Intervista a Gabriele Di Luca

Tra pochi giorni, a Milano, si alza nuovamente il sipario su Thanks for vaselina, lo spettacolo che, in un anno di tour per l’Italia, ha conquistato critica e pubblico. L’occasione è ghiotta per indagare con Gabriele Di Luca, poliedrica anima di Carrozzeria Orfeo, come nascano i suoi testi, così diversi l’uno dall’altro, eppure sempre così coinvolgenti. Luci dunque su un processo creativo che attinge a piene mani dalle suggestioni della società contemporanea, cercando di restituire la lacerante ambivalenza di ciascuno di noi, in lotta con sé stesso per raggiungere una qualche parvenza di equilibrata normalità.

Bentornato! È sempre alla ricerca della cagnolina? E dire che non dovrebbe passare inosservata…
Gabriele Di Luca: «La cagnolina è un argomento di grande impatto, ce ne siamo resi conto durante gli incontri che facciamo col pubblico per raccogliere pareri e suggerimenti. Tutti ci chiedono notizie di lei: la sua sparizione è indubbiamente qualcosa che resta in sospeso anche al termine della storia».

Nell’estate del 2013 avete presentato una trilogia al Teatro Out-Off; noi siamo rimasti affascinati da Sul confine (leggi la recensione), uno spettacolo che quasi si avvicina al phyisical theater. Pochi mesi dopo, avete debuttato con Thanks for Vaselina che è, al contrario, teatro di parola. Come è arrivato a tale drastica trasformazione drammaturgica? 
GDL: «Premetto che Sul confine è il nostro secondo spettacolo, nel frattempo, parallelamente, ho scritto anche Gioco di mano – un monologo tutto di parola – cui sono seguiti Idoli e Robe dell’altro mondo. Noi abbiamo sempre avuto due grandi interessi, due punti fondamentali per il nostro lavoro di ricerca di una nuova drammaturgia. In alcune produzioni uno di questi elementi ha prevalso nettamente sull’altro: per esempio in Nuvole barocche prestiamo molta attenzione a tutta la parte scenica e in Sul confine l’acrobatica, la danza e il phyisical theater la fanno da padrone e ci permettono di esprimere l’energia dei soldati e dei combattimenti. In altre storie le esigenze sono differenti e la componente fisica resta più contenuta, a servizio della storia: in Idoli infatti, anche se ci sono degli inserti fisici, lavoriamo molto di più sulla parola. Altre volte invece abbiamo cercato di creare una sintesi tra questi due mondi. Questa comunque è un’osservazione che ci fanno spesso: credo che il nostro continuo variare, in un qualche modo, possa un po’ destabilizzare gli spettatori. In realtà ogni spettacolo per noi, per come cerchiamo di affrontarlo, è un’avventura completamente nuova, un progetto diverso dal precedente, con una sua individualità cui servono propri linguaggi e specifiche modalità narrative. Per esempio in Robe dell’altro mondo – la produzione precedente a Thanks for Vaselina – lavoriamo con della maschere in lattice e facciamo un teatro che è più vicino al fumetto che al realismo. Ci piace porci nuove sfide, affrontare prove, cambiare ».

Pochi giorni fa avete debuttato a Roma con Eigengrau tratto da un testo di Penelope Skinner. Come è andata?
GDL: «Siamo molto contenti di questo spettacolo che abbiamo coprodotto insieme al Teatro dei Filodrammatici di Milano: infatti Bruno Fornasari ha curato la regia insieme a me e il cast è costituito con gli attori di entrambe le compagnie. Riteniamo che Eigengrau sia molto bello e interessante perciò cercheremo di distribuirlo ma  – sia per noi che per Teatro dei Filodrammatici – rappresenta una piacevolissima deviazione, un percorso parallelo rispetto alla nostra consueta poetica. In questo spettacolo manca infatti un elemento fondamentale di Carrozzeria Orfeo: il testo scritto da noi. Il pubblico che viene a vederci a teatro logicamente si aspetta che Eigengrau sia diverso perché questa volta abbiamo utilizzato il testo di un altro autore. Il testo è l’elemento che connota maggiormente i nostri spettacoli e la nostra poetica in cui, anche esplorando nuovi linguaggi, a livello di scrittura, è sempre possibile  rintracciarvi cose nostre – cose mie».

Qualche anticipazione per i lettori di Artalks sulla prossima produzione? 
GDL: « La prossima stagione – parliamo quindi dell’autunno 2015 – o forse già nei festival estivi ci sarà il debutto del nuovo spettacolo. Anticipazioni non possiamo darne per il semplice motivo che stiamo iniziando a lavorarci adesso; probabilmente continueremo a esplorare l’ambiente metropolitano di periferia ma è ancora tutto da definire. A gennaio faremo un seminario per cercare nuovi attori e, quindi, nuove esperienze e sensibilità per poi iniziare a scrivere il testo. I nostri lavori partono sempre da tematiche che ci interessa approfondire: per il prossimo spettacolo vorremmo esplorare lo scambio di merci, persone ed emozioni ma non voglio aggiungere altro perché, davvero, siamo solamente agli inizi».

Come combina i vari ruoli che ricopre in ogni produzione: autore, attore e regista? Riesce a mantenere il giusto distacco critico che ciascuno di questi ruoli comporta?
GDL: «Affermo, senza retorica, che ho la fortuna di avere dei compagni di lavoro veramente eccezionali. Non dovete assolutamente pensare che in Carrozzeria Orfeo tutto giri intorno alla mia figura! Il vero pregio di un autore – io sono ancora all’inizio del percorso sebbene abbia già fatto alcuni passi – è capire come e quando lasciare andare la propria creazione. Quello che faccio è mio sino a un certo punto: quando il testo arriva in Carrozzeria è passibile di critiche, modifiche, tagli ma quello che ne esce è sempre la mediazione necessaria a rendere lo spettacolo adatto al pubblico. Quando infine il copione approda in sala prove cambia definitivamente di mano e diviene proprietà dei registi e degli attori: noi lavoriamo così. Tante volte, mentre scrivo, non so nemmeno che ruolo interpreterò, lo decidiamo poi, tutti insieme; scrivo il testo sugli attori ma per me lascio più opzioni: per esempio, in Thanks for vaselina, pensavo di destinarmi il ruolo del padre e invece ho interpretato il figlio. Il ruolo della regia lo condivido con Massimiliano Setti che cura anche tutta la parte musicale».
 
Luci e musica sono elementi fondamentali dei vostri spettacoli. A che punto della stesura del testo o della messa in scena si inseriscono questi contributi?
GDL: «La musica è fondamentale perché ci permette di personalizzare ulteriormente il nostro lavoro. Abbiamo la fortuna di non dover prendere tracce da altri autori, con l’obbligo di tagliarle e su cui, comunque, dover adattare i tempi della nostra recitazione. Per noi la musica è al completo servizio dell’azione grazie a Massimiliano che compone tutte le musiche ad hoc per i nostri spettacoli. È solo melodia – cioè non ha un testo cantato – e rispecchia lo stile che ci piace, ondeggiando tra l’elettronica e il post rock. La creazione dei singoli pezzi avviene in diverse fasi del lavoro: durante la scrittura del testo, quando mi confronto con Massimiliano, capita che lui mi proponga un motivo che potrebbe starci bene o ne suggerisce un altro che mi suggestiona. In generale però le musiche iniziano ad arrivare, ad irrompere e ad assestarsi in sala prove, durante il montaggio del lavoro in scena. Quando iniziamo a provare le scene e ne capiamo la temperatura siamo infatti in grado di scegliere le musiche che le debbano sostenere; la stessa cosa accade per le scenografie e le luci».

In quanto autore, quali sono i maestri – reali o ideali – e quali le fonti di ispirazione che segnano il suo percorso creativo? 
GDL: «Guardo molto agli scrittori nordeuropei – inglesi, scozzesi, irlandesi – ma probabilmente il fattore che ha segnato maggiormente il mio modo di scrivere è stato l’avvento dei serial americani. Gli autori di quelle sceneggiature sono persone molto coraggiose che, nel bene e nel male, non subiscono la pressione umanistica della nostra società: non dividono il mondo in bene e male, giusto e sbagliato; non si premurano che la storia contenga un messaggio positivo e insegni qualcosa a qualcuno. Penso a serie quali Shameless o Breaking Bad in cui gli sceneggiatori,  osservata la vita quotidiana della gente, cercano di raccontarla con una propria sensibilità e, così facendo, riescono a rappresentare l’effettiva verità sociale».

L’ambivalenza, la ricerca di un equilibrio tra bene e male è, in fondo, la caratteristica di tutti i personaggi dei suoi testi: mai completamente malvagi né santi. Il che offre anche ampio margine per strepitosi colpi di scena.
GDL: «Sto rileggendo un libro che mi è caro: Gli archetipi cognitivi di Jung. Noi esseri umani non siamo né buoni né cattivi: queste sono illusioni, sovrastrutture morali che ci siamo messi addosso per riconoscerci nel mondo ma in cui non ci rispecchiamo pienamente. Abbiamo un magma dentro che ribolle e ci fa oscillare tra due estremi opposti: siamo meraviglia e terrore nello stesso istante e trovare l’equilibrio tra queste due componenti ci richiede un grande sforzo. Credo che le nevrosi e le psicosi odierne derivino dall’ostinata ricerca di una stabilità e dall’incapacità delle persone di accettare i propri continui cambiamenti interiori».

Silvana Costa

 

www.carrozzeriaorfeo.it