Nut, la dea del cielo, guida il pubblico attraverso i reperti più preziosi della collezione del Museo Archeologico di Milano, in uno straordinario viaggio tra i miti e i riti dell’antico Egitto.
Sabato 30 maggio ha riaperto al pubblico il Civico Museo Archeologico di Milano dopo la lunga pausa forzata dovuta alla pandemia da Covid-19. Evento nell’evento, è stata contemporaneamente inaugurata l’attesa mostra Sotto il cielo di Nut. Egitto divino, a cura di Sabrina Ceruti e Anna Provenzali, visitabile sino al 20 dicembre.
L’esposizione trae origine dalla prestigiosa collezione egizia del Museo, ospitata nelle sale del Castello Sforzesco, ma chiusa fino al 30 giugno 2021 a causa dei lavori di rinnovo dell’allestimento e delle infrastrutture. Gli oltre 150 pezzi selezionati per l’occasione – provenienti sia dalla raccolta interna sia da quelle di importanti istituzioni di Nord e Centro Italia – sono articolati in quattro sezioni: Origine degli dei e del cosmo, Forme degli dei, Comunicare con gli dei: la devozione e Diventare esseri divini.
Sabrina Ceruti e Anna Provenzali spiegano come la mostra sia nata a complemento della rassegna dedicata alcuni anni fa all’Egitto di epoca greco-romana. Questo nuovo appuntamento culturale affronta i miti elaborati nel corso dei secoli precedenti su “l’invisibile e inafferrabile natura degli dei, la cui vera immagine e il cui vero nome – ci dicono i testi – erano sconosciuti all’uomo, ma sarebbero stati noti ai defunti divenuti spiriti luminosi (akhu) e quindi dei (netjeru) loro stessi, ammessi così a vivere accanto agli dei in eterno”.
Nut per gli antichi egizi è la dea del cielo: in molte rappresentazioni il suo corpo è campito d’azzurro, costellato di stelle nella versione notturna o rifugio sicuro per il sole in quella diurna. In quest’ultima accezione appare nel dipinto che accoglie i visitatori della mostra: è probabilmente un frammento della decorazione interna della valva superiore di un sarcofago (712/525 a.C.). La dea si stende con le braccia sollevate sopra la testa a proteggere il defunto; all’altezza dei piedi è collocato il disco rosso del sole al tramonto mentre più in alto, come appena partorito dal suo ventre, il sole rigenerato del mattino. Un atto creativo che richiama alla mente L’Origine du monde (1866), il quadro del francese Gustave Courbet.
Il frammento sintetizza efficacemente l’insieme di miti cosmogonici nati in secoli e luoghi differenti sulle rive del Nilo; storie e tradizioni non percepite dai fedeli come in contraddizione tra loro, accomunate da uno schema che vede in Atum Ra o il Sole il creatore di ogni cosa e l’origine della stirpe degli dei. Uno schema che procede attraverso l’eterna sequenza di nascita-morte-rigenerazione cui non si sottraggono nemmeno le divinità; uno schema dall’andamento circolare di cui l’allestimento della mostra – con Nut posta ad accogliere e poi congedare i visitatori – è evidente metafora.
Nella prima sezione, Origine degli dei e del cosmo, sono esposte le divinità dell’Enneade – il gruppo iniziale di nove divinità generate da Atum Ra – sia sotto forma di piccole statue antiche, realizzate in differenti materiali, sia con una selezione dei ritratti a matita eseguiti da Luigi Vassalli e poi raccolti nel volume Panthéon Egyptien (1879).
A complemento sono proposti focus di approfondimento. La sapienza divina: il dio Thot, signore del tempo e di ogni conoscenza di cui tutela la trasmissione, principalmente attraverso la scrittura alle cui tecniche è dedicata una teca apposita. La figura de Il Faraone, il sovrano, il tramite tra dei e uomini, colui che nasce umano per assumere ruolo divino con l’intronazione sebbene la sua divinizzazione si realizzi compiutamente con la morte, quando si unisce agli dei nell’Aldilà. Spazio quindi ad Akhenaten il faraone del sole (1353/35 a.C.) che, con la sposa Nefertiti, rivoluziona la religione – e la politica – imponendo il culto dell’unico dio Aten, il disco solare; le altre divinità vengono messe al bando per essere ripristinate solamente pochi anni dopo dal consiglio di reggenza di Tutankhamon.
Un ultimo focus, Le molteplici forme del divino, guida il pubblico attraverso i vari attributi adottati dalle divinità maschili e femminili per manifestare il proprio potere e il proprio ruolo. Le curatrici propongono una nuova affascinante rassegna di reperti che consente di vedere come cambino per esempio gli scettri e i copricapi di Horus fanciullo (entrambi 664/332 a.C.) in base alle peculiarità che si vogliono enfatizzare. Horus è protagonista in veste di neonato, insieme alla madre, pure della splendida composizione intitolata Iside Lactans (945/664 a.C.).
La seconda sezione, Forme degli dei, illustra l’evoluzione dell’aspetto delle divinità che da antropomorfo si trasforma in ibrido, mutuando progressivamente connotati dalla fauna locale, o assume interamente fattezze animali.
In una civiltà come quella dell’antico Egitto che basa la propria economia sull’agricoltura la vita è scandita dal ritmico alternarsi delle stagioni e dallo stretto rapporto con la terra e, ancor più, con il fiume Nilo che esondando fertilizza i campi. In un simile contesto gli animali viventi sono sia adorati quali manifestazioni del divino – come nel caso dei tori Api, trasportatori dei defunti, incarnazione del dio Ptah di Menfi – sia allevati per essere sacrificati agli dei come i coccodrilli a Sobek, i falchi a Horus, gli ibis e i babbuini a Thot, i pesci a Neith, i cani ad Anubi e Upuaut o i gatti a una delle tante dee-leonesse da ammansire.
Dal I millennio a.C. si diffonde l’usanza – che tocca l’acme in epoca greco-romana – di mummificare animali su larga scala e seppellirli in apposite necropoli. Sotto gli occhi dei visitatori in mostra scorrono minuscoli reliquari per gatti, falchi, scarabei, toporagni, lucertole, serpenti, pesci lepidoto, tilapia e siluride (tutti 664/30 a.C.), autentico compendio naturalistico delle specie che alcuni millenni fa popolavano la terra, i cieli e le acque dell’Egitto.
Il faraone, in virtù della sua duplice natura, è l’interlocutore privilegiato per comunicare con le divinità, adiuvato dalla nutrita casta dei sacerdoti che nei templi eseguono i riti del culto giornaliero e officiano le cerimonie delle grandi ricorrenze. Il popolo, che ha invece accesso limitato sia ai templi sia ai riti che ivi si svolgono, dal canto suo sviluppa personali forme di dialogo diretto con gli dei per ottenere la loro intercessione in momenti drammatici della vita. La terza sezione, Comunicare con gli dei: la devozione, mostra i doni predisposti dalle persone comuni – steli votive, bronzetti o mummie – per rendere più incisivi inni e preghiere; tra questi spicca una stele votiva con orecchie dedicata da Usersatet alla dea Nebet-Hetepet (1295/1189 a.C.), tipologia diffusa nel Nuovo Regno che allude alla capacità della dea di ascoltare le preghiere anche quando non mediate dai sacerdoti. Poco oltre è collocata la statua di Tauret dedicata dal disegnatore Parahotep (1279/1213 a.C. circa): si tratta di una simpatica divinità con corpo d’ippopotamo, zampe di leone e coda da coccodrillo che, come allude la pancia prominente, è protettrice delle partorienti. A Bes dall’aspetto grottesco – ha le sembianze di nano e cela il viso dietro una grande maschera dai tratti leonini – spetta il compito di vegliare sulla casa, sui dormienti, sugli infermi e soprattutto sui bambini che vi alloggiano. La sua effige fa linguacce da vasi destinati a contenere il cibo, poggiatesta e altre suppellettili di uso domestico per atterrire animali pericolosi ed esseri malvagi, come usa anche in altre civiltà primitive in tutto il mondo.
Nell’ultima sezione del percorso di visita, quella in cui la mostra tocca l’apice della spettacolarità, le curatrici spiegano come Diventare esseri divini. Reperti di differente natura e raffinata fattura descrivono con ricchezza di dettagli il viaggio post-mortem dei defunti verso i Campi di Iaru – altrimenti detti Campi dei Giunchi – dove, se riconosciuti meritevoli, possono trascorrere l’eternità insieme alle divinità, trasformati in esseri luminosi. Un processo di rigenerazione analogo a quanto sperimentato ogni notte dal sole, descritto nel Libro per Uscire di Giorno, altrimenti noto con il titolo di Libro dei morti. Il testo compare all’inizio del Nuovo Regno (1550 a.C. circa) e raccoglie i rituali, le formule magiche e gli inni sino ad allora tramandati oralmente o incisi sul sarcofago e sugli oggetti a corredo. In mostra ne è presente una copia su papiro risalente al III secolo a.C., appartenuta a Hornefer, sacerdote e scriba reale.
Ai Campi di Iaru, dal II millennio a.C., possono accedere tutti i defunti, a prescindere dal ceto sociale, purché sottoposti al rituale dell’imbalsamazione, da eseguirsi secondo le possibilità economiche della famiglia. Autentico protagonista di Sotto il cielo di Nut. Egitto divino è il corredo funerario di Peftjauauyaset (VII secolo a.C.), composto dalla mummia e da due sarcofagi, uno a forma umana in due valve e l’altro a cassa destinato a contenere il primo. A lato dei sarcofagi sono allestite vetrine con esemplari di amuleti, di vasi canopi e altri accessori necessari per l’imbalsamazione.
I sarcofagi di Peftjauauyaset, un esponente di spicco della società dell’epoca, sono i più belli della collezione del Civico Museo Archeologico: la cassa è decorata solo esternamente con una rassegna delle divinità del pantheon, mentre nella parte interna della valva inferiore del sarcofago è ritratta Imentet, la dea della terra che accoglie le spoglie mortali. La valva superiore lascia invece spazio a Nut, dea del cielo, raffigurata alata nella parte esterna, con in mano la croce ansata simbolo della vita, e distesa nella parte interna, affiancata dalle Veglie orarie incaricate di proteggere il defunto durante le varie ore del giorno e della notte. Nut chiude così un percorso che si sviluppa circolarmente, allungandosi con le braccia quasi a congiungersi con la sua raffigurazione collocata dinnanzi l’ingresso.
È questa un’interessantissima escursione nel pantheon delle divinità dall’antico Egitto, un’esperienza in cui l’elevato pregio artistico dei reperti si combina con il rigore storico-scientifico dei pannelli esplicativi rendendo la mostra fruibile, a differenti livelli di complessità, a grandi e piccini. Una mostra cui fa da ideale complemento lo spettacolare Viaggio oltre le tenebre. Tutankhamon RealExperience® – a Palazzo Reale fino al 30 agosto – in cui si rivive la scoperta della tomba più celebre e maledetta della storia.
Silvana Costa
La mostra continua:
Civico Museo Archeologico
c.so Magenta 15 – Milano
porogata fino a domenica 8 maggio 2022
per orari e modalità di ingresso si veda il sito web
www.museoarcheologicomilano.itSotto il cielo di Nut
Egitto divino
a cura di Sabrina Ceruti e Anna Provenzali
progetto e realizzazione dell’allestimento RTI – Inrete e Consel – Domenico Baldini
progetto grafico RTI – Inrete e Consel – Virginia Maccagno
elaborazione disegni sezioni espositive Elisabetta Mancini
con il contributo di Fondazione CARIPLOCatalogo:
Sotto il cielo di Nut. Egitto divino
a cura di Sabrina Ceruti e Anna Provenzali
Officina Libraria, 2019
224 pagine, 16,5×24 cm, 250 immagini a colori, brossura
prezzo: 29,00 Euro
https://officinalibraria.net