrapposta dai curatori della mostra alle numerose fotografie catturate nelle piazze, durante le manifestazioni popolari in cui cittadini di ogni età, sesso (notevole il coinvolgimento femminile), colore, fede e ceto sociale reclamano a gran voce l’abolizione dell’Apatheid. Analogamente, in esposizione, le immagini dell’inizio degli anni 90, quando si svolsero diverse proteste per ostacolare i tentativi di de Klerk di restituire i diritti civili alle persone di colore: il clima di tensione e coinvolgimento è perfettamente sintetizzato dalle tenere vecchine con i capelli bianchi che ricordano come anche la Bibbia contempli il ricorso alla segregazione.
Oltre al lavoro dei membri del Drum Magazine, negli anni 50, dell’Afrapix Collective, degli anni 80, e ai reportage del cosiddetto Bang Bang Club, sono in mostra gli eccezionali lavori in bianco e nero di autori sudafricani quali Eli Weinberg, David Goldblatt, Peter Magubane, Alf Khumalo, Jurgen Schadeberg, Sam Nzima, Ernest Cole, George Hallet, Omar Badsha, Gideon Mendel, Paul Weinberg, Kevin Carter, Joao Silva e Greg Marinovich, incluse le nuove generazioni, rappresentate da Sabelo Mlangeni e Thabiso Sekgale. Non meno importanti risultano i contributi di pittori, grafici o video-artisti quali Adrian Piper, Sue Williamson, Jo Ractliffe, Jane Alexander, Santu Mofokeng, Guy Tillim e Hans Haackeche, che hanno messo il proprio talento al servizio della causa e sono stati spesso coinvolti nelle campagne dell’Unhcr.
L’allestimento al PAC di Milano scandisce la sequenza temporale, dagli anni 50 a oggi, offrendo al pubblico stampe di alta qualità; ogni decennio è introdotto dalla cronologia degli eventi più significativi che aiuta a sopperire alla laconicità delle didascalie redatte in sola lingua inglese. Un’ampia sezione è dedicata a mostrare cosa sia il Sudafrica oggi e quanto siano cambiati gli stili di vita delle popolazione di colore: forse l’apparenza di una povertà ancora troppo diffusa, soprattutto nei sobborghi rurali, può trarre in inganno ma, se ci soffermiamo a osservare lo sguardo fiducioso delle nuove generazioni, percepiamo quanto grande sia il divario rispetto a soli due decenni fa. La mostra è accompagnata dalla versione originale del catalogo in inglese, con saggi di Okwui Enwezor e Rory Bester (co-curatore dell’edizione newyorchese dell’esposizione) nonché di altri illustri studiosi della materia, tra i quali Darren Newbury, Achille Mbembe, Patricia Hayes, Collin Richards, Khwezi Gule e Michael Godby.

Silvana Costa

La mostra continua:
PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea
via Palestro 14 – Milano
orari martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 09.30 – 19.30
giovedì 09.30 – 22.30
lunedì chiuso
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
fino a domenica 15 settembre 2013
www.comune.milano.it/pac

Rise and fall of apartheid
Photography and the bureaucracy of everyday life
a cura di Okwui Enwezor
ideata da ICP – International Center of Photography, New York
promossa e prodotta da Comune di Milano – Cultura , PAC e CIVITA
con il sostegno di NEA National Endowment for the Arts

Catalogo:
Rise and Fall of Apartheid: Photography and the Bureaucracy of Everyday Life Exhibition a a cura di Okwui Enwezor and Rory Bester
prefazione di Mark Robbins and Okwui Enwezor
testi di Rory Bester, Okwui Enwezor, Michael Godby, Khwezi Gule, Patricia Hayes, Achille Mbembe, Darren Newbury, Colin Richards and Andries Walter Oliphant
Prestel edizioni
versione originale in inglese
24×28 cm, 496 pagine, 450 illustraioni a colori
prezzo 69,00 Euro

Laboratori gratuiti per bambini e ragazzi:
Né bianca né nera
domenica 28 luglio e 8 settembre ore 15.00

La pelle che vorrei
domenica 1 e 15 settembre ore 15.00
prenotazione on-line www.comune.milano.it/pac

Eventi collaterali:
Poesia e resistenza nel Sudafrica dell’Apartheid
Percorso tematico e live perfomance in mostra
Itala Vivan, professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano che ha osservato e studiato l’Apartheid, percorrerà la mostra al PAC commentandola attraverso i testi della grande poesia della resistenza. Gli attori Alessandro Balducci, Maria Matarrese, Emiliana Perina daranno voce ai maggiori poeti e scrittori sudafricani degli anni dell’apartheid (1948-94)
lunedì 9 settembre ore 19.00
prenotazione non necessaria