Lo scorso 30 ottobre ha debuttato a Milano, al Teatro Franco Parenti, Un cuore di vetro in inverno, la nuova produzione di e con Filippo Timi. Lo spettacolo è un interessante sviluppo del percorso creativo dell’artista umbro, una straordinaria esperienza onirica, indubbiamente non del tutto inattesa, sospesa tra la chanson de geste medievale e la musica dance anni Ottanta, tra la lezione di catechismo e la seduta psicoanalitica.
Nel redigere una recensione il critico è sovente obbligato a svelare elementi pregnanti dell’evento per supportare le proprie prese di posizione. È questo un aspetto sgradevole che può rovinare la sorpresa al potenziale spettatore, eppure vi garantiamo che con Un cuore di vetro in inverno ciò è assolutamente impossibile. Noi che ci siamo documentati prima di andare a teatro, che abbiamo visto le foto dell’allestimento e ascoltato i commenti dei colleghi vi assicuriamo che non c’è modo di essere pronti a quanto accade in scena non appena Timi sbuca con fare curioso dai tendaggi del sipario, saluta i presenti e imbraccia la chitarra.
Filippo, moderno menestrello, intona con la cadenza della sua terra d’origine una nenia triste sull’amore a prologo della fiaba in cui vestirà, lentamente e svogliatamente, l’armatura da cavaliere per andare a sfidare un feroce drago. La mancanza di entusiasmo non è causata dal timore della battaglia – poiché egli è sicuro del proprio valore e, quindi, della vittoria – quanto dal doversi separare, anche se per poco, dall’amata. Attorno all’eroe gravitano le figure del suo impettito angelo custode, del giovane scudiero, del giullare di corte e di un’irriverente prostituta dal caldo accento romagnolo. Il drago, come da stereotipo, è l’allegoria delle paure che assillano il cavaliere, una prova da superare in solitudine, mettendo a nudo la propria anima e guardandoci dentro con distaccata freddezza proprio come fosse un trasparente cuore di vetro. Il combattimento è un viaggio interiore verso la consapevolezza dei limiti umani e per vincere è fondamentale deporre l’orgoglio e accettare l’aiuto degli altri.
Lo spettacolo dal forte tono intimista nasce quasi per caso come spiega Andrée Ruth Shammah: “Quando ho chiesto a Filippo di fare una serie di serate intorno a delle parole chiave (per esempio la paura, il sogno) – in occasione delle prove aperte al Teatro Niccolini nel marzo scorso, n.d.r. – lui è arrivato un pomeriggio, si è seduto nel mio ufficio e mi ha letto quello che aveva scritto. È stata un’ora di grande intensità. Non si poteva non cercare di fare di tutto per fargli mettere in scena quelle parole”.
Le ambizioni di Un cuore di vetro in inverno volano alte ma ben presto si rivelano mal supportate: il testo – che tocca vette di assoluto lirismo – in certi passaggi risulta stucchevole, eccessivamente melodrammatico e non appare coadiuvato da una regia sicura. Quando le riflessioni sulle singole parole non sembrano riuscire a fluire l’una nell’altra come un unicum armonico Timi, per superare l’impasse, posiziona una battuta a effetto, una barzelletta o, peggio, cerca conferme nel pubblico – che non sempre è lesto nell’interazione – che rischiano di imprigionarlo in un ruolo macchiettistico. L’esito non convince sino in fondo noi e, probabilmente, nemmeno gli spettatori che applaudono Filippo Timi con meno vigore del consueto, forse più per l’esibizione danzereccia in costume offerta gratuitamente a conclusione della narrazione che per l’insieme dell’opera.
Sul palcoscenico Marina Rocco interpreta l’angelo custode caratterizzandolo con pose ieratiche, alterna momenti di struggente dramma a deliziosi siparietti comici, mostrando a noi peccatori quanto complessa sia l’attività di queste celestiali creature. La Rocco, surreale come non mai, è ormai definitivamente sacrificata da Filippo Timi a emulare Marylin o, meglio, lo stereotipo della bionda svampita cui la Monroe cercava disperatamente di sfuggire e questo ci sembra un vero peccato viste le potenzialità dell’attrice.
Discorso opposto merita Andrea Soffiantini, applaudito al Teatro Franco Parenti in svariate opere dirette con piglio deciso da Andrée Ruth Shammah. In Un cuore di vetro in inverno è piuttosto interessante vederlo trasformato, sotto la ben più lieve regia di Filippo Timi, nel buffone di corte, portando alla luce un inatteso animo naïf.
È strepitosa infine Elena Lietti nei panni della prostituta: degna discendente di Gradisca fa da contraltare dell’eroe vivendo la professione con quella distaccata ironia che solo una donna possiede. Il suo registro è sempre appropriato al momento: misurata e disillusa nelle piccole faccende quotidiane, morbida e accattivante nel sedurre i clienti, si rivela esplosiva nei momenti chiave a prescindere dagli escamotage escogitati dal regista.
La scenografia compone in un unico spazio la sala del trono e il bar dove esercita la prostituta; in mezzo, il campo di battaglia; davanti l’area di manovra per il carrellino su cui si sposta l’angelo custode, seduto in posa plastica come il ruolo richiede. Sul palcoscenico regna una forte nostalgia per gli anni Ottanta: la sfera stroboscopica – immancabile presenza in ogni performance di Filippo Timi – accoppiata alle canzoni di Michael Jackson, proposte con le coreografie originali concepite quando i perbenisti ancora non vi vedevano sintomi di perversioni sessuali; la corsa alla luna che le frequenti missioni degli Space Shuttle facevano sembrare ancor più vicina e il baretto con la tenda in plastica sulla porta a guisa di quelli che punteggiano la spiaggia di Rimini. La luna, l’atmosfera rarefatta, la spiaggia e la prostituta sfacciata conferiscono all’insieme un’allure felliniana che tuttavia sa più di didascalico che di poetico.
Il pubblico in sala assiste allo spettacolo come in trance, avviluppato dall’alone di fantasia che aleggia sul palcoscenico, ma al contempo è bombardato dai singoli elementi che compongono l’orchestra, ne riconosce le voci – alcune, molte o tutte in base all’affinità culturale con l’autore – e, così stimolato, si perde in personali voli pindarici fino alla luna per poi ritrovarsi, magicamente, di nuovo sprofondato nella propria poltrona.
Prova dunque superata per Filippo Timi? Non completamente.
Se le considerazioni dell’epilogo finale offrono una bella e profonda analisi su cosa renda un cavaliere un essere umano, sono troppe le digressioni nel corso dello spettacolo che contribuiscono a sminuirne il messaggio. Filippo Timi, come abbagliato dalla luce della luna che si riflette sulla sua lucente armatura, smarrisce la via e trasforma un percorso di crescita interiore in uno show del sabato sera, ricco di ospiti, esibizioni e lustrini.
Silvana Costa
Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala Grande
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica11 novembre 2018
orari: martedì e venerdì 20.00/mercoledì 19.45/giovedì 21.00/sabato 20.30/domenica 16.15
www.teatrofrancoparenti.it
Un cuore di vetro in inverno
uno spettacolo di e con Filippo Timi
e con Marina Rocco, Elena Lietti, Andrea Soffiantini, Michele Capuano
luci Camilla Piccioni
assistente alla regia Benedetta Frigerio
direttore di scena Alberto Accalai
macchinista Mattia Fontana
elettricista Lorenzo Bernini
fonico Emanuele Martina
sarta Caterina Airoldi
amministratrice di compagnia Beatrice Cazzaro
direttore tecnico Lorenzo Giuggioli
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati presso la sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni
produzione Teatro Franco Parenti/ Fondazione Teatro della Toscana
durata 1 ora e 20 minutiIl tour prosegue
28 novembre/9 dicembre
Roma, Teatro Ambra Jovinelli11/16 dicembre
Perugia, Teatro Morlacchi