Militanti

Per il quarantesimo anniversario del sequestro Moro al Dialma Ruggiero, in un evento speciale per Fuori Luogo, va in scena Aldo Morto. Daniele Timpano punta il dito su ipocrisia e falsa coscienza.

Un prologo e diciassette quadri, diciassette pezzi di un rompicapo, pezzi di un puzzle da ricomporre: differenti angolazioni prospettiche, punti di vista da cui affrontare la storia. Sintesi versus complessità, serietà (ed eventuale noia) versus intrattenimento. Problematizzare, polemizzare versus facilità e superficialità. Rendere onore alla complessità della vicenda, dei fatti, delle motivazioni. Contro la colpa della leggerezza superficiale, contro la mancanza di responsabilità, nel rispetto della verità, del dolore, della morte.
Perché della verità nessuno si è occupato, se nessuno si è occupato della cosa più ovvia: una perizia giudiziaria. E allora, almeno, puntare il dito sulle menzogne, la malafede, la cattiva coscienza, le contraddizioni, l’incoerenza. Il teatro si fa militante in questo Aldo Morto, complesso lavoro di Daniele Timpano, in cui rabbia e disgusto percorrono sotterranei la messinscena.
C’è disgusto perché tutto passa e si risolve: la lotta, la morte, i complotti. Fatti gravi, sogni di cambiare il mondo, tanto potenti da portare alla violenza più estrema, finiti in nulla, nel recupero di un posto nella società. Gli opposti nemici si pacificano, ma non c’è evoluzione; al contrario, c’è marcescenza, c’è il ricadere nel grande mare del nuovo capitalismo, nella società che si è arresa, conquistata dal consumismo di massa. I colori si fanno stinti, nei tempi scialbi dell’oggi, privi di passione, di vera indignazione. In cui va tutto bene.
Ascoltare i proclami della lotta proletaria, la ribellione al capitalismo delle multinazionali ha un effetto shock su chi, come chi scrive, a quei tempi non c’era. Cosa è cambiato da allora? Quello che allora era un processo in fieri non si è forse da tempo realizzato pienamente, continuando a svilupparsi, a evolvere, a distruggere?
Tutto il contrario: tutto è passato, tutto è tranquillo ora. Si dice che i tempi siano cambiati (e non è vero), che manchino le condizioni (e non è vero: sono solo cambiate e peggiorate).
Il (bel) quadro di Curcio il carbonaro, nella semplicità della realizzazione (una maschera di Mazinga Zeta indossata sulla nuca, un microfono in mano, le luci e le musiche giuste) ottiene un grande risultato grazie alla capacità di significare. Dall’epico al pop la parabola di un’epopea: il dileguarsi, lo sfumare degli ideali nel percorso di vita di uno tra i personaggi più emblematici della sinistra estrema, il fondatore delle BR. Che fine ha fatto quel pensiero?
Il risucchio del consumismo e tutto si fa pop: placida e disarmata sta la nuova coscienza, con la sua mancanza di azione, il rammollimento della volontà, l’incapacità di un’indignazione attiva (compriamo il libro, ovviamente – Indignatevi!– ma non passiamo più all’azione). Realizzazione di tutte le distopie, siamo i porci dell’isola di Circe, la comodità ottunde e non c’è sdegno che tenga.
E allora ecco che arrivano, a svelare le contraddizioni e le mancanze, la feroce ironia e il sarcasmo, che si esemplificano nel personaggio della Renault 4 rossa, viva e animata come un simpatico animaletto, buffo e dissacrante: «No, non ci fregate!» sembrano dire i due, uomo e macchinina.
Nel caleidoscopio delle prospettive e delle identità provvisorie, anche opposte, che trascolorano una nell’altra, ci si perde, quasi ci si confonde, si finisce anche per dubitare talvolta del punto di vista e dell’invettiva di Timpano. Di certo, ci rimane la sua rabbia, il senso di frustrazione. Perché è tutto troppo facile, troppo risolto. E ci rimane la frase di Enzo Maolucci: «Morire di lotta non sempre riesce bene. Campare delusi in fondo conviene».
La scena è pulita e nuda. Luci essenziali da cui emergono alcuni effetti speciali, di grande eloquenza e incisività. Molto efficace la sequenza con il controluce rosso: la figura di Timpano solitario sembra moltiplicarsi, c’è lotta, c’è tutto il proletariato che avanza combattente, insieme a lui, come nel Quarto Stato.
E lui Timpano, il buffone, il mattatore, con la sua gestualità in leggera distorsione con la naturalezza del corpo e di poco scollegata con la parola, con il vago tocco burattinesco, che emerge ogni tanto, con il suo parlare dalla strana cadenza a volte strascicata, deformata, governa la scena per un’ora e mezza di intenso teatro politico e urla in faccia a una realtà che fa schifo, a quello che rimane del passato e a tutto quello che è.

Mailè Orsi

Lo spettacolo è andato in scena:
Centro Giovanile Dialma Ruggiero
via Monteverdi, 117 – La Spezia (SP)
sabato 17 marzo, ore 21.15
evento speciale (quarantennale del sequestro Moro)
sito Internet
 
Aldo Morto
testo, regia e interpretazione Daniele Timpano
disegno luci Dario Aggioli e Marco Fumarola
collaborazione artistica Elvira Frosini
aiuto regia Alessandra Di Lernia
oggetti di scena Francesco Givone
registrazioni, editing audio Marco Fumarola e Marzio Venuti Mazzi
elaborazioni fotografiche Stefano Cenci
progetto grafico Antonello Santarelli
uno spettacolo di Frosini/Timpano
produzione Gli Scarti, Kataklisma Teatro
con il sostegno di Area 06
in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi
si ringrazia Cantinelle Festival di Biella