Il nome della rosa

01_il-nome-della-rosaAl Teatro Franco Parenti di Milano è in scena sino a domenica 12 novembre Il nome della rosa, la prima riduzione teatrale dell’omonimo romanzo di Umberto Eco.

È il 1980 quando esce in libreria Il nome della rosa, il romanzo con cui Eco si cimenta nella narrativa, genere in cui dimostra immediatamente di eccellere. Nell’imponente volume il celeberrimo semiologo riversa il suo sapere per dar vita a un minuzioso affresco storico in cui il giallo si mescola alla filosofia, il primo tenero amore si scontra con la ferocia dell’Inquisizione. Egli costruisce un sorprendente spaccato di vita medievale che sembra dar corpo alla riflessione che Italo Svevo appunta il 5 giugno 1927 sul proprio diario: “Chi legge un romanzo deve avere il senso di sentirsi raccontare una cosa veramente avvenuta. Ma chi lo scrive maggiormente deve crederci anche se sa che in realtà mai si svolse così. L’immaginazione è una vera avventura”.
Sono passati quasi quarant’anni dalla prima edizione del romanzo inserito da Le Monde nella lista de I 100 libri del secolo, opera che nel frattempo ha acquisito fama planetaria grazie alla traduzione in ben quaranta lingue e alla vendita di oltre cinquanta milioni di copie. In occasione del primo anniversario della morte dell’autore – avvenuta il 19 febbraio 2016 – nasce l’idea di una versione teatrale de Il nome della rosa, prodotta dai Teatri Stabili di Torino,  Genova e Veneto, firmata da Stefano Massini e diretta da Leo Muscato.
Emulando la struttura del romanzo, l’anziano Adso da Melk, ormai giunto al termine del proprio cammino terreno, accoglie il pubblico in sala e ripercorre l’incredibile avventura occorsagli durante il noviziato. Adso – impersonato da Luigi Diberti – nel corso dello spettacolo si posiziona a lato del palcoscenico a commentare la narrazione; a unire i diversi episodi della storia; a completarli svelando antefatti o conseguenze o descrivendo le sensazioni provate all’epoca dei fatti. Composto come il saggio che con l’età ha imparato a dominare i moti dell’animo,  Diberti con il tono caldo della voce accarezza i cuori degli spettatori e tiene desta la loro attenzione.
Il palco è dominato dalla strepitosa scenografia progettata da  Margherita Palli, articolata su più livelli, sia in profondità sia in altezza: in primo piano tra le colonne, nelle celle sullo sfondo e poi su per le scale sino alla biblioteca è un gran brulicare di personaggi indaffarati e “soli” dodici attori riescono a rendere l’idea della folla di religiosi che abita un monastero alla fine del 1327. Protagonisti in scena sono Luca Lazzareschi calato nel saio francescano di Guglielmo da Baskerville e Giovanni Anzaldo che impersona Adso da giovane. Attorno a loro un gruppo di bravi attori: Eugenio Allegri è sia Ubertino da Casale sia Bernardo Gui, l’implacabile inquisitore; Alfonso Postiglione è il bizzarro Salvatore che si esprime in uno strano collage linguistico; Marco Zannoni si cala nel ruolo dell’abate mentre Renato Carpentieri è l’anziano bibliotecario Jorge da Burgos; in scena anche l’imponente Franco Ravera e, ancora, Giulio Baraldi, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Mauro Parrinello e Arianna Primavera che, come una sirena, col suo canto seduce il giovane Adso.
I quadri in cui si articola a teatro Il nome della rosa offrono un eloquente spaccato di storia della Chiesa agli albori del XIV secolo: il Papa è ostaggio dell’imperatore ad Avignone; l’Inquisizione reprime nel sangue i focolai di eresia che spuntano sempre più numerosi ed estorce con la tortura confessioni ai malcapitati di turno; nel clero – così come nella società – vige una rigidissima scala gerarchica da non trasgredire; l’analfabetismo e la superstizione accecano la mente delle persone e le soggiogano; gli ordini monastici sono in forte contrasto tra loro e più intenti a discutere di oziose questioni teologiche che a portare soccorso alla popolazione affamata.
Lo spettacolo è entusiasmante, le vicende che si susseguono in scena sono ricche ed articolate eppure, come già accadde con il film di Jean-Jacques Annaud del 1986, la trasposizione perde buona parte delle riflessioni che infarciscono le oltre seicento pagine del libro. La poetica di Aristotele viene retrocessa a mera causa scatenante dei delitti che scuotono la vita del monastero e la coppia formata da Guglielmo da Baskerville e Adso ridotta a investigatori in saio, strizzando vistosamente l’occhio alla figura di Sherlock Holmes e Watson cui Eco si è ispirato. È per questo che, al di là della bravura dell’intero cast e del regista nel dirigerlo, della perizia dello staff tecnico che rende l’allestimento suggestivo, ci sembra che la messinscena possa essere definita appena poco più che dignitosa.
Tuttavia, mentre la versione cinematografica può contare sulla carismatica presenza di Sean Connery nel ruolo di Guglielmo da Baskerville – tra l’altro, ben doppiato da Pino Lochi – la versione teatrale pare avere nell’interpretazione di Luca Lazzareschi il suo punto debole. Sebbene nelle intenzioni dell’autore il francescano di origini inglesi, al pari di Sherlock Holmes, manifesti un certo distacco da quanto gli accade attorno – distacco necessario ad impedire che le emozioni obnubilino le sue capacità di giudizio – Lazzareschi va oltre sino a rasentare l’amorfismo. Quando poi Guglielmo si trova a esporre le sue ipotesi sui delitti o a dissertare di filosofia la cadenza dell’interprete si fa monotona e la recitazione appare come una veloce e disinteressata lettura di un testo. Tuttavia in pochi tra il pubblico lasciano che questo elemento rovini il quadro d’insieme. Molti degli spettatori conoscono la trama – alcuni hanno riletto il libro per l’occasione, altri sbirciato su Internet – ma tutti  restano parimenti attenti sino al disvelamento del colpevole. Ci è così facile dedurre che, anche a teatro,  Il nome della rosa è avviato a divenire un blockbuster.

Silvana Costa

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Lo spettacolo continua:
Teatro Franco Parenti – Sala Grande
via Pier Lombardo, 14 – Milano
fino a domenica 12 novembre 2017
orari: martedì e venerdì 20.00; mercoledì 19.30; giovedì 21.00; sabato 20.30; domenica 16.00
lunedì riposo
www.teatrofrancoparenti.it

Il nome della rosa
di Umberto Eco

versione teatrale di Stefano Massini
con (in ordine alfabetico) Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Bob Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera, Marco Zannoni
regia Leo Muscato
scene Margherita Palli
costumi Silvia Aymonino
luci Alessandro Verazzi
musiche Daniele D’Angelo
video Fabio Massimo Iaquone, Luca Attilii
assistente alla regia Alessandra De Angelis
assistente scenografa Alessandra Greco
assistente costumista Virginia Gentili
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale; Teatro Stabile di Genova; Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
in accordo con Gianluca Ramazzotti per Artù
e con Alessandro Longobardi per Viola Produzioni
con il sostegno di FIDEURAM
durata: 140 min. + intervallo