La trasposizione teatrale di un racconto di Raymond Carver è il primo tassello della serie ideata da Francesco Leschiera, Manuel Renga ed Ettore Distasio dedicata ai cantori del Sogno americano.
Raymond Carver muore nel 1988 ad appena cinquant’anni. Narratore, poeta e saggista americano è consegnato alla gloria e tutt’oggi amato dai lettori per la straordinaria capacità di raccontare la faccia in ombra dell’american dream, di quelle persone che stanno alla base della piramide sociale, di coloro che annegano nell’alcool l’incapacità di mantenere un lavoro e di creare un nucleo famigliare solido. Carver descrive con toni delicati, a tratti innervati di humor, la forza che questi ideali figli dei protagonisti di Furore (1939) coltivano nell’animo e manifestano senza timore alcuno poiché non hanno null’altro da perdere se non la propria dignità.
Un’empatia che, a differenza di quanto accade con John Steinbeck, non sfocia nell’epica quanto nell’autobiografia. Raymond Carver è infatti stato per molti anni un esponente di quel mondo che puzza di whiskey di sottomarca e sudore prima di trovare la tranquillità economica e sentimentale. Un benessere di cui la sorte gli consente di godere per troppo poco tempo. Nel 1988, alla vigilia della morte, Carver pubblica Da dove sto chiamando. Racconti, una selezione di 37 storie che offrono un’esaustiva panoramica della suo lavoro. A questa raccolta Francesco Leschiera, Manuel Renga ed Ettore Distasio hanno attinto scegliendo Con tutta quell’acqua a due passi da casa – racconto originariamente inserito in Di cosa parliamo quando parliamo d’amore (1981) – come primo capitolo del progetto Sogno americano, un viaggio attraverso i capisaldi della letteratura contemporanea USA.
Il testo, affidato alla sapiente penna di Giulia Lombezzi per la drammaturgia, è in questi giorni in scena in prima assoluta al Teatro Libero di Milano. Ci sembra doveroso sottolineare il contributo di Antonello Antinolfi per le scelte musicali che predispongono il pubblico al giusto mood per assistere allo spettacolo. In realtà, la scena d apertura, con le luci soffuse e gli attori che offrono al pubblico solo la componente fisica del proprio talento interpretativo, assecondando il ritmo melanconico della musica, è uno straordinario distillato di poesia e struggimento che quasi vorremmo non terminasse.
Una collega sostiene che l’allestimento di una mostra o la scenografia di uno spettacolo è un acceso argomento di discussione per gli architetti – deformazione professionale dice lei – ma elemento di nessuna importanza per chi architetto non è. Riteniamo abbia ragione nel senso che probabilmente non sarà elemento di discussione ma se prendiamo come esempio Ray ci rendiamo conto del valore strategico dei materiali in scena. I mobili in formica della cucina, ricreata nella porzione di sinistra del palcoscenico, con la bottiglia di latte sul tavolo apparecchiato, bastano da soli a evocare senza esitazione alcuna la versione povera e infelice di casa Cunningham, negli States degli anni Cinquanta.
Lì, tra l’intimità delle mura domestiche, Claire si oppone alla spietata indifferenza del marito alla sofferenza altrui. È solo sua infatti la decisione di uscire dal torpore di un ménage famigliare che non la soddisfa moralmente, interrogandosi sul valore che vuol dare alla vita e su quali azioni compiere per caricarla di significato. La modesta estrazione sociale e il mantenimento della quiete domestica non sono infatti motivi sufficienti per rinunciare alla condizione umana, limitandosi come Stuart – e le bestie – a soddisfare i meri bisogni primari di mangiare, bere e far sesso, trascinandosi stancamente da un giorno all’altro.
A parere di Ray Carver, la passiva accettazione di quanto il destino sembra offrire è il peggior peccato che un essere umano possa commettere, soprattutto contro sé stesso.
Nella porzione di destra del palcoscenico Mauro Negri, calato nei panni di Carver, commenta l’azione in corso al suo fianco, portando quale esempio per esortare Claire la tenacia con cui, per tutta la vita, ha lottato – nonostante le immancabili ricadute – per costruirsi un destino differente da quello cui per nascita sembrava averlo condannato. Egli, solidale con la donna, quando scopre l’inesorabile avanzare della malattia dimostra una straordinaria coerenza optando per aumentare i ritmi di lavoro al fine di completare i racconti e le poesie abbozzate invece di abbandonarsi allo sconforto e al compatimento del mondo intero.
Un corpus letterario che, come nel caso di Claire e Stuart, non racconta avventure eclatanti ma descrive piccoli gesti di ribellione che, come l’acqua che lentamente scava la roccia, portano il protagonista alla consapevolezza di sé e poi, per logica conseguenza, verso una vita migliore. Brava Ilaria Marchianò a restituire sulla scena la complessità del percorso interiore compiuto da Claire e sorprendente Ettore Distasio che in questa occasione spegne la vitalità che sa infondere nei personaggi per vestire l’apatica monotonia esistenziale di Stuart.
Le due parti che compongono questo primo capitolo del Sogno americano si fondono in un unico fluire di ricordi e azione, orchestrato con certosina passione da Francesco Leschiera, coadiuvato dall’occhio attento di Alessandro Macchi. Attendiamo ora con curiosità il secondo appuntamento in cui le carte si mischieranno tra loro per scoprire l’autore oggetto d’analisi.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Libero
via Savona, 10 – Milano
fino a domenica 7 aprile 2019
ore 21.00
www.teatrolibero.itSogno americano
Chapter1 – Ray
Con tutta quell’acqua a due passi da casa
tratto dalle opere di Raymond Carver
a cura di Francesco Leschiera, Manuel Renga ed Ettore Distasio
drammaturgia Giulia Lombezzi
regia Francesco Leschiera
con Mauro Negri, Ettore Distasio e Ilaria Marchianò
scene e costumi Paola Ghiano e Francesco Leschiera
luci Luca Lombardi
elaborazioni e scelte musicali Antonello Antinolfi
assistente alla regia Alessandro Macchi
produzione Chronos3 / Teatro del Simposio / Duchessa Rossa
http://teatrodelsimposio.wixsite.com/teatrodelsimposio