La rivisitazione de Lo Schiaccianoci – firmata dal Balletto di Milano – approda al Teatro Verdi di Pisa.
Il più amato; il più replicato; a volte, il più abusato. Natale se n’è andato con la sua euforia che non ha spiegazioni. Se n’è andato ormai da un pezzo, sovvertito dal nuovo anno. Nuove bufere hanno spazzato via la neve e i nostri giorni sono affondati nella routine. Ma non importa, no, non importa. Qui se la cavano, se la cavano eccome. 21 gennaio 2015. Il Balletto di Milano offre uno Schiaccianoci in veste di sagra primaverile. Al Teatro Verdi, la Compagnia di danza, stasera sul palco, porta con sé una freschezza e una giovinezza anche anagrafica – sostanzialmente, non si superano mai i 28 anni.
Ma osserviamo la performance più da vicino. Pera la precisione, iniziamo soffermandoci sulla prima caratteristica alla quale persino l’occhio del profano è portato ad incollarsi: il colore. Laddove l’opera tradizionale di Čajkovskij si concentra su gamme cromatiche corpose e sature (per intenderci, le tonalità forti di un albero natalizio), la versione del Balletto di Milano mostra in scena una composizione più delicata, incentrata sui toni pastello, con le sfumature del rosa in evidenza sul resto. Tutto ciò è frutto dell’idea principe di questa versione dello Schiaccianoci, ovvero, il charleston.
“Come mia prima esperienza da coreografo“, ha affermato Federico Veratti, che nello spettacolo interpreta il personaggio di Fritz: “Ho voluto dare allo Schiaccianoci un’impronta diversa, senza stravolgerne la drammaturgia. Uno Schiaccianoci vintage, nato dalla mia passione per gli anni 20“. E di quell’epoca si percepisce il brio, tanto nei costumi, che si adeguano al periodo storico anche nelle danze tematiche del secondo atto, quanto negli arrangiamenti di alcune coreografie.
Sebbene l’operazione appaia divertente e riuscita, la domanda che sorge spontanea è: perché una reinterpretazione anni 20, peraltro non particolarmente approfondita? Lo scopo è forse quello di avvicinare Lo Schiaccianoci alla nostra realtà o, per così dire, strapparlo alla pericolosa imbalsamazione che le grandi opere sono condannate a subire nel corso del tempo? Qualunque sia la motivazione intrinseca, una caratteristica dalla quale il capolavoro di Čajkovskij risulta distaccata, è proprio la linea temporale. L’impatto charleston è intelligente e suggestivo, ma penalizzato proprio da una storia che perde quasi subito il contatto con il piano reale.
Molto curate le coreografie, in particolare quelle del già citato divertissement, ovvero la spensierata successione delle danze a tema: la russa, la cinese, l’araba e così via. Caratterizzata tanto nei costumi, quanto nelle interpretazioni, questa parte dello spettacolo replica l’incanto esotico che ben conoscono coloro che hanno già avuto modo di gustare l’arte čajkovskijana. Particolarmente bella la reinterpretazione della danza araba. Mentre, a far storcere il naso ai puristi, è la scelta di escludere la danza degli zufoli dalla suite musicale, esclusione che non sappiamo spiegare e sulla quale preferiamo non prendere posizione.
Infine, un focus sul personaggio di Drosselmeyer. Imperscrutabile, profondamente carismatico e intrigante, impersona il ruolo più complesso dell’intero balletto ed è quello che più degli altri ha subito le sperimentazioni di questa giovane produzione. Trasmutato in un “cappellaio matto“, per citare ancora Veratti, Drosselmeyer si è qui abbandonato a un maggior uso della danza, quando nelle versioni più tradizionali il suo ruolo coreutico risulta sempre limitato. Tutto ciò non può che piacere, anche considerando il fatto che Alessandro Orlando, classe 1987, rivela un talento indiscusso. Il problema sta forse nel fatto che un personaggio come lui, su cui pesa un’aura di magnetismo pressoché naturale, sia stato portato prepotentemente in primo piano, tanto da renderlo quasi soverchiante rispetto a Clara, l’effettiva protagonista. La sperimentazione è stata coraggiosa e apprezzata, ma un Drosselmeyer che fa costantemente a gara con il principe nel far volteggiare la fanciulla potrebbe dare adito a diverse discussioni. Vero è anche che nel noto pas de deux, culmine del pathos tra i due amanti, l’affascinante prestigiatore è opportunamente allontanato. Si può quindi supporre che la sua continua intromissione tra i due, oltre a voler evidenziare – forse troppo – il suo ruolo di Deus ex machina, sia stata anche concepita allo scopo di impreziosire l’atteso pas de deux. In ogni caso, non bisogna dimenticare che questo Schiaccianoci è una produzione giovane, volutamente giovane. Motivi di dibattito e scelte che possono suscitare perplessità sono caratteristiche che ci si può tranquillamente aspettare e che si deve accettare, se non comprendere. Perché, alla fin dei conti, gioventù è essenzialmente esperimento, rivoltare più e più volte il passato, cercare, creare combinazioni nuove e affrontarne le conseguenze. E poi, diciamolo pure, l’esecuzione è stata ineccepibile.
21 gennaio 2015. Non occorre la neve per sentirsi felici.
Sharon Tofanelli
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Verdi – Pisa
mercoledì 21 gennaio, ore 21.00
www.teatrodipisa.pi.it
Il Balletto di Milano presenta:
Lo Schiaccianoci
di P. I. Čajkovskij
direttore artistico Carlo Pesta
da un’idea di Carlo Pesta e liberamente ispirato al racconto di Hoffmann
coreografia Federico Veratti
ideazione scenica Marco Pesta
http://tuttodanza.net/
Personaggi e interpreti:
Drosselmeyer: Alessandro Orlando
Clara: Martina Bezzi
Principe: Federico Mella
Fritz: Federico Veratti
Due bambini: Carmen Froncillo e Alessio Pirrone
Genitori: Giulia Simontacchi e Simone Maier
Re dei Topi: Alessandro Torrielli
Danza araba: Alessia Campidori e Simone Maier
Danza spagnola: Giulia Simontacchi e Mirko Casilli
Danza russa: Angelica Gismondo e Alessandro Torrielli
Danza cinese: Giulia Montesello e Federico Veratti
e con Giordana Roberto, Guya Strada, Irene Tomassetti,Giuliano De Luca, Marco Luzi e Simone Zannini
nel ruolo dei bambini partecipano alcuni allievi del corso di perfezionamento del Centro Studi Coreografici di Milano e Ashkenazy BalletCenter di Caslano