Michele Mozzati traspone su carta i pensieri dei solitari protagonisti dei dipinti di Edward Hopper e dà vita a una raccolta di storie sospese tra presente e passato, tra suggestioni visive e biografia dell’autore.
Skira ha da poco pubblicato Silenzi e stanze. Altre storie da Edward Hopper. In copertina è riprodotto il conturbante Girlie Show (1941) mentre all’interno fanno bello sfoggio di sé altri celebri dipinti del cantore dell’epopea americana. Tuttavia, nonostante la casa editrice sia celebre per i suoi curati libri d’arte, non fatevi ingannare dalle apparenze: si tratta di un volume di narrativa, della nuova serie di racconti di Michele Mozzati, la seconda ispirata dalle opere di Hopper.
Sin dalla metà degli anni Venti, quando raggiunge il successo come pittore, Edward Hopper ha contribuito a formare nell’immaginario collettivo l’iconografia dei paesaggi degli States: i fari sulla costa atlantica, le residenze monumentali cui persino Alfred Hitchcock fa riferimento per l’architettura di casa Bates in Psyco (1960), le stazioni di servizio con le pompe di benzina rosso fiammante, scorci delle piccole cittadine di provincia aggrappate lungo la strada principale piuttosto che vedute dal ruvido sapore primordiale. I dipinti di Hopper sono istantanee sospese nel tempo e nello spazio cui si è ispirato anche Wim Wenders per America, un emozionante reportage fotografico attraverso gli Stati Uniti per immortalare l’essenza profonda di quei vasti territori, esposto nel 2015 a Villa Panza a Varese.
Anche Michele Mozzati va oltre la superficiale osservazione di questi dipinti, così realistici da sembrare fotografie: egli ne coglie ed esalta la natura più intima, individuando due comuni denominatori e su ciascuno di essi costruisce un’intera raccolta di racconti. Il primo fattore è la luce. Una luce accecante come quella riverberata dalle acque dell’oceano in una giornata di sole, che pone tutti gli elementi della composizione sullo stesso livello senza nulla celare nell’ombra. In alternativa, per le ore notturne Hopper propone un’illuminazione a giorno degli interni, in contrasto con il buio della strada: una soluzione che consente ai passanti di assistere a quanto accade nelle case così come i lettori guardano nella mente e nel cuore dei protagonisti di Luce con muri (Skira, 2016).
Il secondo elemento è quella solitudine che traspare dalle visioni di strade deserte, dallo sguardo assente o dalla postura delle – sporadiche – persone che popolano le tele che, anche quando presenti in gruppo come in Nighthawks (1942), stanno chiuse in sé stesse, “ognuno a rincorrere i suoi guai / ognuno col suo viaggio / ognuno diverso / e ognuno in fondo perso / dentro i fatti suoi” come canta Vasco. La malinconia delle opere contagia Michele Mozzanti che stende gli undici racconti di Silenzi e stanze, accompagnati da una prefazione e una postfazione conformati a guisa di storie. A ciascuno di essi è associato un capolavoro di Edward Hopper che lo scrittore non descrive dal punto di vista artistico o analizza a livello storico-culturale. “Quando guardi un suo quadro ho sempre l’impressione che qualcosa stia per accadere. Se lo guardo dopo dieci minuti ho la certezza che qualcosa è appena accaduto” spiega Mozzati citando Wim Wenders (pag. 23). Egli, come un bambino osserva la scena ritratta, indaga le sensazioni che suscita e lascia la fantasia libera di inventare storie per riempire quei dieci minuti di vuoto, talvolta trovandovi assonanze con la biografia del pittore stesso, talvolta con la propria.
Per esempio, un incontro casuale nella Milano odierna con Neve, la ex fidanzata, riporta alla mente del protagonista de La solitudine del batterista gli anni della gioventù e il momento del commiato, con la ragazza seduta a terra, appoggiata al letto disfatto nella casa di campagna, come la giovane donna di Summer interior (1909).
Le due donne di Second Story Sunlight (1960) intente ad osservare il panorama in Terrazzi evocano i microcosmi dei caseggiati milanesi dove i balconi erano luoghi di interazione con il vicinato e punti di partenza per una scalata economico-sociale volta alla conquista del terrazzo piantumato dell’ultimo piano.
In Nonno Tonno. La rivoluzione non è un pranzo di gala Mozzanti stabilisce un ideale ponte tra la Versilia e Cape Code – dove dal 1934 Edward Hopper trascorre i mesi estivi – descrivendo abitazioni dalle ampie bow window affacciate su prati dall’erba alta e collie che corrono felici nel tramonto a caccia di conigli selvatici. All’interno i singoli personaggi si dedicano alle proprie attività quotidiane, intrecciando solo tangenzialmente la propria esistenza con quella dei famigliari.
Nella Prefazione lo scrittore vede in Two Comedians (1966), l’ultimo quadro dipinto da Hopper, un commiato del pittore dal pubblico che l’ha seguito con passione per decenni. I due attori sul palcoscenico, nella lettura proposta, sono lo stesso Hopper e la moglie Josephine che, spinta da incontenibile gelosia, ha preteso di essere l’unica modella a posare per lui. Jo nel corso oltre quarant’anni, ha incarnando le molteplici facce della femminilità americana, dalla ragazza che contempla l’alba del nuovo giorno in Morning Sun (1952) alla ballerina di burlesque del già citato Girlie Show (1941), rivelandosi un’ottima performer.
Nella trasformazione in racconti operata da Mazzati, le visioni, sebbene vergate di malinconia, quando poste in piena luce, trovano un inatteso slancio di speranza e ottimismo. In Silenzi e stanze persino le drammatiche vicende dei mitologici Dedalo e Icaro trovano un nuovo felice epilogo. “Con una morale. Che anche il padre più stronzo qualche volta andrebbe ascoltato” (pag. 27).
Silvana Costa
Silenzi e stanze
Altre storie da Edward Hopper
di Michele Mozzati
Skira, 2018
14 x 21 cm, 80 pagine, 14 colori, brossura
prezzo: 13,50 Euro
www.skira.net