Miró, Mondrian, Calder e le collezioni Guggenheim

Un’occasione imperdibile per ammirare le opere di tre grandi personalità del Novecento, che, con fantasia poetica, ricercatezza visiva e giocosità immaginifica hanno percorso da protagonisti il XX secolo.
Prosegue ormai da qualche anno la relazione tra il Comune di Vercelli e la Peggy Guggenheim Collection che porta in mostra nello spettacolare spazio dell’Arca assaggi del suo patrimonio artistico. Assaggi dicevamo, nel senso che si tratta di un numero ridotto di opere, in questo caso poco meno di una quarantina, ma tutte di elevato valore artistico, significative per tracciare sia un excursus sul processo evolutivo del linguaggio dei tre protagonisti, sia perché ci permettono di individuare i richiami alle opere dei loro maestri e dei loro discepoli. Non troveremo, come accade in altre esposizioni, opere di amici, conoscenti, seguaci, imitatori o quant’altro ma solo, onestamente, quanto ci viene promesso in locandina: Mondrian, Miró, Calder elencati qui per ordine cronologico e per successione lungo il percorso espositivo, non certamente per merito.
Luca Massimo Barbero, curatore della mostra ha selezionato e portato a Vercelli opere della Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York e di Venezia, della Calder Foundation di New York, del Gemeentemuseum de L’Aja e del Palazzo Collicola Arti Visive – Museo Carandente di Spoleto, alcune visibili in Italia per la prima volta in questa occasione. Dipinti e sculture sono esposti in una teca fuori scala denominata l’Arca, un parallelepipedo ipertecnologico in vetro e metallo che occupa parte della navata ventrale della Chiesa di San Marco; sopra e tutto intorno le navate laterali e l’abside che alle soglie del XIX secolo vennero adibite a mercato comunale, operazione che comportò anche la trasformazione della facciata pur mantenendo l’originaria scansione delle aperture.
Le linee guida che si dipanano nelle tre sale del percorso e accomunano tra loro gli artisti, sono due: la forte carica innovativa del linguaggio adottato da ciascuno di essi rielaborando gli stimoli che giungevano da tutta Europa piuttosto che dagli eventi storico/sociali e l’insistente uso dei colori primari. Si inizia con Piet Mondrian di cui seguiamo il passaggio dai paesaggi di derivazione impressionista e divisionista, le influenze della corrente Fauves, la personale rielaborazione del cubismo degli albori sino all’approdo al suo personalissimo stile astratto in cui ogni elemento è inserito in una griglia e ridotto alle sue mere componenti verticali ed orizzontali, accentuate dall’uso dei colori primari. Mondrian riesce a dimostrarci quanto una griglia, elemento che di primo acchito può sembrare riduttivo della libertà espressiva, possa rivelarsi suscettibile di mille varianti ed altrettante possibilità di travalicare i confini dello schema, della tela e della nostra mente. In mostra è interessante il confronto tra soggetti ritratti in diversi momenti del suo percorso pittorico – per esempio la natura morta con vaso di zenzero dipinta nel 1911 e di nuovo l’anno seguente – cogliendo le sfumature delle influenze intervenute sul suo stile.
Dalla rappresentazione del paesaggio in stile Fauves parte l’esplorazione delle potenzialità espressive della pittura di Joan Mirò; da quella stilizzazione, scomponibile di nuovo in linee verticali ed orizzontali, attraverso fasi successive approda alle immagini stilizzate, sospese, spesso ridotte a segni o figurazioni astratte della corrente surrealista di cui è ritenuto uno dei massimi esponenti. Le sue tele, rispetto a quelle di Mondrian sono un’esplosione di colori, colori primari puri o mischiati tra loro a carpire i volti delle tante donne che popolano le sue narrazioni.
Nell’ultima sala ci attende la leggerezza dei mobiles, le sculture sospese ed in movimento di Alexander Calder: siano esse il ritratto tridimensionale in fil di ferro del suo committente, gli orecchini per Peggy Guggenheim, rappresentazioni cosmiche piuttosto che tranci di petali. Troviamo esposto un ricco repertorio di sculture definite mobile o stabile in base alla loro facoltà di muoversi in presenza di vento; con formati che variano dalla suppellettile a quelli più imponenti, fratelli minori delle installazioni progettate per arredare spazi pubblici; vediamo impiegati materiali tutto sommato poveri, a volte, causa la penuria di epoca bellica, parti riciclate di sculture precedenti, ravvivati da pennellate di giallo, rosso e blu richiamando Mondrian che ebbe il piacere di conoscere e di usare come fonte di ispirazione. Di fianco a queste leggere composizioni, sono esposti anche alcuni suoi dipinti su carta che richiamano nuovamente la scansione verticale ed orizzontale della griglia di Mondrian.
Peggy Guggenheim, seguendo la tradizione di famiglia, si rivelò una straordinaria mecenate, vera manna dal cielo per il mondo artistico nel periodo difficile di metà ‘900, ma soprattutto una grande scopritrice di talenti: riuscì ad accaparrarsi le prime opere di molti artisti moderni, tra cui quelli in mostra a Vercelli, divenendo spesso loro amica e committente. Grande amica di Calder, nella sua autobiografia scrive: “Non solo sono l’unica donna al mondo a dormire in un letto di Calder, ma anche l’unica donna a indossare i suoi enormi orecchini mobiles”. Sapesse quanto la invidiamo!

Silvana Costa

I giganti dell’Avanguardia: Miró, Mondrian, Calder e le collezioni Guggenheim
aperta sino a domenica 10 giugno 2012
a cura di Luca Massimo Barbero
in collaborazione con la Collezione Peggy Guggenheim
Catalogo Silvana Editoriale
Biglietti intero 9,00 euro
www.guggenheimvercelli.it

Didascalie:
Peggy Guggenheim nel padiglione greco della XXIV Biennale di Venezia, dove espone la sua collezione, mentre sistema Arco di petali (1941) di Alexander Calder; 1948.
Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia. Photo Archivio CameraphotoEpoche. Donazione, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005
Joan Miró, Pittura (Peinture), 1953.
Olio su tela, 194,9 x 377,8 cm.
Museo Solomon R. Guggenheim, New York. © SuccessióMiró, by SIAE 2012