Don Giovanni in scena al teatro del Giglio di Lucca per una rilettura contemporanea del mito.
Presentato al Teatro del Giglio lo scorso fine settimana, Don Giovanni si inserisce in un progetto che include anche Le nozze di figaro (andato in scena nella stagione 2013) e Così fan tutte (previsto per il 2017): ossia, la trilogia Mozart-Da Ponte. Per essa la regista ha pensato un filo conduttore spaziale: gli Stati Uniti d’America del Ventesimo secolo. Usa anni 50-60 per le Nozze, in stile Sabrina di Billie Wilder; e primo Novecento per Così fan tutte. Per questo Don Giovanni ha scelto, al contrario, gli States degli anni 80: disillusi, divisi fra benpensanti e giovani desiderosi di libertà che trovano nelle rock star le loro guide.
E Don Giovanni è una di queste. Dissacrante, cinico, trasgressivo, ma anche, in un certo senso, afflitto, egli è la stella di un locale alla moda newyorkese (come poteva essere il mitico Studio 54). “Un uomo mito che vive sopra le righe, forse conscio di dover bruciare tutto subito, rifiutando una fine di decadenza fisica e sperando forse in una morte spettacolare”. Come il Warhol della Factory, ha una sola grande ossessione, quella di imprimere sulla pellicola tutti i momenti della sua vita (è per questo che, ucciso il commendatore, lo porta a sé, avvicina il proprio viso al suo e si fa scattare una foto).
Alla star, si affiancano due borghesi benpensanti (la meschina donna Anna, e il povero e ingenuo Don Ottavio), due giovani fan (Masetto e Zerlina), e la ballerina del locale sul viale del tramonto, Donna Elvira.
L’orchestra attacca l’Ouverture (preannuncio della finale resa dei conti col commendatore) e solo dopo pochi istanti si alza il sipario. Vediamo l’interno di un locale notturno e soprattutto molti amanti impegnati; l’atmosfera è vagamente lugubre e piuttosto squallida. Un cambio luce nasconde il locale, e ci viene mostrato l’esterno, di fronte all’ingresso. Vi è parcheggiato un taxi giallo – e Donna Anna, scappando da Don Giovanni, cerca di salirvi. Non sembra molto convinta. Mentre le dà la caccia, l’uomo si mette in posa facendosi scattare fotografie dal fido Leporello. Alla fine dell’Ouverture il rituale di corteggiamento si è concluso e i due si chiudono in taxi: Donna Anna è consenziente, non grida né cerca aiuto. All’arrivo del commendatore, Don Giovanni, disarmato, si difende e l’uccide col suo stesso coltello, ma viene ferito. Il corpo del morto sarà portato all’interno dell’antro oscuro di Don Giovanni e lì inghiottito da un brulichio di mani.
Questi gli elementi salienti che ci sembrano tratteggiare questa edizione: una star che vuol bruciare la sua vita, un commendatore che non è emblema o simbolo di forze superiori ma solo uomo (e poi spirito), e una Donna Anna vile, meschina, forse autentico antagonista di Don Giovanni, sicuramente propria vendicatrice inconsapevole. Di fronte alla forza vitale dell’amante oppone meschinità e piccolezza, causandone infine la morte.
Rispetto al Don Giovanni del mito – blasfemo, empio e vitale – il nostro sembra segnato da una latente disperazione e da un forte senso autodistruttivo. La morte incombe su di lui fin dall’inizio: la ferita che il commendatore gli ha inferto continuerà a sanguinare, ricordandogli che la resa dei conti si avvicina. Egli però sfida apertamente la morte: sa di doverla affrontare e lo fa con un ghigno, con coraggio, non rinnegando mai la propria vita e rimanendo fedele a se stesso fino alla fine. Don Giovanni come uomo della rivolta, come antagonista per eccellenza, in definitiva non ha nemici. Non si oppone realmente a nessuno: è trasgressivo, ma non ha un alter ego degno della lotta – né a livello sociale né sul piano del trascendente. Il Commendatore si riduce a figura che torna sulla Terra per portarselo via, ma non è il simbolo o il messaggero di una forza assoluta, di un dio che Don Giovanni ha sfidato. La scena del cimitero si esaurisce tutta sul piano umano, senza accenni, riferimenti, rimandi, legami a un’autorità superiore. Sono delle semplici foto che ha scattato lui stesso a giudicarlo e, fra esse, anche quella del Commendatore che affronta il suo assassino. Un Don Giovanni contemporaneo, quindi, figlio di una società che ha perso il senso del sovrannaturale. La libertà di cui è portatore e rappresentante è quella del self-made man che intravvede una falla nel proprio successo, bacato da un senso profondo di inconsistenza e impotenza.
La lettura registica è quindi molto attuale, affondando le radici pienamente nel presente, dove i cieli sono vuoti, la trasgressione e il sesso sfrenato sono quasi la norma, e manca un senso radicale di cosa sia la libertà. Una regia dunque stimolante, che restituisce un Don Giovanni contemporaneo (nel bene e nel male), complice una scenografia potente ed esteticamente di sicuro interesse.
Se esistono alcuni dubbi, si pongono eventualmente su un altro piano: la regista sembra aver creato una sorta di drammaturgia parallela a quella del libretto di Da Ponte, che scorre a fianco di quella originale, con rari punti di contatto. Il libretto, i suoi spunti, la sua drammaturgia implicita, sembrano spesso ignorati – quasi fossero un peso rispetto alle intenzioni di Cucchi. Un altro dubbio riguarda invece la relazione con le dinamiche e i tempi propri del teatro musicale: le lunghe “tirate” delle arie appaiono a volte vuoti da riempire, tempi morti in cui fare qualcosa, mentre i recitativi appaiono spesso quale sequela di parole da citare.
Tra le interpretazioni, ricordiamo Alessandro Longo – Don Giovanni perfetto nel proprio ruolo, fra eccessi, grinta e dissolutezza; mentre, tra i colleghi, si distingue una giovane e dirompente Zerlina, interpretata da Ayse Sener (selezionata fra gli studenti del CUBEC – Accademia di Belcanto di Modena), non del tutto convincente però sul piano della presenza scenica.
Mailè Orsi
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro del Giglio
piazza del Giglio, 13/15 – Lucca
sabato 28 febbraio ore 20.30
domenica 1 marzo ore 16.00
www.teatrodelgiglio.it
Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti KV 527
libretto di Lorenzo Da Ponte
musica di Wolfgang Amadeus Mozart
edizioni Bärenreiter-Verlag, Kassel – rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
direttore Aldo Sisillo
regia Rosetta Cucchi
scene Andrea De Micheli
costumi Claudia Pernigotti
luci Andrea Ricci
maestro del coro Stefano Colò
Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro Lirico Amadeus – Fondazione Teatro Comunale di Modena
coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Teatri di Piacenza, Teatro del Giglio di Lucca, Ópera Tenerife – Auditorio de Tenerife “Adán Martìn”
personaggi e interpreti
Don Giovanni Alessandro Luongo
Il Commendatore Antonio Carmelo Di Matteo
Donna Anna Yolanda Auyanet
Don Ottavio Blagoj Nacoski (28 febbr) / Francesco Marsiglia (1 mar)
Donna Elvira Raffaella Lupinacci
Leporello Roberto De Candia
Masetto Felipe Correia Oliveira
Zerlina Ayse Sener