Luca Carrà, Mario Cresci, Paola Di Bello, Mario Dondero, Carlo Orsi, Giovanni Ricci, Annalisa Sonzogni sono i fotografi autori del primo grande progetto di documentazione della Pinacoteca di Brera del nuovo millennio.
Sette fotografi sono stati chiamati a immortalare la Pinacoteca di Brera, scegliendo liberamente su quali aspetti del grande complesso museale focalizzare la propria attenzione. Il frutto di questa campagna – circa una decina di immagini per ogni autore – è esposto sino a inizio novembre nelle stesse sale che vediamo ritratte, creando un divertente gioco di rimandi tra la realtà e la sua rappresentazione. Si tratta di un progetto sospeso tra il reportage e l’arte ambientale, che rivendica il diritto di proporsi al pubblico come forma di espressione autonoma, seppur derivata da quella stessa pittura di cui si diverte a contaminarne i linguaggi.
Risale al 1903 la prima campagna fotografica del museo commissionata dall’allora Sovrintendente Ricci – che già nel 1899 aveva fondato la fototeca braidense – per immortalare la fine dei lavori che hanno ampliato lo spazio espositivo all’intero piano dell’edificio, creando un percorso di visita ad anello, attraverso le sale che raggruppano le opere per epoche e scuole di afferenza. Da allora le più importanti documentazioni fotografiche della Pinacoteca sono legate agli avvenimenti tragici della sua storia: lo svuotamento delle sale per mettere al riparo dalla possibile distruzione i capolavori, i bombardamenti durante i conflitti mondiali e le successive ricostruzioni. Sette fotografi a Brera rappresenta una tappa importante per la Sovrintendenza poiché, escludendo i servizi di architettura realizzati in occasione del riallestimento di alcuni gruppi di sale, le ultime campagne significative del complesso risalgono agli anni ’50. Nel box dei restauratori è esposta la prima immagine a colori del museo, datata intorno al 1890, opera di Angelo Ripamonti: all’epoca lo spazio espositivo è limitato ai soli saloni napoleonici allestiti da Andrea Appiani seguendo i dettami che vogliono i quadri appesi fitti, uno di fianco all’altro, coprendo la parete sino al soffitto, a guisa di tappezzeria. Ecco allora che la mostra diventa anche uno spunto di riflessione sull’immagine del museo, un punto di vista privilegiato per analizzare quanto, in oltre un secolo, siano cambiati non solo i precetti allestitivi ma, soprattutto, la tipologia di pubblico, trasformando la Pinacoteca da luogo frequentato dalle élite sociali a centro pulsante della vita urbana grazie al ricco ventaglio di iniziative organizzate. Tra queste non dimentichiamo Brera, città aperta! (leggi la recensione) un ciclo di conversazioni sui temi della cultura in senso lato e sulle specifiche esigenze delle realtà museali in particolare che, con cadenza mensile, coinvolgerà il pubblico sino a maggio del prossimo anno.
Seguendo il normale percorso di visita, ci imbattiamo per primi nei dittici e nei trittici di Annalisa Sonzogni, una giovane pittrice e fotografa da anni trapiantata a Londra. Synopticon è un viaggio notturno nella Pinacoteca, quando le sale sono chiuse al pubblico e l’unica fonte di luce disponibile è rappresentata dalle lampade di sicurezza: queste particolari condizioni di luce trasfigurano lo spazio, spegnendo i colori dei quadri e definendo marcatamente la forma dello spazio attraverso il candore spettrale delle pareti. Si tratta di un lavoro molto suggestivo, esaltato dalle grandi dimensioni delle stampe ma penalizzato dall’allestimento concepito da Alessandra Quarto che, nel ricreare uno spaccato di interno per ospitare le opere, dà invece vita ad un angusto corridoio in cui non è possibile indietreggiare a sufficienza per cogliere la composizione nel suo complesso. L’allestimento è un po’ la pecca di questa mostra poiché, anche proseguendo nella visita, notiamo come l’architetto non riesca a trovare mai il giusto rapporto tra le proporzioni dei pannelli espositivi e la distanza dai dipinti appesi alle pareti, rendendone a tratti difficoltosa la visione.
Luca Carrà, noto al grande pubblico principalmente per il lavoro di ritrattista, presenta Mesopie, una serie di foto sottoesposte delle statue che popolano il cortile d’onore. Le stampe, ad un primo sguardo, si presentano come banali rettangoli neri che si stagliano sullo sfondo bianco ma, avvicinandosi e lasciando che la pupilla lentamente si adatti, prendono forma i tratti di Cagnola, Grossi, Cavalieri e degli altri milanesi illustri che ci scrutano severi dai loro piedistalli ogni volta che facciamo il nostro ingresso nel palazzo.
Guardando ci conduce attraverso le sale della Pinacoteca, additandoci le tracce superstiti dei diversi interventi di allestimento che si sono succeduti nel tempo ed indagando il rapporto dialettico tra lo spazio che racchiude l’opera e l’opera d’arte stessa. Giovanni Ricci alterna sapientemente l’uso del colore e del bianco e nero, destinando quest’ultima tecnica alle sole immagini in cui ci sono presenze umane.
Mario Dondero, durante la visita guidata per la stampa, racconta come inizialmente avesse pensato di incentrare il proprio lavoro sugli animali presenti nelle tele esposte, salvo poi restare affascinato dal lavoro certosino dei restauratori. Nasce così Brera al quotidiano. Il lavoro che non si vede e il pubblico, un omaggio a chi quotidianamente si applica per far funzionare la grande macchina del museo, davanti e dietro le quinte, sia salvaguardandone il patrimonio artistico che guidando i visitatori attraverso le sale, le epoche e gli stili.
La Sala XXIV – quella che racchiude capolavori quali lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, Cristo alla colonna di Bramante e Vergine con il Bambino e Santi di Piero della Francesca – ospita, in occasione della mostra, la proiezione delle diapositive della serie Framing Brera realizzate da Paola Di Bello. È interessante rilevare come la fotografa, invitando i visitatori a posare per lei sul set allestito all’interno della Pinacoteca, li abbia trasformati loro malgrado da meri spettatori a protagonisti attivi di una forma d’arte.
Mario Cresci sceglie i soggetti dei suoi ritratti tra i personaggi che fanno capolino dai quadri esposti nel museo, privilegiando i volti di chi, nobile o plebeo, santo o peccatore, lo fissa con fare interlocutorio dalla tela. Per conferire uniformità alla serie, Cresci isola i personaggi scelti, adotta un filtro azzurro e sovrappone al viso una lettera della parola Equivalents, titolo del lavoro ma, soprattutto, riferimento esplicito all’omonima serie concettuale realizzata da Alfred Stieglitz tra il 1925 e il 1934.
Carlo Orsi preferisce realizzare un reportage, trascorrendo Sette giorni a Brera con l’obiettivo di cogliere il rapporto intimo che si instaura tra lo spettatore e certe opere, realizzando immagini toccanti come il nonno che spiega alla nipotina La predica di San Marco ad Alessandria di Gentile e Giovanni Bellini o l’uomo che saluta col pugno chiuso davanti al Quarto Stato di Pelizza da Volpedo.
La mostra continua:
Pinacoteca di Brera
via Brera, 28 (accesso disabili da via Fiori Oscuri, 2) – Milano
fino a domenica 2 novembre 2014
orario martedì – domenica 8.30 – 19.15; chiuso lunedì
la biglietteria chiude alle 18.40
www.brera.beniculturali.it
Sette fotografi a Brera
Luca Carrà, Mario Cresci, Paola Di Bello, Mario Dondero, Carlo Orsi, Giovanni Ricci, Annalisa Sonzogni
a cura di Sandrina Bandera, Cecilia Ghibaudi e Giorgio Zanchetti
con la collaborazione di Giuseppina Bani per la ricerca iconografica
allestimento Alessandra Quarto
Catalogo
Sette fotografi a Brera
a cura di Sandrina Bandera, Cecilia Ghibaudi e Giorgio Zanchetti
Skira, 2014
160 pagine; illustrazioni B/N e a colori
prezzo 29,00 Euro
www.skira.net