Sino a febbraio sono in mostra a Milano oltre 120 opere, divise in otto sezioni, ciascuna delle quali dedicata a un aspetto dell’arte di Segantini. Da importanti musei e collezioni private, europee e statunitensi, sono giunti per l’occasione numerosi capolavori dell’artista mai esposti in Italia.
Tra le tante polemiche sollevate in occasione delle inaugurazioni settembrine a Palazzo Reale annotiamo anche quella secondo cui, con l’approssimarsi dell’Expo, la città avrebbe forse dovuto lasciare spazio ai pittori meneghini invece che ai personaggi di Marc Chagall fluttuanti nel cielo (leggi la recensione) o ai paesaggi montani di Giovanni Segantini.
In realtà, Segantini, nato nel Trentino ancora irredento e morto sul ghiacciaio svizzero dello Schafberg al tramonto del XVIII secolo, è un protagonista indiscusso della vita artistica milanese, sia in virtù della formazione all’Accademia di Belle Arti di Brera sia dei lunghi soggiorni in città. Milano rappresenta per Segantini il luogo della formazione e dell’approfondimento culturale, dove l’artista nutre l’animo e la mente grazie al confronto con letterati, pittori ed intellettuali. La zona di Brera, estesa sino ai Navigli presso San Marco, diviene il soggetto di tante opere mentre l’ardito scorcio prospettico di uno dei massimi capolavori custoditi alla Pinacoteca di Brera, il Cristo morto di Andrea Mantegna, ispira Segantini, ormai in là negli anni, per la composizione dell’autoritratto in veste de L’eroe morto (1892-94).
Possiamo cogliere un ultimo – e forse più profetico – legame tra questo artista e le vicende della città meneghina, che a breve ospiterà Expo 2015, nella sorte del grande progetto di Panorama, una serie di sette dipinti di grandi dimensioni corredati da lunette e medaglioni, dedicati all’Engandina e destinati a promuovere la regione svizzera all’Esposizione Universale parigina del 1900. L’opera, a causa della defezione di molti finanziatori è più volte ridimensionata nella sua complessità, sino a ridursi ad un trittico: La Vita, La Natura e La Morte. La serie è presente in mostra tramite un interessante video descrittivo – alle tele, della dimensione di 12 x 5 m ciascuna, non è mai stato concesso di lasciare la Svizzera – e i disegni preparatori, tra cui La valanga (1899) in cui il corpo nudo e muscoloso del protagonista, in procinto di essere travolto dalla forza della massa nevosa, ricorda quelli dei giganti, vittime dell’ira divina, dipinti da Giulio Romano a Mantova, a Palazzo Te. Nonostante la partecipazione all’Expo sia stata accantonata, Segantini muore nel 1899 per un violento attacco di peritonite sopraggiunto mentre lavora alla parte centrale del trittico che, ostinatamente, vuole portare a termine, anche a costo di accantonare altri progetti.
Dopo mille peripezie giovanili, nel 1875 Segantini si iscrive all’Accademia di Brera e qui fa amicizia con Gaetano Previati, Emilio Longoni e Angelo Morbelli; tra i compagni di studi si contano Cesare Tallone, Ernesto Bazzaro, Leonardo Bistolfi, Attilio Pusterla, Emilio Quadrelli, Giovanni Sottocornola. La mostra allestita a Palazzo Reale dedica agli anni della formazione la sezione Gli esordi ove presenta Il coro di Sant’Antonio Abate in Milano con cui Segantini vince, nel 1879, l’esposizione annuale di Brera; l’opera, subito acquistata dalla Società per le Belle Arti per 500 lire, attira l’attenzione di pubblico e galleristi, tra cui Vittore Grubicy che, intuendone il talento, si offre di finanziare il giovane in cambio del controllo esclusivo della sua produzione artistica. Per cogliere appieno la maestosità dell’architettura, Segantini ne Il coro di Sant’Antonio adotta un’inquadratura desueta che ha come punto di fuga l’angolo del coro, stravolgendo la consuetudine classica di porre il visitatore al centro della navata principale; questa grande tela colpisce anche per un sapiente uso della luce, finalizzato a scolpire gli spazi e far risaltare la matericità degli elementi: è questa una tecnica di derivazione fotografica, appresa negli anni in cui, a Borgo Valsugana, aiuta il fratello alla bottega fotografica. Nella stessa sezione troviamo anche una serie di vedute della zona di San Marco – dove l’artista ha lo studio – accomunate da una continua ricerca stilistica che lo potesse portare alla definizione di una personale cifra espressiva. In questo percorso rientra anche il Ritratto della signora Torelli (1885-86) – esposto per la prima volta in Italia in occasione di questa mostra – protagonista della sezione dedicata alla ritrattistica, genere eseguito da Segantini con maestria, inizialmente inserendosi nel solco tracciato dagli scapigliati. Nella sala lunga e stretta, sui due lati corti, si fronteggiano la signora Torelli e Costume grigionese (ritratto di Barbara Huffer) (1887), due opere estremamente luminose nella scelta cromatica, realizzate a breve distanza l’una dall’altra ma estremamente distanti tra loro a livello stilistico e concettuale. Con il primo dipinto l’artista chiude con le tecniche degli esordi: la messa a fuoco fotografica, la palpabilità dei tessuti che svolazzano in un pomeriggio di sole in città, la composizione elegante dell’inquadratura e della posa della protagonista. Baba, la tata dei figli, è invece scelta da Segantini a rappresentare la donna grigionese, immortalata – con sapiente sfoggio della tecnica divisionista – nell’atto spontaneo di bere dalla fontana con, alle spalle, l’imponente panorama montano che chiude l’orizzonte e protegge la valle in un rassicurante abbraccio.
Nel 1881 Segantini si trasferisce in Brianza e qui sembra riscoprire con entusiasmo la natura – madre e matrigna – che ne aveva segnato l’infanzia; emblematica di questo periodo è Alla stanga (1886) una tela di imponenti dimensioni con cui l’artista riceve importanti riconoscimenti internazionali e l’onore di vedere l’opera acquistata dal neonato Governo italiano per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. In questo quadro ci sono molti elementi che ritroveremo in tutta la produzione seguente: il paesaggio è l’unico protagonista della composizione mentre uomini e animali, trattati alla stessa stregua, altro non sono che le comparse – talvolta ritratte di spalle a sottolinearne ulteriormente la mera funzione decorativa – messe attentamente in posa sul palcoscenico della vita. Ne La raccolta delle zucche (1883-84) Segantini rappresenta l’immutabile ciclicità della vita contadina, qui riprodotta nel momento del raccolto dei frutti della terra, che si scontra con il progresso tecnologico impersonato dal treno che sfreccia sullo sfondo. Delicata ed emozionante la coppia di piccoli disegni, speculari tra loro, datati fine anni ’80, intitolati entrambi Il reddito del pastore, focalizzati sul rapporto simbiotico che si crea tra l’uomo e l’animale che, con una rassegnazione ondeggiante tra la fiducia nel pastore e lo spirito di sacrificio, si accoccola per farsi tosare. In una lettera a Pelizza da Volpedo, Segantini esprime l’ammirazione per le forme armoniche ed eleganti delle pecore, che, appunto, ama dipingere prive del vello al fine di metterne in evidenza l’armonia delle parti. Ammonisce però il collega: «non so di che razza siano quelle che adoperi tu: io non amo le pecore bastarde, perché le parti sono sempre discordanti».
Il disegno è una componente fondamentale della produzione di Segantini: in mostra sono presenti numerose tele cui sono accostate le versioni a carboncino eseguite negli anni seguenti, su cui l’artista riflette ed elabora cambiamenti di messe a fuoco, prospettive, luce, formato, spesso trasfigurando il senso originario della rappresentazione, caricandolo di valenze simboliste. Talvolta si tratta di copie, eseguite a memoria o basandosi su fotografie, destinate a colmare vuoti lasciati da quadri già venduti o a essere esposte, in sostituzione dell’originale, ad una delle tante mostre cui l’artista è invitato.
Un’intera stanza, seppur piccola come una cappella per la preghiera domestica, è interamente dedicata all’Ave Maria a trasbordo (1886), una stupenda Sacra Famiglia in versione contadina lombarda: qui le curatrici accostano alla tela ad olio i tanti studi eseguiti per valutare possibili variazioni che caricassero la scena di pathos.
Nel 1886 Segantini si trasferisce a Savognino, nei Grigioni; qui lo raggiunge Grubicy, suo mercante-mecenate, per indurlo a sperimentare una nuova tecnica pittorica: il divisionismo. In mostra non poteva dunque mancare Le due madri (1889), il dipinto considerato il manifesto del divisionismo italiano, esposto nel 1891 alla prima Triennale di Brera che vide la nascita ufficiale del movimento. Appropriandoci degli strumenti della psicoanalisi – branca della scienza che conquista il riconoscimento ufficiale di prassi terapeutica proprio in quegli anni – potremmo osservare come la tematica della maternità sembri avere il potere di addolcire in Segantini l’usuale rappresentazione panteistica dei cicli della vita e delle stagioni, probabilmente in virtù del tenero ricordo della madre morta quando lui era ancora bambino. Senza porre differenze tra le specie degli esseri viventi, la contadina, la mucca o la pecora nella quotidianità sono compartecipi del freddo – e della tristezza – che si abbatte sull’altopiano e, la sera, si rifugiano insieme nella stalla, in cerca di calore per sé ed i propri piccoli. Nelle tele esposte nell’ultima sala, le riflessioni sulla maternità scivolano nel simbolismo: Segantini introduce la figura de L’angelo della vita (varie versioni datate tra il 1894 e il 1896) cui associa uno stile pittorico più raffinato di quello utilizzato per rappresentare la vita sulle Alpi. Queste tele, illuminate dai bagliori dell’oro, ondeggiano tra la drammaticità dell’ultimo periodo Preraffaellita e la raffinatezza dell’Art Nouveau i cui influssi gli giungevano dall’Austria insieme alle opere di Nietzsche e Freud.
La mostra, curata da Annie-Paule Quinsac e da Diana Segantini – pronipote dell’artista e già curatrice dell’esposizione tenutasi alla Fondazione Beyeler nel 2011 – offre la possibilità di approfondire lo studio di un pittore spesso liquidato troppo frettolosamente, scoprendone la raffinata eleganza e l’alto spessore culturale. Una sezione dell’esposizione milanese è dedicata alla produzione di immagini ispirate a letteratura e musica; Segantini non è un illustratore in senso stretto ma dalla sua frequentazione con autori e musicisti sono nate copertine di libri e tavole destinate ad arricchire preziosi volumi come la Bibbia di Amsterdam (stampata nel 1895). Anche la sezione Il vero ripensato: la natura morta costituisce un ulteriore, interessante, tassello nel complesso percorso alla scoperta di questo poliedrico artista ondeggiante tra la pittura dal vero e il simbolismo. I pannelli decorativi (1979-80) con frutta e con fiori disposti con naturalezza sono privi delle implicazioni allegoriche care agli autori fiamminghi così come Cesto di frutta (1881), spogliato dei drammatici riferimenti alla caducità della vita, altro non vuole essere che un semplice omaggio a Caravaggio.
Silvana Costa
La mostra continua a:
Palazzo Reale
piazza Duomo, 12 – Milano
fino a domenica 18 gennaio 2015
orari lunedì 14.30-19.30; martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30-19.30;
giovedì e sabato 9.30-22.30
il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura
www.comune.milano.it/palazzoreale
Segantini
a cura di Annie-Paule Quinsac, Diana Segantini
comitato scientifico Pietro Bellasi, Guido Magnaguagno, Maria Vittoria Marini Clarelli, Ragnhild Segantini, Beat Stutzer
direzione Nicolò Sponzilli
ricerche storico-archivistiche Donatella Tronelli
progetto espositivo Corrado Anselmi
con Andrea Damiano
progetto di illuminazione Studio Balestreri Lighting Design – Barbara Balestreri
con Lisa Marchesi e Lorenza Bressan
progetto grafico, mostra e campagna adv Bruno Stucchi – Dinamomilano
con Francesca Forquet, Sara Murrone, Giulia Capotorto e Riccardo Stucchi
visite guidate Ad Artem
prodotta da Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Skira editore
in collaborazione con Fondazione Antonio Mazzotta
www.mostrasegantini.it
Catalogo:
Segantini. Ritorno a Milano
a cura di Annie-Paule Quinsac, Diana Segantini
con testi di Annie Paule Quinsac, Diana Segantini, Pietro Bellasi, Dora Lardelli, Guido Magnaguagno, Beat Stutzer e Luigi Zanzi
le schede tecniche, bibliografiche ed espositive delle opere a cura di Annie-Paul Quinsac e Donatella Tronelli
Skira/Mazzotta, 2014
312 pagine, 261 colori, 28 x 24 cm, cartonato
www.skira.net