Stefano Massini e il Mein Kampf

Stefano Massini porta in scena al Piccolo Teatro di Milano il testo emblema del nazismo. Un incedere attraverso le parole dello stesso Hitler, caricate di rabbia e ardore come, si immagina, siano state concepite, per un’operazione meramente teatrale intesa a far cadere il sipario che cela al pubblico i meccanismi della propaganda politica.

Stefano Massini è in scena sino al 27 ottobre al Teatro Strehler di Milano con Mein Kampf, opera di cui è autore e interprete, prodotta da Teatro Stabile di Bolzano e Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana.
Il titolo non lascia alcun spazio a fraintendimenti: lo spettacolo teatrale trae origine da quello che probabilmente rappresenta l’unico caso di libro proibito non per ragioni religiose ma politiche. Un libro dettato da un ragazzo di trent’anni, in carcere a Landsberg am Lech per tentato colpo di Stato, da cui nasce un intero progetto politico. Un libro reso obbligatorio dal Terzo Reich e nei decenni a seguire ampiamente citato ma che probabilmente non molti si sono presi la briga di leggere davvero.
L’operazione compiuta da Stefano Massini parte proprio da questa considerazione per mettere il pubblico in sala davanti a quello che c’è davvero in quelle pagine, senza esprimere giudizio morale alcuno ma semplicemente lasciando si colgano le contraddizioni e le provocazioni del pensiero di Adolf Hitler. Egli compie un’operazione freudiana, imponendo al pubblico in sala di prendere coscienza delle origini del più grande dramma del XX secolo, conscio che per superare un trauma non lo si debba rimuovere ma affrontare e comprendere. In questo modo, come subendo una vaccinazione, secondo Massini si sarà pure più attenti a non cedere agli slogan e alle promesse della propaganda elettorale.
La conoscenza, sostengono personaggi del calibro di Bertolt Brecht, Primo Levi o Liliana Segre, è l’unico metodo utile a evitare il ripetersi della catastrofe e, a tal proposito, fa riflettere il fatto che in Austria, il solo paese in Europa dove Mein Kampf sia ancora proibito, l’estrema destra stravince le elezioni, a testimonianza di come alla fine non ci sia alcuna simmetria fra la proibizione e la capacità di non ripetersi più di quegli scenari. È pur vero che la conoscenza non annienta il libero arbitrio però quantomeno è consolante sapere che le decisioni sono prese con cognizione di causa e non sull’onda del trasporto emotivo. Luca Ronconi al cui fianco Massini ha avuto la fortuna di lavorare – sua la regia della prima rappresentazione italiana di Lehman Trilogy che debutta al Piccolo nel gennaio 2015, un mese prima della sua scomparsa – ama definire il teatro come “un percorso di conoscenza”.
Abbracciando questa concezione del teatro Stefano Massini offre al pubblico una riflessione meramente teatrale su Mein Kampf, privando il testo di qualunque velleità di provocazione politica. In conferenza stampa egli ci tiene infatti a sottolineare: “io porto in scena quelle parole senza che ci sia in scena un solo elemento di 1920, di 1915, di 1930. Non aspettatevi in questo spettacolo un firmato d’epoca che scorda alle mie spalle in bianco e il nero con il cancello di Auschwitz perché qui non si vede”.
Massini, sia come autore, sia come interprete, si focalizza sulle parole, gioca con un testo che alla lettura si presenta enfatico e barocco, con pagine intere prive di un qualsiasi segno di punteggiatura e concetti reiterati continuamente affinché facciano presa sul lettore. Uno stile che Stefano Massini rende pienamente quando in scena, mostrandosi sempre forte e ieratico come un leader deve essere: non va infatti scordato che Hitler prende lezioni di recitazioni per essere più incisivo nei discorsi alla popolazione.
Le parole e i libri non a caso sono il punto di partenza scelto da Massini per aprire Mein Kampf. Il prologo – che l’autore dice di variare a ogni replica – è incentrato sulla figura di Emil Erich Kästner, uno scrittore per bambini che negli anni Trenta è all’apice della fama. Le sue opere, al pari di quelle di molti altri scrittori, poeti e drammaturghi, vengono mandate al rogo e lui, preferendo non fuggire all’estero, è obbligato a presenziare ogni volta al macabro spettacolo dei roghi in piazza.
L’attore al termine del prologo sale sul quadrato luminoso inclinato che occupa quasi interamente il palcoscenico, entra nel personaggio di Adolf Hitler e prende a rievocare i passaggi principali della propria vita, le tappe lungo cui ha preso corpo e si è sviluppato il suo pensiero. Un pensiero che ha come punto di partenza il rifiuto di una vita ordinaria e monotona: “io non voglio fare l’impiegato!” afferma con veemenza dopo una visita all’ufficio del padre alle dogane.
L’idea della guerra come metodo di selezione di quanti meritino di continuare a vivere si incrocia con la rabbia provata il 9 novembre 1918 quando all’Ospedale Militare di Pasewalk, dove ricoverato per guarire da ferite riportate sul campo di battaglia, apprende della resa tedesca: è un atto di debolezza imperdonabile dell’imperatore. È a Monaco che, raccogliendo da terra vecchi quotidiani, leggendo i nomi dei politici in prima pagina, realizza come siano entità capaci di plasmare i pensieri, le azioni e le esistenze di intere schiere di sconosciuti che finiranno per dire “io la penso come lui, io sono come lui” spingendolo a voler diventare una di quelle facce sul giornale.
Stefano Massini per lo spettacolo attinge innanzitutto alla prima versione del Mein Kampf, quella che sostanzialmente si presenta non come un trattato ma in forma di autobiografia, di romanzo di formazione mentre la seconda parte, aggiunta nel 1926, è più tecnica e ne espone il programma politico. Il testo è integrato con aneddoti tratti dalle prolusioni tenute in occasione delle inaugurazioni degli anni accademici delle università tedesche e da Conversazioni di Hitler a tavola.
Quello che ne esce è un monologo reso coinvolgente dalle luci di Manuel Frenda e dagli ambienti sonori di Andrea Baggio che ne scandiscono l’incedere sincopato a ripercorrere l’ossessivo tentativo di un uomo di uscire dall’anonimato, di conquistare l’attenzione delle genti e di piegarle a sé. La democrazia in fondo per lui, come viene ricordato nel corso dello spettacolo, è una menzogna. In un passaggio dello spettacolo Hitler dice pure che le masse vanno considerate come un gruppo di bambini impauriti, cui basta indicare dove è il pericolo e la strada da seguire per mettersi in salvo, facendo leva su rabbia, orgoglio e frustrazione. È da questo passaggio che nasce la scelta di utilizzare il volto di un bambino che urla per la locandina e la copertina del libro Einaudi che pubblica il testo del Mein Kampf di Stefano Massini.
Un incedere attraverso le parole dello stesso Hitler, caricate di rabbia e ardore come, si immagina, siano state concepite e, con la consapevolezza delle loro conseguenze, non serve all’attore in scena esprimere biasimo o una qualche sorta di giudizio morale. Il giudizio è demandato al pubblico in sala che, si spera, sappia scindere la rappresentazione – di cui la propaganda politica è un eccellente esempio – dalla realtà.

Silvana Costa

Lo spettacolo continua:
Piccolo Teatro Strehler
Largo Greppi 1 – Milano
fino a domenica 27 ottobre 2024
orari: martedì e sabato 19.30; mercoledì e venerdì 20.30; domenica 16.00
lunedì e giovedì riposo
www.piccoloteatro.org

Mein Kampf
di e con Stefano Massini
da Adolf Hitler 
scene Paolo Di Benedetto
luci Manuel Frenda
costumi Micol Joanka Medda
ambienti sonori Andrea Baggio
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa 
in collaborazione con Fondazione Teatro della Toscana
durata 80 minuti senza intervallo