A Torino una selezione di scatti iconici, tratti dai tanti lavori di Newton, ripercorre le tappe di un percorso creativo che ha permesso al fotografo di origini tedesche di rivoluzionare la disciplina. Teatralità, drammaticità, gioco e sensualità si mischiano in immagini – in gran parte in bianco e nero – dai molteplici livelli di lettura.
Alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino è in corso la mostra Helmut Newton. Works a cura di Matthias Harder, direttore della Fondazione creata dallo stesso Newton a Berlino, città dove nasce il 31 ottobre 1920. I muri della GAM sono tappezzati dalle stampe in grande formato di alcuni dei suoi celeberrimi scatti che non solo sono consegnati alla storia della fotografia e della comunicazione visiva ma hanno contribuito a rivoluzionarne i canoni linguistici ed estetici.
Nel 1938, alla vigilia della guerra, per sfuggire dal nazismo, Helmut Newton lascia Berlino in treno, portando con sé due macchine fotografiche e gli insegnamenti ricevuti. “La moda è stato il mio primo desiderio, sin da ragazzo. E, ovviamente, volevo diventare un fotografo di Vogue” ama ricordare Newton che nel 1956 mette a segno il colpaccio di firmare il contratto sia per l’edizione britannica sia per quella australiana della rivista dei suoi sogni. Negli anni stringe rapporti professionali anche con altre redazioni nazionali di Vogue, collabora con ulteriori riviste di moda e di costume oltre ad essere conteso dagli stilisti per immortalarne le nuove collezioni.
Nel 1970 debutta dietro l’obiettivo anche la moglie June – attrice australiana sposata nel 1948 – che, come narra l’episodio ormai consegnato al mito, sostituisce Helmut ammalato nel servizio per una pubblicità di sigarette. June intraprende un’importante carriera di fotografa con lo pseudonimo di Alice Springs e segue il marito su tanti set come dimostra il documentario Helmut by June (1955), realizzato da Canal+ montando spezzoni dei video da lei registrati.
Lo spazio espositivo dedicato da GAM alla mostra si articola in 4 sale, di cui una destinata alla proiezione del documentario di Alice Springs. Matthias Harder per la mostra ha selezionato, dall’archivio della Fondazione che ne custodisce il lavoro, 68 fotografie risalenti al periodo tra gli anni Settanta e il 2000: Newton muore pochi anni dopo, il 23 gennaio 2004.
Nella sala di apertura trovano spazio tre fotografie ad ambientazione berlinese: Newton, anche negli anni in cui la città è divisa tra i due blocchi contrapposti, vi torna più volte per servizi commissionatigli dalle riviste per cui lavora (1977, 1979 e 1981). Le modelle posano nei loro abiti eleganti con sullo sfondo il Muro oltre il quale svettano i monumenti in stile neoclassico, testimoni di un glorioso passato.
È uno scenario diametralmente opposto quello scelto per le fotografie appese sulla parete di fronte. Sono estratte dalla metafisica campagna pubblicitaria di Jitrois (1997) in cui frammenti di manichini sono immersi nel degrado della periferia parigina, resa ancor più surreale dall’illuminazione dei lampioni. Newton da sempre si diverte a creare situazioni originali e inattese, fa interagire esseri umani e manichini, trascende i generi maschile e femminile trasformando l’osservatore in voyeur. A inizio carriera Newton ha la fortuna di incontrare clienti di ampie vedute, indubbiamente sorpresi ma tuttavia capaci di apprezzare i concetti visivi dirompenti che via via propone loro: nascono così fotografie straordinarie che in breve tempo portano ad archiviare le convenzionali foto di moda.
Tale approccio creativo è indagato nella seconda sala attraverso ulteriori immagini, capaci di stupire sia per il voler provocare l’osservatore sia per spiazzarlo con soluzioni inattese. Per esempio quando il fotografo, per cui posano le donne più belle del Pianeta, sull’edizione francese di Vogue, propone la serie X-Ray per Van Cleefs & Arpels (1979 e 1994) in cui le modelle sono ritratte con una macchina a raggi X.
L’esclusività – e la dissolutezza – del jet set unita alla seduzione femminile esplodono invece nelle campagne di Mario Valentino e Thierry Mugler (entrambe del 1998), nei servizi di moda per le principali riviste mondiali e nelle inattese apparizioni femminili tra gli alberi secolari di un parco berlinese durante un servizio dedicato alla moda maschile (1995). Il fotografo che riesce a rendere sensuali anche i manichini, come è possibile constatare in più occasioni, non si esime tuttavia dallo sfruttare il facile binomio donne-motori. Nel 1981 Helmut e June Newton si trasferiscono da Parigi a Monaco e utilizzano il garage del condominio dove abitano quale sfondo per immagini a elevato tasso erotico, come quella pubblicata da Stern (1997) ed esposta in mostra.
Sono tutte fotografie dall’alto coefficiente di teatralità, a volte scattate su set costruiti meticolosamente, altre utilizzando location prestigiose, sempre con l’intento preciso di raccontare una storia all’osservatore che abbia voglia di andare oltre il mero gesto estetico.
Vogliono andare oltre l’apparenza anche i ritratti alle celebrità esposti nell’ultima sala del percorso di visita, volti noti del cinema, dell’arte e della moda del Novecento messi a nudo – talvolta anche nel senso letterale del termine – davanti all’obiettivo di Newton. C’è un grande rapporto di complicità tra soggetto e fotografo nell’inscenare il gioco della seduzione come fanno Elsa Peretti (1975), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Ralph Fiennes (1995), Sigourney Weaver e la grande Marlene Dietrich. Mentre l’immancabile Gianni Agnelli (1997) si presta a uno scatto tutto sommato convenzionale Andy Warhol (1974) si propone con grande ironia così come Leni Riefenstahl (2000) che, ultranovantenne, gioca a imbellettarsi con gran sussiego.
È questa l’ultima fotografia, anche in ordine cronologico, di quante esposte in mostra. Sono passati decenni da quello scatto, tempo sufficiente, non tanto a guardarle con nostalgia dei tempi goduriosi che furono, quanto a renderci conto come quelle immagini trasgressive abbiano fatto scuola formando i professionisti in voga in questi anni. Rompendo le regole e i cliché, Helmut Newton ha finito per tracciare una strada e un linguaggio nuovo a dimostrazione che stilisti e riviste non vendono solo abiti e accessori ma sogni – o incubi – da trasformare in realtà.
Silvana Costa
La mostra continua:
GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
via Magenta, 31 – Torino
fino a domenica 20 settembre 2020
orari: martedì-domenica 10-18
lunedì chiuso
la biglietteria chiude un’ora prima
aperture durante le festività:
domenica 12 aprile Pasqua
lunedì 13 aprile Pasquetta
sabato 25 aprile Festa della Liberazione
lunedì 1 maggio Festa del Lavoro
www.gamtorino.itHelmut Newton. Works
a cura di Matthias Harder
una mostra Fondazione Torino Musei, GAM, Civita Mostre e Musei
in collaborazione con Helmut Newton FoundationCatalogo:
Helmut Newton Works
Taschen, 2018
21,2 x 27,3 cm, 280 pagine, cartonato
prezzo: 30,00 Euro
www.taschen.com
il volume edito comprende anche le foto esposte in mostra e ne rappresenta idealmente il catalogo