A VolterraTeatro va in scena il primo studio di Shakespeare. Know well per la regia di Armando Punzo. Protagonista la Compagnia della Fortezza.
Facciamo una premessa. Questa non sarà una recensione, dato che ciò a cui abbiamo assistito era uno studio e noi l’abbiamo vissuto come momento di dialogo con la Compagnia della Fortezza e il suo ideatore, fondatore e direttore, Armando Punzo. Useremo quindi questo spazio per raccontare alcune suggestioni, i pensieri e i dubbi che ci hanno affastellato la mente, sperando anche noi di dare il nostro contributo al lavoro di ricerca che, al momento, sta portando avanti l’autore e regista. Non entreremo, però, nel merito delle domande più filosofiche che Punzo sta ponendo anche nella sua ultima pubblicazione, Ro Ro Ro, in quanto il superamento dell’uomo, in teatro, ha già portato a teorie quali quella di Craig o di Mejerchol’d che sarebbe troppo lungo e forse elitario discutere in tale sede.
La prima idea che viene alla mente assistendo ai circa 55 minuti di studio è che ci si trovi davanti a una rielaborazione de La Tempesta di Shakespeare. Le gorgiere e i lunghi strascichi, le pose, la scenografia barocca, l’uso dei fogli di carta che sono l’unico mezzo di espressione dei personaggi e di comunicazione tra gli stessi e il lettore rimandano tutti, inevitabilmente, a uno tra i capolavori filmici di Greenaway. Così come quel Prospero/Punzo che dà la parola ai personaggi porgendo loro il microfono e che è, insieme, il Deus ex machina dell’autore britannico e l’alter ego del Bardo stesso, è davvero prossimo a John Gielgud nella sua onnipotenza ma, al contrario del Prospero immaginato da Greenaway, finalmente tace per lasciare che siano i personaggi a parlare in prima persona.
Se la scelta finale sarà una rappresentazione à la manière dei masque (genere al quale appartiene La Tempesta), possiamo dire che la stessa potrebbe rispondere a un obiettivo che ci sembra proprio della Compagnia della Fortezza e di altri lavori di Punzo, ossia dare spazio alla riconciliazione rifiutando la condanna senza appello, l’universo dualistico di matrice cristiana e occidentale. Perché, al di là delle croci che affollano il palcoscenico (con il rimando simbolico al calvario comune di un’umanità alla ricerca di un’impossibile redenzione), relativizzare la tragedia, rifiutandone il portato assoluto, può essere sia una critica a questa visione propria anche di Shakespeare ma, allo stesso tempo, alla nostra società – ancora incatenata a sbarre, pregiudizi, frontiere e muri.
Per quanto riguarda i testi sui quali stanno lavorando i membri della Compagnia – e che non è detto siano gli stessi dello spettacolo che verrà – ci sembra che i più pertinenti a un discorso sull’uomo o sulla negazione dello stesso siano quelli che, lacerando la quarta parete, toccano profondamente per la loro sincerità. Il monologo di Calibano ne è l’esempio più valido e riuscito e uno tra i momenti topici dell’intero studio. Sulla stessa scia, molti altri ruoli “minori” potrebbero essere saccheggiati dall’opus del Bardo in quanto altrettanto efficaci nel relativizzare la tragedia dell’eroe shakespeariano. Pensiamo, ad esempio, al fool di Re Lear, ai contadini, ai becchini, ai clown, agli ubriachi, agli stolti e ai pazzi, più o meno volontariamente: a tutta quella folla così ben descritta da Michel Foucault. Quella fiumana spesso silenziosa o resa tale dal potere, invisibile alla società, che guarda all’eroe tragico e spesso lo deride, lo compiange, non riesce a comprenderlo o forse lo comprende troppo bene, e che passa inosservata quand’anche rechi perle di saggezza. In quei ruoli o non-ruoli sembra che gli attori-detenuti trovino le parole per portare di fronte allo spettatore un pezzo di sé – e di noi stessi.
Un’ultima osservazione va alla presenza delle donne in scena. Forse queste impersonano il presente o il bisogno di realizzazione, il desiderio di interpretare quei ruoli per essere altro da sé o per raggiungere fama e successo molto terreni. Non ci è dato sapere. Ciò che però ci hanno suscitato è stato fastidio: sono un elemento che distrae e stempera la carica emotiva. Shakespeare faceva a meno delle donne in scena, la Compagnia della Fortezza è felicemente in grado di fare altrettanto.
Simona M. Frigerio e Luciano Uggè
Lo spettacolo è andato in scena all’interno di
VolterraTeatro 2015:
venerdì 24 luglio, ore 15.00
Fortezza Medicea
Volterra
http://volterrateatro.it/Compagnia della Fortezza presenta:
Shakespeare. Know well
primo studio
regia e drammaturgia Armando Punzo
www.compagniadellafortezza.org