Tra i filari di viti e le botti della Fattoria del Teso, a Montecarlo, si è svolto, il 3 e 4 settembre, il Cerruglio Festival 2016. Molte le iniziative in programma, tra le quali la tavola rotonda Quale futuro per la sicurezza dell’Europa?, e la proclamazione dei vincitori del VI° Premio Cerruglio dedicato alla narrativa e alla saggistica. Ma la vera scoperta è stata la mostra Migrants di Laura Sestini.
Non fingerò di non conoscere personalmente Laura Sestini, con la quale collaboro da alcuni anni nella redazione di Persinsala. Detto questo, però, e al di là della stima che mi lega a lei, la mostra allestita nelle cantine della Fattoria del Teso è stata una piacevole scoperta che ha suscitato più di una riflessione.
Come per altre località toscane, il nome altisonante ed esterofilo si coniuga a un panorama tipicamente autoctono. Dolci colline coperte da ordinati filari di viti e qualche ulivo fanno da scenario naturale all’edificio rurale, che spicca per il rosso mattone dell’intonaco e i rampicanti di un verde opulento. Nella cantina, dalle pareti tirate a calce, illuminata da neon bianchi, sono state appese, alle alti botti di legno, le foto della personale di Laura. La semplicità e la nettezza del luogo si sposano bene alle immagini in mostra, anche grazie all’asetticità del neon. I colori delle foto risplendono e le prospettive geometriche delle composizioni si apprezzano meglio da una certa distanza, favorita anche dalla disposizione delle botti che creano corridoi ad angolo retto.
Colori intensi, quelli del deserto, resi ancora più vividi dalla luce ardente del sole che pervade ogni angolo ritratto, annullando quasi le ombre, che stentano a ritagliarsi minuscoli spazi di pace. Perché quel sole è in realtà fonte di angoscia, disvelamento della desolazione, povertà, sudiciume e miseria in un campo profughi dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, sul confine tunisino.
Siamo nell’aprile del 2011: è appena scoppiata la rivolta libica e un milione di lavoratori – immigrati da vari Stati asiatici e africani – è costretto a scappare da quel Paese. Il timore è quello di essere scambiati per mercenari, la realtà è vedersi ridotti a fuggire nel giro di pochi giorni, forse ore, verso la Tunisia, che si è offerta di ospitare i profughi nei campi in attesa di rimpatrio. Ma per molti tra loro, che erano arrivati in Libia non solo per cercare lavoro ma anche per fuggire a Stati dittatoriali o dove la sopravvivenza è a rischio perché troppo poveri, l’unica speranza sarà stiparsi su un barcone, a Zarzis, alla volta di Lampedusa e dell’Europa – che li etichetterà come clandestini.
Dentro queste tende bianche o di un verde militare impolverato del Campo di Choucha; in mezzo a centinaia di uomini e donne in fila per ore, in religiosa attesa di una ciotola di brodaglia o di un piatto di semolino; al posto di frontiera di Ras Jedir, disseminato di mezzi di fortuna carichi all’inverosimile di esseri umani con i loro fagotti, e tutti i pezzi di vestiario che sono riusciti a indossare nella fuga; Laura Sestini e le colleghe, Gaia Anderson (fotografa) e Chiara Giannini (giornalista), guardano, fotografano, interrogano e scrivono, sperando di poter testimoniare all’Occidente l’altro volto delle rivolte arabe e, in particolare, di quella libica. Le immagini in mostra sono solo i tristi presagi delle guerre intestine e dei bombardamenti che seguiranno, di quell’amabile operazione che sarà soprannominata Unified Protector (ennesimo appellativo demagogico, scelto dalla Nato per la felicità della propaganda e per la mistificazione della realtà dei fatti).
Sui colori sfavillanti degli abiti delle donne, che sembrano puzzle di tessuti sovrapposti alla rinfusa; sui volti, i cui lineamenti sempre diversi rimandano a tutti i Paesi del mondo, ma la cui unica espressione è la rassegnata disperazione silenziosa del genere umano sconfitto; sui giochi dei bambini, che riescono nelle peggiori calamità a ritagliarsi un universo fantastico, utilizzando di tutto, da un vecchio pallone sgonfio ai tappi di plastica delle bottiglie; sui piatti sporchi, vuoti, o colmi di improbabili zuppe, gettati nella sabbia del deserto, tenuti da una mano malferma, mostrati come una vittoria dopo ore di fila; sulle dune che vanno riempiendosi di spazzatura, panni stesi, uomini e donne sdraiati o in piedi, che fumano o camminano senza meta; e sulla distesa infinita di tende sempre più sporche e rattoppate, sempre più sudice; su tutta questa miseria e disperazione, si sofferma con pudore e rispetto l’occhio della macchina fotografica di Laura Sestini.
Ma la nota stonata c’è. Non dobbiamo sottacerla.
Cinquemila foto, circa. Tredici giorni di permanenza nel deserto, dormendo in un piccolo albergo di Ben Guerdane, infestato dai topi. Nessuna testata giornalistica alle spalle in caso di problemi o incidenti. Tutto a proprie spese. Con la volontà di raccontare, documentare, esserci in prima persona. E il risultato? Silenzio. Come sempre, i migranti fanno notizia quando sbarcano a Lampedusa per lanciare l’allarme invasione, o quando ne arriva una ventina in un paesino del lodigiano – tanto per dire – così da coalizzare i diseredati della zona contro gli ultimi, ancora più poveri, ancora più miseri. Le cinquemila foto sono rimaste nel cassetto di Laura Sestini fino a questa mostra, che si spera girerà a lungo perché le foto raccontano la realtà della storia (quella che ci appartiene, con la s minuscola), molto meglio di qualsiasi accozzaglia di parole retoriche. Però è doveroso precisare che almeno una foto è stata venduta, a Getty Images. Ritrae Angelina Jolie, ambasciatrice di buona volontà dell’UNHCR, nel campo profughi di Choucha. Peccato che se i volti noti devono servire ad attirare l’attenzione sulle cause umanitarie, questa volta la bella Jolie abbia fallito tristemente il bersaglio. La foto che la ritrae è stata venduta da Getty Images alle riviste di gossip, le uniche interessate all’immagine ma per un altro motivo: l’aggiunta di una nuova linea al tatuaggio che riporta le coordinate dei luoghi di nascita dei figli e del marito. E la domanda che sorge spontanea è: sono i vip a pubblicizzare le missioni Onu o viceversa?
Simona M. Frigerio
Le iniziative si sono svolte nell’ambito del
Cerruglio Festival 2016:
Fattoria del Teso
via della Poltroniera
Montecarlo (Lucca)
sabato 3 e domenica 4 settembre
www.cerruglio.comLa mostra continua:
Laura Sestini
Migrants
Fattoria del Teso
fino a sabato 8 ottobre
orari: tutti i giorni, 11,30-18.00
www.fattoriadelteso.it